When you cried,
I'd wipe away all of your tears.
When you'd scream,
I'd fight away all of your fears.
And I held your hand
through all of these years,
but you still have all of me.You used to captivate me by your resonating light.
Now, I'm bound by the life
you left behind.
Your face it haunts
my once pleasant dreams,
Your voice it chased away
all the sanity in me.These wounds won't seem to heal,
this pain is just too real...
There's just too much
that time cannot erase.
[My Immortal; Evanescence]
Incapace di muoversi e di dire qualcosa, Benjamin rimase fermo sulla soglia finché il suo amico si decise a rispondere alla sua domanda entrando in casa senza nemmeno chiedere il permesso.
«Sono qui per te», disse come fosse la risposta più naturale al mondo. «Steven e Dylan sono incredibilmente preoccupati, non puoi andare avanti così Benjamin», aggiunse scrutando con attenzione le profonde occhiaie che gli decoravano gli occhi spenti e lucidi.
«Ho quasi ventiquattro anni e voi non siete i miei babysitter», rispose acido, perché detestava quando tutti ripetevano quelle frasi pungenti nonostante sapeva che avessero ragione.
Ammetterlo era però fuori discussione e reagiva sempre allo stesso modo, con acidità e disprezzo verso persone che non meritavano un comportamento simile.
«Siamo tuoi amici», replicò senza scomporsi, sapeva che le parole taglienti di Benjamin erano pronunciate solo per ferirlo ma non aveva mai ceduto alle sue provocazioni.
Non poteva permetterselo.
«Steve mi ha detto che ieri sera…»
«Adesso fa anche la spia?», lo interruppe rabbioso tirando un pugno che fece traballare il tavolo della sala da pranzo. «Sì, Brad… ieri sera ho bevuto qualche drink di troppo, mi sono scopato uno di cui non so nemmeno il nome e sono tornato a casa con la mente annebbiata, esattamente ciò che volevo», aggiunse lanciandogli un'occhiataccia.
«Lo fai ogni maledetto weekend Benjamin e stai sempre peggio, ma non ti accorgi che questa vita sfrenata ti fa solo male?», chiese addolcendo il tono di voce. «Non hai bisogno di questo, tu non...»
«Ne ho bisogno eccome», lo interruppe di nuovo, bruscamente e senza riuscire a controllarsi. «Non lo capisci che quando sono ubriaco riesco a smettere di pensare? Dormo senza svegliarmi, senza incubi a togliermi il sonno e il fiato!», quasi gridò stringendo i pugni. «Non lo capisci che la realtà parallela del weekend mi serve per sopravvivere durante gli altri cinque giorni della settimana? Ne ho bisogno eccome! Ho bisogno dell'adrenalina, della musica assordante, del sesso senza pretese ma soprattutto ho bisogno di stare in mezzo a persone che non mi conoscono e non sanno niente della mia vita, ho bisogno di evadere da questo cazzo di posto e di dimenticare tutto per qualche ora, perché non lo capite?», continuò a sfogarsi mentre la voce si spezzava sotto il peso delle lacrime amare che premevano agli angoli degli occhi, pronte a bagnare le sue guance arrossate. «Ho bisogno di sentirmi vivo, di sentire un po' di vita scorrermi nelle vene e solo esagerando riesco a farlo, vorrei non averne bisogno ma è così e mi odio per questo, mi odio!», urlò ancora prima di sentirsi stringere dalle braccia muscolose e tatuate di Bradley, il suo migliore amico.
Uno dei pochi che non aveva mai allontanato, o almeno mai sul serio, perché nonostante gli avesse urlato addosso innumerevoli volte, poi era crollato nel suo abbraccio che riusciva sempre a rimetterlo in piedi.
«Sfogati, sono qui Ben», sussurrò al suo orecchio mentre lo stringeva forte, consapevole di quanto necessitasse di essere confortato.
Odiava vederlo in balia di se stesso e così diverso dal ragazzo che conosceva da quando avevano entrambi due anni, odiava vedere come stava cercando di punirsi e assistere impotente alla sua autodistruzione.
A niente erano servite le ore trascorse a parlare davanti al mare, le carezze sul viso per asciugare le sue lacrime, le pacche d'incoraggiamento sulla spalla, le battute per farlo ridere e i tentativi di farlo uscire dal baratro in cui era sprofondato.
«Brad», sussurrò con un filo di voce. «Scusa, io…»
«Va tutto bene, non devi scusarti! Non con me, lo sai», lo bloccò prima che potesse concludere la frase. «Ora tu vai a farti una doccia calda, indossi qualcosa che non sia questa vecchia tuta e poi esci con me… andiamo a farci una passeggiata», disse con tono fermo e Benjamin comprese che ribellarsi non sarebbe servito a nulla.
Seguì le sue indicazioni come un automa, come se fosse una marionetta e qualcuno stesse muovendo i fili per guidarlo tra le pareti di quella casa e poi fuori, a respirare a pieni polmoni l'aria del primo pomeriggio.
Bradley sapeva che anche nella giornata peggiore, Benjamin riusciva a scovare una briciola di serenità quando osservava le onde infrangersi contro gli scogli.
Quel movimento sempre uguale ma sempre diverso faceva distendere i suoi nervi uno dopo l'altro, motivo che lo spingeva a trascorrere sulla scogliera il suo tempo libero. Si sedeva sulla sabbia a guardare il mare mentre scriveva pensieri sparsi su fogli che spesso finivano ammucchiati nel cestino oppure tracciava schizzi per i suoi prossimi quadri, isolandosi nel posto più silenzioso di Byron Bay.
«Vieni con me a Sidney», propose Brad dopo un'abbondante mezz'ora scandita dal silenzio e dai loro respiri dispersi nel vento. «Ho un esame questa settimana ma il prossimo weekend sono libero e il mio coinquilino non c'è, puoi stare nella sua stanza… che ne dici?», incalzò sgranchendosi le gambe.
«Non posso, ho da fare», tagliò corto.
«Sappiamo entrambi che stai mentendo», replicò scrollando le spalle. «Cambiare aria ti farebbe bene… Sydney ti è sempre piaciuta, è stata la meta del nostro primo viaggio da soli, senza genitori! Ricordi quando…?», disse senza riflettere e si morse il labbro, accorgendosi del lampo di nostalgia che aveva attraversato i suoi occhi chiari.
Erano belli, arricchiti da sfumature dal colore indescrivibile. Belli da fare male, eppure così spenti e svuotati, non brillavano più.
«Ricordo tutto», sputò sorprendendolo. «Strano vero? Quei ricordi mi uccidono eppure sono tutto ciò che mi resta di lui, mi ci aggrappo con tutto me stesso anche se fa dannatamente male», continuò ottenendo un assordante silenzio come risposta.
Sapeva che Bradley non si aspettava quello sfogo e a dire il vero lui stesso non sapeva perché avesse iniziato a parlare ma ormai fermarsi sarebbe stato impossibile, non aveva il controllo su ciò che stava dicendo.
«È stato il nostro ultimo viaggio e se solo l'avessi saputo avrei fatto il possibile per godermelo ancora di più! Mi ricordo la sua allegria dopo aver preso l'aereo per la prima volta, i suoi occhi pronti a scrutare con attenzione qualsiasi dettaglio, il suo entusiasmo… per me e te era già la terza volta a Sydney ma per lui no e vorrei non essermi lamentato per tutte le volte che si fermava a fotografare ogni cosa, vorrei non essermi arrabbiato quando per colpa sua non ci hanno fatto entrare in discoteca, vorrei che fosse ancora qua per portarlo di nuovo lì e visitare tutto ciò che non siamo riusciti a vedere, vorrei...», la voce si spezzò di nuovo costringendolo a bloccare quel flusso di pensieri.
Riuscì a ricacciare indietro le lacrime e si fermò sedendosi sul muretto, facendo dondolare le gambe per calmarsi.
«Torna a Sydney con me e viviamoci la città anche per lui, ne sarebbe felice sai?».
«Smettila di dirlo, perché lo ripetete tutti?!», replicò infastidito. «Lo so che non vorrebbe vedermi così ma questo non mi aiuta a stare meglio, non lo vedi che sto peggio ogni volta che me lo dici? Vivo con i sensi di colpa alle calcagna, non ho bisogno di sentirmi dire che lo sto deludendo e che se fosse ancora qui mi odierebbe per come sto reagendo, possibile che non capiate mai un cazzo? Vorrei vedere voi al mio posto, facile parlare quando le situazioni le vivi da fuori!», esclamò sentendo nuovamente svanire il suo autocontrollo mentre si toglieva un peso dal cuore.
«Non lo diciamo per colpevolizzarti Benjamin», rispose con dolcezza. «Lo diciamo per incoraggiarti, per aiutarti a trovare qualcosa a cui aggrapparti per rialzarti».
«Beh non sta funzionando», disse sarcastico alzando le spalle, facendo scivolare per un attimo gli occhi sulla strada davanti a sé senza però guardare davvero.
Non si accorse del bambino entusiasta che correva felice, né della coppia anziana che camminava tenendosi la mano, né di quel ragazzo dal ciuffo biondo che si era incantato a guardarlo chiedendosi perché il suo sguardo fosse così privo di luce.
A volte si sentiva solo un guscio vuoto che si trascinava in giro per la città.
Solo quando lavorava sentiva di valere qualcosa perché vedeva i progressi nei suoi pazienti, che grazie alla sua professionalità riuscivano a riprendersi da incidenti e traumi.
Essere un fisioterapista non era mai stato il suo obiettivo ma con il tempo aveva imparato ad adattarsi a quel lavoro che in qualche modo gli dava soddisfazione e che giorno dopo giorno era riuscito ad apprezzare. L'amarezza per non aver seguito il suo sogno e la sua vera vocazione bruciava come un taglio a fior di pelle ma era solo un altro modo per punirsi, per guardare da lontano una vita che non gli apparteneva più.
«Come va a lavoro?», gli chiese Bradley cambiando discorso.
«È l'unica cosa che va bene a dire il vero», rispose sincero. «Mi distoglie da tutto ciò che non va, il problema è quando lascio lo studio e torno a casa», aggiunse.
«A piccoli passi Benjamin, a piccoli passi riuscirai ad uscire da questo tunnel», lo incoraggiò sfiorandogli un braccio. «Ricordi quando pensavi di non riuscire a laurearti e invece ce l'hai fatta? Credo in te, lo sai».
«Ce l'ho fatta solo perché studiando riuscivo a non pensare», disse sminuendo il suo impegno. «Lo studio è stato il mio antidolorifico ma lo sai anche tu che non me ne fregava un cazzo di quella laurea, è stato solo un modo per anestetizzarmi esattamente come ogni cosa che ho fatto in questi cinque anni», precisò con tono piatto.
«Eppure sei stato bravo, è stata la tua rivincita… non sminuirti!», replicò serio. «Ti sei laureato con il massimo dei voti e hai iniziato a lavorare praticamente subito dopo la laurea, sei uno dei fisioterapisti più bravi della città e hai rimesso in piedi giovani promesse del surf», gli ricordò cercando di farlo concentrare su ciò che di positivo era accaduto.
«E ogni giorno li invidio perché quella era la vita che volevo», ammise consapevole di come si costringesse a osservare ciò che desiderava e a cui aveva rinunciato.
Bradley lo guardò e pensò a come dosare le parole che voleva pronunciare, le aveva già dette diverse volte ma non avevano mai sortito l'effetto sperato.
«Potresti ricominciare da lì, sarebbe il primo passo perfetto per tornare alla vita che avevi», tentò. «Torna a cavalcare le onde Benjamin, sei nato per farlo… l'acqua è il tuo elemento naturale», aggiunse e vide che il suo discorso lo aveva toccato nel profondo.
«Il surf era tutta la mia vita, proprio per questo non posso più farlo», rispose dicendo sempre la stessa frase, a chiunque affrontasse con lui quell'argomento che lo rendeva particolarmente sensibile. «So cosa stai per dire… lui non avrebbe mai voluto che smettessi di surfare», aggiunse e vide l'amico annuire, era esattamente ciò che avrebbe voluto dire.
«Non puoi cambiare il passato Ben», commentò guardando le onde. «Surfare ti farebbe stare meglio, ne sono certo», affermò.
«È proprio per questo che non lo faccio più, come posso prendermi la mia felicità e inseguire i miei sogni se a causa mia si sono infranti i suoi? Dovevo esserci io al suo posto, non mi merito di stare qui», disse e come ogni volta Bradley si sentì morire ascoltando la gravità di quelle affermazioni.
«Non dirlo più Benjamin, non dire mai più una cosa del genere», lo pregò come sempre, eppure l'amico sembrava non recepire il messaggio perché lo ripeteva spesso. «Smettila di torturarti con questi pensieri, non è stata colpa tua!», aggiunse alzando la voce, sentendo le lacrime agli occhi.
«È così e mai nessuno riuscirà a togliermi questa idea dalla testa, dovevo esserci io su quella dannata tavola da surf», rispose con una freddezza inquietante. «Aiden meritava di essere ancora qui, meritava questa vita più di me e sarebbero stati tutti più felici se ciò che è successo a lui fosse successo a me», precisò convinto di ciò che stava dicendo mentre Bradley desiderava che chiudesse la bocca perché sentire quelle parole pronunciate con leggerezza lo rendeva irrequieto e triste.
Non rispose perché per la prima volta si trovava estremamente in difficoltà nel trovare una risposta, le sue frasi lo avevano spiazzato e non sapeva come replicare.
«Dovresti smetterla di preoccuparti per me Brad», disse rompendo il silenzio all'improvviso.
Avevano deciso di tornare a casa perché il cielo prometteva pioggia ed erano usciti entrambi senza l'ombrello.
«Sei il mio migliore amico», rispose guardandolo ferito da quell'affermazione.
«Mi preoccuperò sempre per te e non è vero che tutti sarebbero felici se tu non ci fossi, non dire più assurdità simili… mi fai male Ben, ci fai male», aggiunse e lo vide scrollare le spalle.
A volte l'amico gli sembrava sotto effetto di anestesia, come se nulla potesse davvero scuoterlo dal torpore in cui si era rinchiuso, come se non si accorgesse di cosa diceva o pensava.
«Mi dispiace», disse neutro. «Mi dispiace farvi stare male ma quello che ho detto è ciò che penso e non lo dico solo perché sto soffrendo ma perché è vero e lo sai anche tu Brad, quel giorno dovevo esserci io su quella dannata tavola da surf», gli ricordò e Bradley non poté contraddirlo perché aveva ragione. «Se tutto fosse andato come doveva andare Aiden sarebbe ancora qui a vivere la sua vita», concluse e decise che non avrebbe più parlato perché quel giorno sentiva di averlo fatto fin troppo per i suoi standard.
Entrò in casa seguito dall'amico e dopo aver preso due birre dal frigo si buttò sul divano allungando i piedi sul tavolino.
«Ti va se andiamo a mangiare una pizza?», propose Bradley rompendo un silenzio che durava da ore.
«Non ho fame», tagliò corto.
«Le ordino e le mangiamo qui, va bene?», fece un secondo tentativo e lo vide annuire.
Usciva sempre più di rado e Bradley lo sapeva.
Viveva a Sidney da un anno ma i loro amici in comune lo tenevano sempre aggiornato, rivelandogli che usciva con il resto del gruppo solo per andare al Birdees ma rifiutava tutte le altre proposte.
«Va bene», accettò scegliendo un film da guardare. «Oggi ho parlato troppo, ora tocca a te… raccontami qualcosa», disse e Brad sorrise assecondando la sua richiesta.
Benjamin lo ascoltò con attenzione, immergendosi nei suoi racconti.
Era felice per lui, sembrava davvero entusiasta dei corsi che seguiva all'università e anche se non era così bravo a dimostrarlo, sapeva che Bradley lo aveva capito.
L'abbraccio che si scambiarono qualche ora più tardi prima di salutarsi aveva parlato chiaro e aveva racchiuso tante parole non dette, parole che entrambi avevano saputo ascoltare.
Il moro si chiuse la porta alle spalle e sprofondò di nuovo nella sua accogliente solitudine, pronto ad affrontare un'altra notte.
Ogni sera si rifugiava tra le lenzuola e chiudendo gli occhi si chiedeva se avrebbe dormito o se qualche incubo glielo avrebbe impedito.
Raramente aveva sognato qualcosa di bello, qualcosa che gli ricordasse i bei momenti del passato ma ogni sera si addormentava con la speranza di poterlo fare, perché svegliarsi in preda al panico nel cuore della notte era sempre un'esperienza devastante.
Ogni volta sperava fosse l'ultima ma non lo era mai.
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As free as the ocean | Fenji
FanfictionOgni persona vive il dolore in modi diversi. C'è chi lo combatte e reagisce, rialzandosi più forte di prima e portando con orgoglio le proprie cicatrici, dimostrando che si può rinascere dalle ceneri. E poi c'è chi lo assorbe fino a farlo diventare...