Everybody hurts someday,
it's okay to be afraid.
Everybody hurts,
everybody screams,
everybody feels this way
and it's okay.
[Everybody hurts; Avril Lavigne]Il sole splendeva alto su Byron Bay quel giorno di fine Luglio, per la gioia degli abitanti e dei turisti impazienti di godersi un’altra giornata in riva all’oceano.
Benjamin camminava per le strade della sua città con gli occhiali da sole a coprirgli gli occhi e una maglietta troppo grande e troppo nera; negli ultimi tempi aveva iniziato ad uscire più spesso e ad incontrare gli sguardi dei suoi concittadini senza leggerli come indagatori o colpevolizzanti ma spesso senza volerlo si ritrovava a camminare con gli occhi fissi sulle proprie scarpe perché la sensazione di sentirsi giudicato e colpevole non era ancora svanita. Per poter tornare ad essere ciò che era aveva bisogno di più tempo ma stava imparando a notare tutti i suoi piccoli passi in avanti, titubanti e incerti ma pur sempre reali.
Prima di imboccare la via in cui era situato lo studio della sua psicologa si fermò a osservare il mare, respirando a pieni polmoni il profumo della salsedine e godendosi il calore dei raggi sulla pelle.
Era la sua seconda seduta e due erano anche le settimane trascorse dall’aggressione; le aveva passate a fare i conti con un’esperienza difficile da elaborare ma si stava impegnando per non lasciare che lo annientasse più di quanto avesse già fatto la vita.
Aveva ripreso a lavorare, si destreggiava ancora tra i suoi pazienti e le sue sedute di fisioterapia ormai arrivate quasi alla fine, incastrando nella routine qualcosa di nuovo per spezzare il ritmo sempre uguale al quale si era abituato negli anni.
Quando poteva andava alla scogliera e faceva schizzi per i suoi quadri ma non aveva più dipinto, non dopo l’incidente in moto che lo aveva costretto a rivedere tutto e riordinare le carte di un’esistenza in disordine.
In tutto quel disequilibrio Federico era il suo punto fermo, come un faro lo è per le barche in navigazione.
Era la sua costante in una vita che costante non lo era; quel ragazzo dagli occhi color cielo si era fatto sempre più spazio nelle sue giornate pur rispettando i numerosi momenti di sconforto durante i quali Benjamin chiudeva il resto del mondo fuori dal suo.
Nonostante i progressi, non erano mancati i giorni trascorsi a fissare il soffitto senza riuscire a trovare un solo motivo per alzarsi dal letto, né quelli passati a digiuno e nemmeno quelli vissuti con il solo pensiero di mandare all’aria tutto perché la rinascita sembrava troppo lontana.
Oscillava sempre in preda a un terremoto emotivo, oscillava troppo spesso tra l’apatia e la voglia di vivere e se ne vergognava perché quando ricadeva nel tunnel gli sembrava di cancellare ogni passo avanti.
Non aveva ancora parlato di Aiden, non aveva ancora detto perché fosse scivolato in quella spirale tossica ed era certo che non lo avrebbe fatto nemmeno quel giorno.
La psicologa gli ispirava fiducia e parlare con lei era stato più facile di quanto credesse, aveva ormai sollevato un coperchio tenuto chiuso per troppo tempo e la sensazione di leggerezza provata dopo essersi messo a nudo prima con Federico e poi con lei gli aveva fatto capire di non volerlo più chiudere, o almeno non del tutto.
Dava alle parole il giusto valore, le soppesava su una bilancia di sentimenti e stava lentamente processando tutto quello che gli era successo negli ultimi tempi, a partire dall’incidente in moto.
Non lo aveva detto a nessuno, neppure al biondo, ma la consapevolezza di aver perso completamente il controllo lo aveva spaventato più di quanto volesse ammettere. Si era reso conto, forse per la prima volta, di quante volte si fosse messo in pericolo infrangendo limiti e barriere ma non era facile ammetterlo, non era facile riconoscere di avere un problema.
Non per lui che aveva sempre negato, nascondendosi dietro scuse che non reggevano ma che in un modo o nell’altro riuscivano a tenerlo in piedi.
Aveva confessato di aver paura di essere caduto in qualcosa di troppo grande, di essere ad un passo dal potersi considerare un alcolista a tutti gli effetti e aveva tirato un sospiro di sollievo quando la psicologa lo aveva tranquillizzato facendogli notare che non era ancora arrivato a quel punto.
«Voglio imparare a controllare i miei impulsi, voglio poter bere un drink con i miei amici senza pensare già a quello che ordinerò dopo e guidare la mia moto senza sfrecciare, voglio sentirmi vivo sempre e non solo quando inseguo l’adrenalina», aveva sussurrato sulla porta prima di uscire e la psicologa gli aveva detto che sarebbero ripartiti da lì, così Benjamin ripensò alle proprie parole della volta precedente e dopo un ultimo sguardo al mare si decise a suonare il campanello perché voleva stare meglio, voleva regalare alla dottoressa un’altra parte di sé permettendole di farsi strada nelle mangrovie delle sue emozioni e aiutarlo a superarle.
Prese posto sulla poltroncina rossa e le raccontò come fosse andata la settimana, le disse di quante ore aveva passato ad alternare le lacrime alle urla soffocate nel cuscino per poi raccontarle come fosse riuscito a rilassarsi osservando il mare, quello fuori dalla finestra e quello negli occhi di Federico.
Si confidò elencando le sue paure una dopo l’altra, ancora una volta, per renderle tangibili e reali, per guardarle in faccia e spaventarle con quella forza che stava scoprendo di avere. Non sapeva dove l’avesse nascosta quando persino respirare sembrava uno sforzo immane ma da quando il biondo gli aveva detto «tu sei forte» aveva iniziato a crederci perché si fidava più di lui che di se stesso.
Si fidava della luce che tutti vedevano e della fiducia che avevano nei suoi confronti e aveva funzionato, almeno per un po’.
Quanto bastava per dargli la spinta di cui aveva bisogno per rialzarsi e tornare a vedere il mondo a colori, anche attraverso striature nere ed enormi macchie scure.
«Mi sono messo alla prova così tante volte… ora non voglio più farlo, non voglio vedere qual è il mio punto di rottura», disse poco prima che si concludesse la sua ora di psicoterapia. «Non voglio più vedere fino a che punto resisto ma mi sembra così difficile rompere questi schemi, è come se mi attraessero e io non potessi oppormi», aggiunse più tranquillo di quanto lo era prima.
«Puoi opporti Benjamin, devi soltanto volerlo», rispose. «Non ti dirò che sarà facile lavorare su quello che hai dentro perché sarebbe una bugia ma puoi controllare i tuoi comportamenti, non sei un burattino… inizia a cambiare le piccole cose, quelle che ti sembrano più facili! Sarà una strada in salita e a volte ti sembrerà di cadere all’indietro ma va bene, anche i momenti di sconforto servono… solo se li usi come spinta per ripartire», disse e lo vide annuire.
Benjamin rifletteva su ogni parola che la dottoressa gli diceva ma era convinto che sarebbe stato tutto inutile se non avesse sviscerato il vero trauma, se avesse continuato a fingere di non aver subìto una perdita troppo importante che ancora bruciava tra lo sterno e il cuore.
Eppure non riusciva a parlarne, così decise di seguire il consiglio e di procedere a piccoli passi; uscì dallo studio e percorse a piedi il lungomare imboccando una via che non raggiungeva da cinque anni.
Vide in fondo alla strada la casa di Rachel, che più volte in passato era stata la location di feste e pigiama party in compagnia, nonché uno dei posti più frequentati da Aiden e di conseguenza uno dei posti che si costringeva ad evitare perché faceva troppo male.
Prese un respiro profondo inglobando quanta più aria possibile e suonò, per nulla sorpreso quando l'espressione esterrefatta di Rachel comparve dietro la porta.
«Ben», disse incredula. «Tu non...»
«Non vengo qui da cinque anni… lo so», completò al suo posto. «Sono appena stato dalla psicologa e mi ha suggerito di iniziare a cambiare le piccole cose, quindi ho seguito l'istinto e sono venuto qui perché volevo vederti ma non al solito posto», spiegò e la ragazza si spostò per farlo entrare.
«Come stai?», chiese cauta facendolo accomodare in salotto.
Benjamin si guardò intorno scoprendo quanti cambiamenti ci fossero stati in quegli anni; un nuovo divano e le pareti pitturate di un colore diverso ma anche ciò che aveva sempre sentito entrando in quella casa, un'atmosfera accogliente e calda.
Poi vide una foto sulla libreria e per un attimo sentì l'aria mancargli, perché quello scatto lo ritraeva insieme a Rachel e Aiden in un giorno speciale che ricordava benissimo.
«Quella foto l'abbiamo scattata al mio compleanno», sussurrò avvicinandosi.
Lui non aveva fotografie con Aiden nella sua casa nuova, le aveva lasciate tutte nella villetta dei suoi genitori ma non aveva bisogno di quelle immagini per ricordarsi di lui.
«Sì, mamma ha voluto che la mettessi qui in salotto… sai quanto lei ama le foto e quanto gli voleva bene», rispose raggiungendolo.
«Tra poco torna da lavoro, se non vuoi vederla dobbiamo andare via», aggiunse premurosa, perché sapeva quanto l'amico avesse ridotto al minimo i contatti con gli altri.
«Non voglio andare via, anzi mi farebbe piacere salutarla», rispose stupendola. «Dovrei anche scusarmi per come mi sono comportato, mi ha invitato qui diverse volte e ho sempre rifiutato… prima venivo spesso, non l'ho mai fatto solo per accompagnare Aiden ma perché mi piaceva stare con voi», aggiunse guadagnandosi un sorriso.
«Lo sappiamo Ben, lo sappiamo tutti», lo tranquillizzò. «Ti va un frullato, come ai vecchi tempi?», chiese e lo vide annuire.
«Come ai vecchi tempi», confermò anche se di quei giorni era rimasto ben poco.
«Allora, cosa mi racconti?», si informò Rachel.
«Va un po' meglio ma mi sembra di essere sempre su una giostra», ammise passandosi una mano tra i capelli. «Non ho più messo piede al Birdees e non ho più toccato alcolici da quel giorno», disse fiero.
Non era stato facile raccontare all'amica cosa fosse successo e aveva chiesto a Steven di aiutarlo perché lui e Rachel erano molto simili, entrambi cauti e sempre capaci di trovare le parole giuste.
«Sono orgogliosa di te Ben», rispose. «Fragola e banana, come piace a te», aggiunse porgendogli il bicchiere.
«La psicologa mi sta aiutando tanto, avrei dovuto seguire il tuo consiglio fin dall'inizio», disse ricordando tutte le volte in cui Rachel gli aveva suggerito di rivolgersi a un professionista. «Non le ho ancora detto di Aiden, non so se sono pronto a parlarne… e forse prima di dirlo a lei voglio dirlo a Federico», confessò abbassando lo sguardo.
«Credo che parlarne ti aiuterebbe molto ma non devi costringerti a farlo, sentirai tu quando sarà il momento giusto… sia con Federico che con la psicologa», replicò posandogli la mano sul braccio. «Aiden lo diceva sempre sai? Mi diceva che vedeva dai tuoi occhi se qualcosa non andava ma tu non ne parlavi mai, eri convinto di dover tenere tutto dentro perché hai sempre avuto bisogno di tempo per riuscire a sfogarti», continuò sedendosi accanto a lui. «Non è sbagliato, è il tuo carattere e ognuno ha il proprio ma finché non riuscirai a parlarne, rimarrai intrappolato a quel giorno di cinque anni fa… non puoi rimanere incastrato nel passato Ben», concluse e lo attirò a sé perché vide quanto fosse bisognoso di un abbraccio.
«Forse è anche per questo che non riesco a parlarne, so che se lo facessi cambierebbe tutto», rifletté a voce alta. «La psicologa mi farebbe lavorare su quel trauma e scaverebbe troppo a fondo dentro di me, non so se sono pronto ad affrontare quel viaggio», spiegò dubbioso. «Rievocare tutto mi fa male».
«Benjamin tu rievochi tutto da cinque anni, lo fai e nemmeno te ne rendi conto», gli fece notare senza giri di parole. «Non ne parli mai, è vero, ma hai vissuto in funzione di quello che è successo per tutto questo tempo… ti sei chiuso nel tuo mondo fatto di sofferenza, hai evitato tutti i posti e le persone che ti ricordavano Aiden ma soprattutto ti sei ferito in ogni modo possibile perché eri convinto di dover pagare con il dolore il fatto di essere ancora vivo… sei sempre stato intrappolato in quello che è successo, hai continuato a rievocarlo ogni giorno, agendo in funzione di quell'incidente», aggiunse e quasi riuscì a sentire il rumore dei suoi pensieri.
«Non è stato un incidente», sussurrò ma Rachel lo sentì.
«Lo è stato e lo sai», commentò sistemandosi una ciocca bionda dietro l'orecchio. «Solo parlandone puoi superarlo, solo rivivendo quella giornata a voce alta puoi scendere a patti con quello che è successo e capire che non è stata colpa tua, se lo rivivi solo nella tua testa non riuscirai mai ad andare avanti», continuò sapendo quanto fosse importante per Benjamin sentire il suo appoggio. «Rifletti Ben, cos'hai da perdere? Hai già toccato il fondo, non puoi stare peggio di come sei stato in passato però puoi stare meglio, molto meglio, e sai che ho ragione», concluse strizzandogli l'occhiolino.
«Tu hai sempre ragione», disse toccandole affettuosamente la punta del naso, Aiden lo faceva sempre e sapeva quanto a Rachel facesse sorridere quel semplice gesto.
Avrebbe voluto aggiungere qualcos'altro ma il rumore della chiave nella toppa li fece voltare verso la porta.
La mamma di Rachel quasi gettò le borse sul pavimento per raggiungere subito Benjamin e abbracciarlo stretto, carezzandogli affettuosamente la schiena.
«Che piacere vederti», gli disse felice di rivederlo; era come un figlio per lei.
«Lo è anche per me», rispose sincero. «Scusa se non sono più venuto qui, mi avete fatto sempre sentire a casa», aggiunse dispiaciuto.
«Non devi scusarti», lo tranquillizzò. «Ti va di rimanere a cena?», lo invitò e il moro si morse il labbro. Era combattuto, voleva accettare perché la famiglia di Rachel era sempre stata affettuosa con lui e gli era mancata, ma al tempo stesso si sentiva agitato perché quella cena non era programmata e aveva in mente di raggiungere Federico a casa sua per stare un po' con lui.
«Va bene, resto… grazie», disse infine guardando l'orologio, deciso però a seguire il consiglio della psicologa: condividere di più i suoi pensieri e sentimenti con gli altri, imparando a coinvolgerli invece di lasciarli sempre fuori dal proprio mondo.
«Esco un attimo a fare una chiamata, poi vi aiuto a cucinare», aggiunse e uscì in giardino, fissando lo schermo del suo cellulare.
«Ciao Ben!», lo salutò allegramente il biondo all'altro capo del telefono.
«Ehi», disse cercando le parole. «Quella di oggi è stata una seduta davvero importante e produttiva, mi sento meglio e ora sono a casa di Rachel, volevo rompere un po' gli schemi e sono venuto qui, non lo facevo da anni», spiegò consapevole di quanto Federico fosse contento di sentirlo.
«Volevo venire da te perché ho voglia di vederti ma mi hanno proposto di restare a cena e ho accettato, ti va se passo più tardi? Mi manchi», aggiunse sorridendo anche se l'altro non poteva vederlo.
Erano passati tre giorni da quando si erano visti l'ultima volta ma in quei tre giorni Benjamin aveva alzato un muro tra loro perché aveva passato momenti difficili e non voleva rattristarlo.
«Mi manchi anche tu», rispose incredulo per il modo in cui Benjamin gli aveva detto ciò che sentiva. «Vieni quando vuoi, mi troverai in pigiama ma mi hai visto in condizioni peggiori quindi va bene no?», scherzò facendolo ridacchiare.
La risposta del biondo gli ricordò la notte in cui avevano dormito insieme e improvvisamente lo colpì il desiderio di addormentarsi di nuovo tra le sue braccia, di svegliarsi incontrando come prima cosa i suoi occhi celesti, di sentirsi al sicuro dentro un paio di braccia tatuate e accoglienti.
«Eri bellissimo appena sveglio, con le lenzuola fin sopra le orecchie e la voce assonnata», rispose di getto perché pensò che forse avrebbe dovuto dirglielo più spesso, avrebbe dovuto dirgli quanto gli piacesse perdersi a guardare i tratti del suo viso. «Vorrei vederti ancora così domani mattina», aggiunse mordendosi il labbro, imbarazzato e incredulo ma felice perché era riuscito nel suo intento, essere più sincero e aperto con gli altri.
«È un modo carino per chiedermi se puoi dormire da me?», lo prese in giro ridacchiando, consapevole delle sfumature rosse comparse sulle sue guance.
«Perspicace bel biondino», rispose sentendo il cuore leggero come una nuvola di vapore.
«Ti aspetto qui», disse soltanto. «Goditi la cena e salutami Rachel», aggiunse ancora sorpreso per l'atteggiamento tranquillo e intraprendente di Benjamin.
«Ci vediamo dopo Fede, passo da casa mia o posso rubarti qualche vestito?», chiese prima di chiudere la chiamata.
«Mh, puoi rubarmi dei vestiti ma solo perché se passi a casa impieghi troppo tempo a raggiungermi», disse facendolo sorridere. «Però non ti ci abituare, sono geloso delle mie cose», precisò.
«Sei geloso anche di me?», lo provocò appoggiandosi al muro, come se avesse bisogno di un sostegno per reggere tutti quei piccoli cambiamenti che stava vivendo.
«E non poco», rispose. «Dopo te lo dimostro quanto sono geloso di te», aggiunse malizioso immaginando la sua espressione imbarazzata.
«Credo di esserlo anche io», affermò riuscendo per la prima volta a dare un nome alla sensazione che si era impossessata del suo stomaco quando aveva visto gli atteggiamenti di Scott con Federico.
Non l'aveva mai provata prima ma non si stupì, il biondo gli stava facendo sperimentare emozioni mai vissute.
«Uh, stai ammettendo di essere geloso? Avresti potuto dirmelo, avrei registrato la chiamata», ironizzò ridendo. «Puoi ripeterlo? Forse non ho capito bene».
«Sono geloso di te», ammise abbassando la voce. «E non l'ho mai detto a nessuno prima d'ora», aggiunse per fargli capire quanto fosse importante anche se sapeva che non era necessario perché il biondo lo aveva già capito.
«Dopo ti dimostro anche quanto mi fa piacere sapere di essere la prima persona con cui riesci a lasciarti andare», disse felice di sentire come il moro fosse riuscito a esprimere i suoi sentimenti; non aveva bisogno che lo facesse, glieli leggeva negli occhi e nei gesti ma era bello vedere quanto stesse lavorando su se stesso, migliorando giorno dopo giorno.
Si salutarono e Benjamin rimase qualche minuto a fissare il cielo, respirando il profumo di quella che sembrava una vita nuova ancora da scoprire ma pronta a scorrergli sotto pelle.
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As free as the ocean | Fenji
FanfictionOgni persona vive il dolore in modi diversi. C'è chi lo combatte e reagisce, rialzandosi più forte di prima e portando con orgoglio le proprie cicatrici, dimostrando che si può rinascere dalle ceneri. E poi c'è chi lo assorbe fino a farlo diventare...