At the right time, in the right place

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I don't know how it got so bad,
sometimes it's so crazy
that nothing can save me
but it's the only thing that I have.
[Pieces; Sum41]

Benjamin si svegliò di soprassalto sentendo due moto sfrecciare ad alta velocità sulla strada che costeggiava il mare e aprì gli occhi ma li richiuse subito, infastidito dal raggio di sole che gli colpì prepotentemente il viso. 
Maledicendosi mentalmente per essersi dimenticato di chiudere le imposte il giorno precedente si coprì la faccia con il cuscino e sospirò, avvertendo le tempie pulsare e un forte cerchio alla testa che lo costrinse ad alzarsi per prendere un’aspirina.
Lanciò distrattamente un’occhiata veloce fuori dalla finestra, osservando l’immensa distesa blu in lontananza e il suo giardino verdeggiante e perfettamente curato. 
Molti lo avrebbero invidiato per la vista che aveva affacciandosi dal balcone e anche per la casa in cui viveva, in una delle vie più tranquille di Byron Bay, cittadina balneare nel Sud dell’Australia. 
Era effettivamente un piccolo angolo di paradiso con le sue spiagge bianche e le onde perfette per gli amanti del surf, con la sua vita mondana e quasi hippy ma al tempo stesso rilassante.
Benjamin ne era consapevole e aveva amato la sua vita in quel posto, lui stesso lo considerava un paradiso ma tutto era cambiato quando ai suoi occhi era diventato un vero e proprio inferno.
Magnifico e soleggiato ma pur sempre un inferno di ricordi e fotogrammi pronti a susseguirsi come un film davanti ai suoi occhi, di strade e angoli che conosceva come le sue tasche e gli ricordavano ciò che non aveva più. 
Diverse volte aveva pensato di salire su un volo qualunque e ricominciare altrove ma non aveva mai davvero preso in considerazione l’idea di farlo perché nonostante lo ferissero come lame affilate, quei ricordi erano tutto ciò che gli era rimasto e sapeva che anche se fosse andato a vivere dall’altra parte del mondo li avrebbe portati con sé.
Non voleva dimenticare, anzi, voleva poter conservare tra le pieghe del suo cuore solo i bei momenti e poter affrontare diversamente quel dolore lacerante che si portava addosso come una seconda pelle.
Eppure quel dolore sembrava essere la sua linfa vitale, voleva liberarsene ma al tempo stesso se ne nutriva, vivendolo appieno fino a renderlo parte di sé per sentirsi vivo e scontare quella che credeva essere la sua pena.  
Guardando il sole splendere in cielo e le ombre degli alberi creare giochi di luci sull’erba realizzò che anche quella sarebbe stata una tipica giornata australiana di fine Maggio, soleggiata ma ventosa e con qualche possibile temporale improvviso. 
Una giornata che avrebbe avuto niente di speciale, esattamente come tutte le altre, e che avrebbe trascorso in casa perché di uscire e vedere i sorrisi dei turisti non ne aveva voglia. 
Voleva solo riprendersi dalla sua sbronza del weekend e finire il quadro che aveva iniziato due settimane prima, ignorando qualsiasi contatto con il mondo esterno.
Si appoggiò al muro e poi al mobile del salotto usandolo come sostegno quando un capogiro più forte degli altri gli tolse la capacità di reggersi in piedi mantenendo l’equilibrio e lo costrinse a muoversi a piccoli passi per raggiungere la cucina illuminata e spaziosa. 
Abbassando le palpebre ingoiò la sua pasticca buttando giù un sorso d’acqua fredda e aspettò che facesse effetto mentre vedeva la stanza roteare su se stessa e sentiva ancora il sapore dell’alcol bruciargli in gola. 
Non ricordava quanti drink avesse bevuto né chi dei suoi amici lo avesse accompagnato a casa dopo la serata al Birdees, la discoteca più famosa di Brisbane.
Ricordava solo la libertà e l’euforia, la voglia di estraniarsi dalla realtà in cui viveva ogni giorno per tuffarsi nella sua vita parallela, quella fatta di feste e musica dance, di sesso senza sentimenti e shot colorati che lo aiutavano a spegnere il cervello almeno per qualche ora, almeno fino al giorno dopo quando la sua vita reale gli sbatteva in piena faccia con prepotenza a ricordargli quanto fosse ridotto male.  
Muovendosi a rilento nella sua cucina open-space riuscì a prepararsi la colazione, la stessa che faceva ogni mattina seduto al tavolo in veranda e che ormai avrebbe potuto cucinare anche a occhi chiusi. 
Un uovo strapazzato, qualche fettina di bacon fatta rosolare in padella e un avocado toast, il tutto accompagnato da una spremuta d’arancia e da uno yogurt arricchito da granola e frutta fresca. 
Quella era solo una delle tante abitudini che scandivano le sue giornate tutte rigorosamente uguali, perché aggrapparsi alla routine era l’unica cosa che riusciva a non spezzare il filo al quale si sentiva appeso.
Un filo che se si fosse spezzato lo avrebbe fatto crollare ancora più a fondo, un filo sottilissimo che lo teneva in piedi da ormai cinque lunghissimi anni consentendogli di arrancare e sopravvivere tra sofferenze e sensi di colpa sempre pronti a spezzargli il respiro. 
Mangiò godendosi la sua solitudine e il vento fresco a scompigliargli il ciuffo moro e disordinato, mentre sentiva l’allegro vociare provenire dalla casa dei suoi vicini. 
Loro sì che sapevano divertirsi, divertirsi davvero anche senza ubriacarsi e senza il bisogno di oltrepassare i limiti, senza dover spingere al massimo per sentirsi vivi, senza la ricerca continua di adrenalina e stimoli sempre più forti.
«Benjamin!», una voce urlò al di là della siepe senza ottenere risposta. «Ben so che sei in casa, apri!».
Benjamin si era addormentato sull’amaca senza nemmeno accorgersene, non ricordava neppure di essersi sdraiato lì sopra e non sapeva quanto tempo fosse passato.
«Ben o mi apri oppure sfondo questa dannata porta!», sentì dire e si riscosse subito come se avesse ricevuto una secchiata d’acqua gelata in pieno viso. 
Avrebbe riconosciuto quella voce forte e decisa tra mille e biascicò qualcosa inciampando nei suoi stessi piedi, urtando il tavolo al centro del patio. 
«Sto arrivando!», urlò dopo l’ennesimo suono del campanello mentre tentava di ricostruire cosa fosse successo nelle ultime ore e di capire perché avesse ricevuto quella visita inaspettata. 
«Che ci fai qui?», sputò più acidamente di quanto volesse, spalancando l'uscio con un gesto deciso. 
Sapeva perfettamente quali parole lo avrebbero investito come un fiume in piena e non era certo di riuscire ad affrontarle, non in quel momento.
In piedi davanti all’unica persona che non l’aveva mai giudicato si sentiva spaesato, la confusione a bloccargli i neuroni e un macigno sul petto a ricordargli quanto avesse toccato il fondo anche quella volta. 

As free as the ocean | FenjiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora