La tunica scivolò sulla pelle e incontrò il pavimento. L'aria esterna si strusciava tra le sbarre di ferro fischiando. Astrid sollevò i vestiti nuovi da terra, perplessa riguardo a concetti che non comprendeva, come il freddo, che Omar le aveva avanzato di sfuggita. Infilò il maglione che era tutto sfilacciato e infeltrito. Le sue mani andavano a sfiorare forme che faticava a riconoscere. Ancora una volta si stupiva di quell'abbondanza adulta che non era sicura di avere mai avuto.
Allacciò i pantaloni della tuta in vita e si sdraiò sulla coperta piegata a terra. I polpastrelli che percorrevano il rilievo dei muscoli addominali, gli occhi puntati verso l'apertura della parete da cui si infiltravano ciuffi d'erba, rizzati come dita a solleticare il cielo crespo e che rabbrivivano ogni tanto come per stringersi tra loro.
Era incastrata in un corpo in cui non riusciva ad identificarsi, segregata in un mondo caotico e distratto, frettoloso, insipido, incolore, smagrito, secco, senza fiumi che ci correvano in mezzo, senza animali liberi, senza verde, senza fiori, senza vita.Là dentro, in quella cella, si sentiva al sicuro. Non voleva vedere com'era fuori, non di nuovo. Non voleva passeggiare al buio su una strada ruvida in mezzo a branchi di scatole ringhianti che andavano e venivano rapidissime da non si sa dove, non voleva nascondersi tra flussi di uomini rigidi con le facce spente e gli sguardi persi, coi cervelli annebbiati dai fumi neri dei motori e il cuore vuoto. Nonostante la tremenda fobia di essere schiacciata dal pandemonio, doveva trovare il modo di tornare a casa, o per lo meno capire quale fosse casa sua, dove fosse.
Aveva capito molte cose dalla chiacchierata con Jay-jay, ma alcune altre l'avevano confusa. La rassicurava il fatto che fosse una sopravvissuta, perché ciò la rendeva resistente, che poteva contare su molte persone, perché ciò la rendeva ben voluta ed ammirata.
Il turlupinare delle sue domande si incentrava soprattutto sul dettaglio che fosse stata attorniata anche da figure pericolose che avevano provato ad abusare di lei o che avevano tratto vantaggio dalla sua ingenuità. E se la prima accezione la faceva sentire preziosa, speciale e protetta, la seconda le suggeriva un senso di precarietà e di insicurezza.
Strinse le braccia al petto e provò una solitudine immensa. Strizzò gli occhi e immaginò di non essere così sola, cercò un qualsiasi posto nella sua testa che non fosse la strada, un sito affogato nella puzza di urina e dalla pattumiera o una cantina da cui era impossibile uscire.
Cercava un posto quieto, allegro, familiare, luminoso, colorato. Così, dopo vari tentativi, nella stanza buia della sua mente si accese un barlume dorato. Una scintilla. Cercò di acchiapparla, ma quella sgusciava via e saltellava nell'aria. Fece un salto e finalmente quando la lucciola iniziò a tremare nella coppa delle sue mani, avvertì come la sensazione che ci fosse qualcuno ad osservarla.
-Chi sei? - chiese, la sua voce perpetuò nello spazio. Nessuno rispose. - Chi sei? - Ripetè. - Sei qui? Puoi sentirmi?
-Ti ascolto.
Astrid percepì un brivido. Era una voce solenne. Lontana, ma al contempo vicinissima.
-Ti conosco? Posso vederti?
-Tempo al tempo.
Parlava lentamente, si prendeva dei momenti per rispondere, come per scegliere bene le parole, come se cercasse di mascherare le emozioni.
-Mi stavi osservando?
-Sei tu che mi hai chiamato.
-Ma non so nemmeno chi sei, come faccio ad averti chiamato?
-Ti sei sentita sola. Avevi bisogno di qualcuno con cui parlare. Eccomi qua.
-Perché dovrei parlare con qualcuno di cui conosco solo la voce?
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Nebbia E Tenebre | MARVEL ❷
FanfictionPer ogni conquista c'è un prezzo da pagare. L'antidoto che doveva assicurare la vita ad Astrid l'ha fatta crollare in un coma da cui si è risvegliata senza memoria e con nuovi poteri da esplorare. Nel tentativo di ristabilire i legami con i suo...