32. Ricostruirlo

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Tyler's pov

Estrassi dal mio armadio gli ultimi maglioni rimasti sullo scaffale e mi diressi verso il letto, sul quale era aperta la valigia. Li piegai nel modo migliore che conoscevo e stetti per chiuderla, quando bussarono alla porta. 

Alzai lo sguardo verso la porta, chiedendomi chi fosse ancora in dormitorio alle due del mattino. Ethan era fuori, e nessun altro sapeva della mia partenza.

Posai tutto sul letto ed andai ad aprire la porta. 

Feci del mio meglio per non trasalire quando Ele mi si parò davanti. 

Era da quella sera a Boston che non vedevo i suoi occhi. E il modo in cui mi guardò mi ricordo quanto fosse cambiato da quel momento. 

Per quanto avessi provato a non pensare a lei, era costantemente nella mia testa, in ogni cosa che facevo. 

Feci di tutto per non mostrarmi sorpreso, ma diamine se lo ero. Erano le due del mattino, stavo per lasciare New York per sempre e di certo la sua presenza lì non era l'incoraggiamento migliore per farlo. 

I suoi occhi erano lucidi, le guance rosse ed i capelli spettinati. Era chiaro avesse pianto prima di venire qui. Indossava una tuta, e era ferma sull'uscio della mia stanza, fissandomi, tentando di rimettersi in sesto. 

"Hai un minuto?", domandò, contorcendosi le mani mentre guardava alle mie spalle. 

Mi spostai di lato per lasciarla entrare. Evitò il mio sguardo e mi passò accanto, quindi chiusi la porta. 

Cercai di ignorare che fosse notte fonda e girasse da sola in giro per il campus. Avevo la vaga impressione non fosse il momento giusto per farglielo notare. 

"Stai bene?", chiesi, ma non appena mi girai, stava fissando il mio letto.

Più precisamente, stava fissando la valigia aperta con i miei vestiti all'interno che c'era sul letto. 

Quando rialzò lo sguardo, il suo era cambiato radicalmente. I suoi occhi erano freddi e distaccati. "Te ne vai?"

Mi misi le mani nelle tasche, fissando la valigia. La ferita nei suoi occhi sarebbe stata abbastanza per convincermi a restare, perciò obbligai me stesso a pensare a per cosa stavo restando. 

E la risposta era piuttosto semplice. 

"Non c'è più niente per me qui, Ele", dissi, piano. Sapevo le avrebbe fatto male, ma non potevo più mentirle. Non prima di uscire dalla sua vita per sempre. 

Spostai lo sguardo cautamente e la guardai negli occhi, nell'esatto momento in cui sembrò sull'orlo di andare a pezzi. 

L'istinto di spazzarle le lacrime via dalle guance mi assalì, ma rimasi dov'ero, spaventato da cosa sarebbe potuto succedere se avessi fatto anche solo un passo avanti verso di lei. 

"E' questo che sono ora per te?", chiese, avvicinandosi. Avrei giurato di sentire rabbia nella sua voce, ma dal modo in cui si avvicinò a me, non riuscii a vedere altro che dolore. "Niente?"

"Sei tutto ciò che mi è rimasto", dissi fermamente, prima che potesse pensare il contrario. "Lo eri"

Ele annuì, abbassando lo sguardo. Si voltò, camminando verso la finestra della mia stanza, osservando la luna risplendere nella camera. 

Lasciai il silenzio passare. Rimasi in piedi proprio dietro di lei, imprimendo l'ultimo ricordo che pensavo avremmo condiviso insieme nella mia mente. 

Improvvisamente si girò, estraendo qualcosa dalla tasca della sua felpa. Avvicinandosi a me, mi porse un foglio di carta arrotolato. 

Mi osservò aprirlo, lo sguardo fisso sulle mie mani. 

Non mi toccare 3 Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora