And I am feeling so small
It was over my head
I know nothing at allAnd I will stumble and fall
I'm still learning to love
Just starting to crawl
[Say something; a great big world]«Federico va tutto bene?», chiese Dylan a fine giornata, prima di salutare gli imbianchini e salire in auto per accompagnare il biondo a casa. «Continui a controllare il telefono, è successo qualcosa?», aggiunse guardandolo.
«A dire il vero sono preoccupato per Benjamin», ammise aprendo la portiera. «Non lo sento da stamattina e non ha risposto alle chiamate né ai messaggi», spiegò perplesso. «Ogni tanto ha questi momenti in cui ignora tutti e sarei tranquillo se solo non fosse successo un disastro qualche ora fa».
«Cosa intendi? Lo sai che se vuoi parlarne con me puoi farlo sempre», gli ricordò dandogli una pacca sulla spalla.
Federico gli raccontò a grandi linee cosa fosse successo e vide l’australiano assumere un’espressione preoccupata ma per nulla stupita, capì che per lui non era nulla di nuovo.
«Ti accompagno subito a casa, non mi piace questa situazione», disse infatti e mise in moto, sfrecciando tra le strade illuminate della città.
Dieci minuti e qualche imprecazione più tardi, il biondo scese dalla macchina e corse nell’appartamento del moro trovandolo vuoto. Non c’era traccia della sua moto, né della sua presenza e capì che non era mai tornato quindi tornò da Dylan e gli chiese di accompagnarlo allo studio mentre tentava disperatamente di contattare Benjamin.
«Federico non andare nel panico, sono sicuro che non è successo nulla di grave… penso che si sia chiuso nel suo guscio come fa spesso ma stai calmo perché se ti agiti non gli fai bene, devi mantenere il sangue freddo», lo incoraggiò e il biondo strozzò un respiro in gola.
«Non so se ce la faccio, io non sono indistruttibile… cerco di fare del mio meglio, cerco di rassicurarlo sempre ma ciò che dice e che fa mi ferisce, io vorrei che la smettesse di trattarmi come se fossi di troppo, come se la mia vicinanza gli desse fastidio», si sfogò. «Mi fa stare male sentirmi così impotente, vorrei aiutarlo e stargli vicino ma me lo impedisce e non merito di essere trattato così, sono il suo fidanzato!», aggiunse mentre Dylan frenava ad un semaforo rosso.
«Nessuno merita di essere trattato in questo modo ma è la sua strategia per difendersi, so che non è facile… ci sono passato ma so che se c’è una sola persona al mondo che Benjamin vuole accanto sei proprio tu», rispose guardandolo con la coda dell’occhio. «Forse non te lo dimostrerà, anzi ti manderà via e ti dirà che non vuole vedere nessuno ma non è vero, so che se c’è qualcuno che può farlo star bene sei tu Fede… te lo assicuro, non ho mai visto Ben essere sereno come quando è con te».
«È questo che mi fa stare peggio, sapere che potrei farlo star bene ed essere allontanato! Lo so che mi basta poco per renderlo più tranquillo, me l’ha dimostrato tante volte eppure mi esclude, fa male Dylan… fa male sentirsi messi da parte dalla persona che ami».
«Devi essere forte per lui Fede e aspettare che gli passi, poi potrai esprimere tutto ciò che senti… parlagli a cuore aperto, so che ti capirà perché è evidente quanto ti ama e quanto tiene a te», replicò mentre si avvicinava alla loro destinazione. «Non è razionale, agisce così perché è ciò che ha imparato per difendersi… si chiude e allontana tutti per viversi il suo dolore senza condividerlo ma so che non vorrebbe ferirti, lo conosco abbastanza per sapere che nella sua testa in questo modo ti sta proteggendo, tenendoti al riparo dal casino che ha dentro».
Federico rifletté sulle parole dell’australiano e sapeva quanto fossero vere, eppure era consapevole di essere ad un passo dal crollo perché sentiva amplificarsi tutte le sensazioni che provava, dalla preoccupazione alla paura, dall’impotenza alla rabbia. Rimase in silenzio finché Dylan parcheggiò proprio sotto lo studio, dietro la moto di Benjamin.
«Puoi aspettare qui?», chiese prima di scendere dall’auto. «Non so se è il caso che guidi Ben e io non posso guidare la sua moto», aggiunse e l’amico annuì.
«Certo», confermò comprensivo. «Puoi gestire qualsiasi cosa Fede», lo incoraggiò e il biondo scese, sentendo le gambe pesanti ad ogni passo.
Salì i gradini due a due e bussò piano alla porta, con il fiato bloccato in gola. Bussò una seconda volta e poi una terza ma non sentì alcun rumore, il tempo sembrava essersi fermato e il palazzo era inghiottito dal silenzio.
«Benjamin so che sei lì, aprimi… sono Federico», disse continuando a bussare con insistenza. «Benjamin!», ripeté ma l’unica risposta che ottenne fu un fruscio di vento dalla strada.
Tentò di aprire ma la serratura era chiusa dall’interno con un giro di chiave e iniziò ad agitarsi, mentre un mix di rabbia e preoccupazione gli corrodeva lo stomaco prosciugando il suo autocontrollo.
«Ti prego Ben apri la porta!», esclamò alzando la voce, continuando a sbattere le nocche contro il legno. Una, due, tre volte e ancora il nulla. «Benjamin se non apri subito questa cazzo di porta la sfondo!», gridò rabbioso continuando ad abbassare la maniglia e si bloccò quando sentì dei passi incerti al di là dell’uscio.
Si congelò sul posto e rilasciò un sospiro di sollievo quando udì la chiave girare nella toppa.
«Smettila di gridare», intimò Benjamin senza neanche guardarlo, tornando a stendersi sul divano dandogli le spalle e Federico non riuscì a mantenere la calma.
«Smettila di gridare?», ripeté scioccato. «Non ho tue notizie da stamattina, non ti trovo a casa quando torno dal lavoro e l’unica cosa che mi dici è che devo smetterla di gridare?», chiese furioso, alzando la voce più di quanto volesse. Vide Benjamin rannicchiarsi affondando il viso nello schienale e afferrare un cuscino per stringerlo al petto, inerme e indifeso.
«Hai tutte le ragioni del mondo per essere arrabbiato con me e per odiarmi ma ti prego non urlare, mi esplode la testa da ore», disse con tono flebile e Federico si spostò nella piccola palestra adiacente alla sala d’attesa perché aveva bisogno di calmarsi per evitare di dire cose di cui si sarebbe pentito.
Sentì una fitta al centro del petto nell’osservare il moro così avvilito e devastato, capì che aveva trascorso l’intera giornata in quella posizione e immediatamente ripensò ai mesi che aveva passato nel letto senza neppure mangiare; si sentì male al solo pensiero che Benjamin potesse ricadere nel vortice della depressione e lasciarsi annientare da quel mostro angosciante.
Si prese qualche istante per liberare la mente da quei pensieri e dal miscuglio di rabbia, amarezza e agitazione che aveva alla bocca dello stomaco e lo raggiunse, inginocchiandosi per essere alla sua stessa altezza.
Gli sfiorò i capelli e la schiena, sperando che si voltasse smettendo di dargli le spalle ma non lo fece, rimase immobile così continuò ad accarezzarlo piano aspettando che dicesse o facesse qualcosa.
«Torna a casa, io resto qui».
«Puoi scordartelo, tu torni a casa con me Benjamin», rispose serio, con un tono che non ammetteva discussioni. «Non ti permetterò di escludermi, non hai il diritto di farlo», aggiunse deciso a non dargliela vinta, non quella volta.
«Voglio stare da solo e tu devi rispettare la mia decisione», affermò aggressivo, tentando di allontantarlo con un braccio ma era troppo debole per riuscirci.
«Tu devi rispettare me», ribatté tenendogli testa. «Che ti piaccia o no, in una coppia le cose si affrontano insieme».
«Io ti rispetto ma voglio che tu te ne vada, per favore Federico non rendere tutto più difficile, lasciami solo».
«Non mi rispetti se mi tratti così e io non sono più disposto a incassare tutti i tuoi colpi senza reagire, sono una persona e non un muro che puoi colpire a tuo piacimento!», esclamò e lo sentì sussultare, sapeva di averlo colpito con quelle parole.
Dopo qualche minuto lo vide muoversi quasi impercettibilmente e poi spostarsi per mettersi seduto e indossare le scarpe abbandonate ai piedi del divano. Non disse nulla ma si trascinò fino alla porta e Federico lo seguì in silenzio, parlando solo per avvertirlo della presenza di Dylan.
«Ti dico che voglio stare da solo e tu chiami i miei amici?», sbottò fregandosene del rimbombo della sua voce tra le pareti della scala.
«Non puoi guidare e io non ho la patente per la moto», rispose neutro. «Ero con lui, non l’ho chiamato apposta! Mi ha accompagnato a casa e poi qui, non l’ho fatto alle tue spalle», aggiunse non per giustificarsi ma per tranquillizzarlo.
Benjamin non rispose ma dopo avergli lanciato un'occhiata glaciale lo ignorò e smise di rivolgergli la parola, salendo in auto e posando la testa al finestrino, senza nemmeno salutare Dylan.
Il ragazzo non si stupì per gli atteggiamenti del moro ma si dispiacque per Federico e guidò il più veloce possibile per porre fine a quella situazione tesa e imbarazzante, pesante per tutti e tre.
«Ciao ragazzi, buonanotte», disse esitante accostando la macchina sotto casa del moro.
«Grazie Dylan, per tutto… a domani», rispose Federico mentre Benjamin scendeva senza neanche rispondere, dirigendosi al portone.
Lo aprì di fretta e non si preoccupò nemmeno di controllare se il biondo fosse entrato, si limitò a lanciare le chiavi sul tavolino e chiudersi in camera infilandosi nel letto senza nemmeno cambiarsi.
Federico lo ripagò con la stessa moneta ignorandolo per un po’; si diresse in cucina a prepararsi qualcosa per cena e mangiò da solo fissando il piatto, cedendo solo dopo più di un’ora bussando alla porta con un vassoio tra le mani.
«Ti ho preparato due toast e una spremuta», annunciò posando la cena sul comodino. «Li lascio qui», aggiunse e uscì ma la voce di Benjamin lo fece bloccare sui suoi passi.
«Non ho fame», il tono piatto ma deciso.
«È da stamattina che non tocchi cibo», rispose apprensivo.
«Non devi dirmelo tu, lo so benissimo che non mangio da ore ma so anche che ho lo stomaco chiuso, porta via questa roba», ribatté acidamente.
«Benjamin la devi smettere di usare questi toni con me», affermò infastidito.
«Altrimenti che cosa fai?», lo provocò sfrontato. «Mi lasci? Fallo, tanto sono abituato a perdere le persone che amo», disse scrollando le spalle.
«Non dire cazzate, non voglio lasciarti!», esclamò calmo. «Voglio essere trattato come merito e in questo momento voglio che mangi qualcosa, almeno un toast Ben».
«Non ho due anni e tu non sei mia madre, ho detto che non voglio mangiare!», urlò tirandosi le coperte fin sopra le orecchie e Federico si arrese, uscendo dalla stanza e poi dalla casa, sedendosi sull’amaca in giardino.
Rimase a contemplare il cielo stellato sentendo un peso posarsi sullo sterno finché si appellò all’unica persona che avrebbe potuto aiutarlo.
«Ciao Brad, scusa se ti disturbo a quest’ora», disse quando sentì la sua voce al telefono.
«Ehi, non preoccuparti!», rispose gentile. «Ma credo che dovrei preoccuparmi io, è successo qualcosa vero?», aggiunse subito e il biondo si morse il labbro nel vano tentativo di calmarsi.
«Benjamin ha passato l’intera giornata sul divanetto del suo studio, mi ha ignorato finché non sono stato io a raggiungerlo lì e ora non vuole alzarsi da letto, non vuole neanche mangiare e io non so cosa fare… non ce la faccio Bradley, mi spezza il cuore vederlo in quel modo ma sono così incazzato per come mi sta trattando», disse alzandosi per macinare passi in giardino e tentare di rilassarsi. «Mi urla contro e dice frasi sprezzanti ma lo vedo che sta soffrendo, non so come prenderlo stavolta e ho paura che possa cadere di nuovo in depressione, ho… ho paura», precisò abbassando la voce per non farsi sentire.
«Ha solo bisogno di sapere che ci sei, anche se non ha voluto mangiare ha visto che gli hai preparato qualcosa… anche se ti ha escluso ha visto che tu eri lì per lui e ha bisogno di questo, di sapere che non è solo», rispose sussultando al ricordo di quei momenti terribili in cui il suo migliore amico era un tutt’uno con le lenzuola stropicciate. «Non arrenderti mai, assecondalo e lascialo da solo ma poi torna da lui finché stremato cederà agli abbracci, alle parole e ti darà retta quando gli dirai di mangiare».
«Non eri furioso con lui quando ti trattava male?», chiese osservando una nuvola.
«Sì Federico, certo che lo ero… non sentirti in colpa se ti fa incazzare, è normale ma non lasciarti annientare dalla rabbia, fatti valere ma stagli vicino», lo incoraggiò e il biondo rilasciò un sospiro passandosi una mano tra i capelli. «Passerà presto, vedrai… sta andando dalla psicologa, è solo una crisi passeggera e sono certo che saprai gestirla al meglio ma per qualsiasi cosa io sono qui così come tutti gli altri».
«Grazie Brad», disse abbozzando un sorriso tirato anche se l’altro non poteva vederlo.
Sospirò piano ed entrò a bere un sorso d’acqua prima di tornare da Benjamin, trovandolo nella stessa posizione in cui l’aveva lasciato. Steso con la testa sul cuscino, le lenzuola tirate fino alle orecchie e le ginocchia piegate, l’unica differenza era che quella volta stava piangendo e Federico non esitò un solo secondo, poteva fare il duro ed essere incazzato ma alle lacrime del moro non sarebbe mai riuscito a rimanere indifferente.
Non disse nulla, si limitò ad infilarsi sotto le coperte e ad avvicinarsi a lui, cingendogli il bacino con un braccio.
Lo sentì irrigidirsi, sapeva che avrebbe voluto dirgli di andarsene ma anche che non aveva neppure la forza di farlo.
«Piccolino», sussurrò stringendolo a sé, spalmandosi contro di lui per tentare di farlo rilassare almeno un po’ attraverso le sue carezze gentili, lasciate ovunque riuscisse ad arrivare. «Non ti lascio neanche stavolta», disse ricordando i suggerimenti di Bradley e Dylan, determinato a dimostrargli che non se ne sarebbe andato mai.
Il moro non replicò e non si mosse ma Federico sapeva che era sveglio, quindi continuò a parlare piano, come se si stesse rivolgendo a un bambino perché in quel momento Benjamin era incredibilmente indifeso.
«Resto con te, mi hai sentito?», disse consapevole che avesse sentito benissimo. «Lo so che provi ad escludermi perché è così che sei abituato a gestire queste cose ma so anche che non è ciò che vuoi davvero, so che vuoi sentirti amato e protetto», continuò quasi bisbigliando, c’era così tanto silenzio oltre alla sua voce che riusciva quasi a sentire le lacrime scivolare sul suo viso. «Puoi urlarmi addosso e dirmi di andarmene, puoi fare lo stronzo e usare parole o frasi sprezzanti che hai collaudato in questi anni di dolore e io potrò incazzarmi, potrò anche assecondarti e andare via sbattendo la porta ma tornerò sempre da te, tornerò sempre qui e ti abbraccerò per ricordarti che andrà tutto bene», concluse e smise di parlare, limitandosi a stringerlo forte, continuando ad accarezzarlo piano.
Avrebbe voluto sentire la sua voce, sentirgli dire qualsiasi cosa ma non successe e si chiese come il moro riuscisse a rimanere immobile, però si accorse che aveva smesso di piangere e lo considerò un gran successo. Aspettò ancora e ancora, senza capire quanto tempo fosse passato da quando l’aveva raggiunto e fece un nuovo tentativo.
«Ti va di mangiare almeno un toast? O qualsiasi altra cosa tu voglia… devi mangiare amore, fallo per me», disse quasi supplicandolo e lo vide scuotere impercettibilmente la testa ma non si arrese. «Non puoi dire no anche al tuo frullato preferito, vado a preparartelo», annunciò ma non fece in tempo a pensare di spostarsi che Benjamin raggiunse la sua mano ferma sulla propria pancia per stringerla facendolo bloccare all’istante.
Federico pensò di averlo sognato ma poi il moro fece intrecciare le loro dita e capì che non l’aveva sognato e anzi, quello era il suo modo per dirgli che non voleva che se ne andasse, che lo voleva lì vicino, addosso.
«Resto qui amore, non vado da nessuna parte», confermò stringendogli piano la mano, osando scegliendo di lasciargli un bacio leggero sulla nuca.
«Ho un po’ di fame», sussurrò dopo diverso tempo e anche in quel caso Federico pensò di averlo sognato. «Ma ho paura di vomitare, ho la nausea e lo stomaco attorcigliato su se stesso», aggiunse a voce bassa.
«Almeno provaci, solo qualche morso Ben… se stai male lo lasci ma almeno provaci, per favore», tentò di convincerlo e dovette impegnarsi ancora un po’ prima di riuscirci ma alla fine ottenne ciò che sperava.
Vedeva quanto Benjamin fosse in difficoltà mentre seduto a gambe incrociate sul letto mordicchiava il toast sbriciolando ovunque, sapeva che si stava colpevolizzando e probabilmente anche vergognando per tutto quanto e lo osservò tornare a distendersi subito dopo aver finito, a fatica, il panino.
«Ben vieni qui», lo invitò sistemandosi con la schiena contro la spalliera e le gambe divaricate per fargli spazio. «Non stenderti subito, hai appena mangiato… vieni qui dai», precisò e lo vide riflettere in silenzio prima di vederlo muoversi lentamente fino a ritrovarselo con la schiena appoggiata al proprio petto. Se lo tirò addosso annullando ogni distanza, muovendo piano le dita lungo le sue braccia, sorridendo quando il moro reclinò la testa posandogliela sulla spalla. Lo prese come un segno e incastrò le mani tra le sue ciocche scure giocandoci un po’, sperando di non essersi illuso quando gli sembrò che fosse leggermente più sereno.
«Sei sempre così premuroso quando ti prendi cura di me...», sussurrò Benjamin dopo una buona mezz’ora trascorsa in silenzio, a lasciarsi sfiorare dall’unica persona che voleva avere vicino, sempre e per sempre. «Vorrei dirti di andartene perché odio farmi vedere così, odio sentirmi vuoto e patetico ma se te ne vai nulla ha più senso, se te ne vai io non ho più alcun senso… mi odio per come ti ho trattato, non ricordo nemmeno tutte le cattiverie che ti ho detto ma non le penso, penso solo che a volte odio tutto, odio me e i miei pensieri, odio essere debole, odio le mie reazioni e come mi comporto, forse odio il mondo intero e mi dà così tanto fastidio persino respirare ma se c’è una cosa che non ho mai odiato e che non mi ha mai infastidito sei tu e io non credo di meritarti, soprattutto quando mi comporto così ma ho bisogno di te, ho bisogno di sapere che mi ami anche se vorresti odiarmi per come reagisco quando la vita mi scombussola tutto», disse confuso senza neanche sapere se ciò che diceva avesse un filo logico.
«Non potrei odiarti neanche se lo volessi piccolino», rispose dolce, incapace anche solo di pensare di essere arrabbiato con lui.
Come poteva essere arrabbiato se nei suoi occhi lucidi leggeva tutta la sofferenza che lo stava annientando, come poteva essere arrabbiato se al solo pensiero di allontanarsi da lui si sentiva morire dentro?
«Solo non mandarmi via, non mi allontanare Benjamin perché io non ce la faccio, posso sopportare tutto ma non di sentirmi come mi sono sentito prima… inutile e messo da parte come se non contassi niente, come se fossi soltanto un muro da prendere a calci per sfogarsi. Hai bisogno di me, hai bisogno che io sia forte e lo sono, lo sono davvero ma anche io ho dei sentimenti e non accetto di essere trattato così, lo capisci vero?».
Il moro annuì senza parlare e non riuscì a controllare le lacrime, le sentì scivolare lungo le guance e non si oppose, semplicemente arreso all’ennesimo crollo.
Sapeva di aver ferito Federico e non riusciva a perdonarselo, il dolore per aver fatto male alla persona che amava si stava infiltrando ovunque, gli scorreva nel sangue e si mescolava alla rabbia cieca che provava per Scott, per i giornalisti che stavano speculando su un’indiscrezione, per non riuscire a gestire le difficoltà e per essere così maledettamente debole.
Tornò indietro di qualche anno e rivide scorrere davanti agli occhi i frammenti dei suoi mesi trascorsi a letto, in cui l’unica cosa che lo faceva sentire vivo era la sofferenza di cui si nutriva grazie ai sensi di colpa che provava. Rivide lo sguardo devastato di sua madre e sentì le sue suppliche, i suoi tentativi di convincerlo ad alzarsi e le sue risposte sempre tutte uguali, preconfezionate ma sincere. Non ce la faceva, era completamente svuotato e privo di forze, voleva davvero alzarsi da quel maledetto letto ma anche solo allungare le gambe per appoggiare i piedi sul pavimento era uno sforzo immane e allora se ne stava lì, con la mente annebbiata a sniffare il suo dolore, con gli occhi vitrei e così spenti da intimorire suo padre.
Rivide le giornate tutte uguali, cambiavano i numeri sul calendario ma non le sue sensazioni, sempre le stesse, e l’aria che si faceva più asfissiante, la tachicardia improvvisa che gli spezzava il respiro e la voglia di addormentarsi senza più aprire gli occhi che di tanto in tanto si presentava a bussare nella sua testa ma solo per poco, perché a togliersi la vita non ci aveva mai pensato, lui voleva vivere proprio per sentire tutto quel dolore e nutrirsene fino in fondo, fino ad assorbirlo e farlo diventare una parte di sé. Voleva soffrire, voleva che i sensi di colpa gli si conficcassero sotto pelle, bruciando come ustioni.
E ci era riuscito, si era nutrito del suo malessere finché era diventato troppo da sopportare persino per lui, soprattutto quando l’aveva visto riflettersi sulle spalle dei suoi genitori e non poteva permetterselo, non poteva aumentare il loro dolore già alle stelle, e così se ne era andato riuscendo a radunare solo qualche vestito e un briciolo di forza per cercare un appartamento e sgattaiolare via di notte, lasciando solo un biglietto scritto di fretta.
«Amore non piangere più», lo implorò Federico asciugandogli le lacrime e il moro si riscosse all’improvviso, sentendo i suoi pollici sfiorargli le guance. «Non piangere», ripeté dolcemente e Benjamin si aggrappò alla sua maglietta stringendola forte nei pugni, singhiozzando senza neanche sapere perché stesse piangendo.
Non era solo per Scott e lo sapeva, era per tutto quello che ancora aveva da risolvere e per i suoi demoni che si erano risvegliati, stuzzicati da chi sapeva dove colpire.
Si sentiva completamente fuori controllo perché aveva il terrore di precipitare di nuovo nel tunnel in cui aveva abitato per anni, era terrorizzato all’idea di provare le stesse sensazioni e di perdere le cose belle che aveva riscoperto con Federico, di tornare ad essere il ragazzo distrutto e spezzato a metà che era stato per cinque lunghi anni.
Da quella mattina i colori del suo mondo sembravano essersi schiariti lasciando posto alle ombre grigie, Scott aveva semplicemente acceso la miccia facendo esplodere tutto, come il primo tassello del domino che con un soffio di vento cade e trascina con sé le altre tessere fino a distruggere l’intera costruzione.
«Amore...», sussurrò il biondo continuando a tenerlo stretto, lasciandolo sfogare mentre il cuore si spezzava ad ogni sussulto del fidanzato che sembrava non riuscire a calmarsi.
Si limitò ad accarezzarlo piano, sfiorandogli lentamente la schiena e i capelli, sdraiandosi per fargli appoggiare la testa sul petto e stringerlo come se potesse rompersi da un momento all’altro, eppure gli sembrava già così distrutto.
Non sapeva cosa fare e i minuti sembravano interminabili così come i singhiozzi del moro che si calmò dopo quella che a Federico sembrò un’eternità, si calmò soltanto perché cedette al peso della stanchezza e crollò nel sonno mentre il biondo continuava a incastrare le dita tra le sue ciocche scure stando attento a non svegliarlo.
«Ti amo così tanto», sussurrò sfiorandogli il naso e poi le guance, scendendo fino alle labbra. Contemplò il suo viso ancora segnato dalle lacrime eppure sempre bellissimo, lo contemplò senza riuscire a distogliere lo sguardo.
Non seppe nemmeno perché ma avvertì il bisogno di parlare ad alta voce e lo fece, rivolgendosi al fidanzato anche se non poteva sentirlo.
«Sei incredibilmente incasinato e complicato, vivere la nostra relazione è come stare perennemente sulle montagne russe eppure mi va bene così, mi va bene tutto questo con te perché non ti cambierei con nessun altro, lo sai?», disse piano. «A volte mi fai incazzare tantissimo ma non riesco ad essere arrabbiato con te per più di cinque minuti, a volte vorrei prendere tutto il tuo dolore e soffiarlo via ma non posso e allora lo vivo con te ma fa male vederti soffrire, fa male più di tutto il resto», continuò sfogandosi un po' sentendosi patetico perché stava parlando da solo. «Prima di te non avevo mai affrontato nulla di simile e non sapevo nemmeno di avere la forza per farlo, è proprio vero che l’amore cambia il modo di vivere e di vedere il mondo», le dita a tracciare il profilo della sua colonna vertebrale. Sorrise nel sentire Benjamin stringersi di più a lui nel sonno, era incredibile vedere come lo facesse senza neanche accorgersene.
«I tuoi casini sono anche miei, lo sono da quando ti ho visto su quel muretto e non sapevo neanche il tuo nome… avevo visto così tante persone quel giorno, così tanti occhi e sorrisi ma ho notato solamente te, che nemmeno mi avevi rivolto uno sguardo», gli baciò la fronte, spostandogli una ciocca ribelle scivolata sul viso. «Così indifeso, così distrutto… ti proteggo da tutto amore, te lo prometto», concluse il suo monologo prima di spegnere la luce e provare a rilassarsi un po’, cullato dal respiro finalmente tranquillo di Benjamin.
«Federico», si sentì chiamare con il suo strano accento e la voce assonnata, a notte inoltrata, svegliandosi all’istante.
«Piccolino, è ancora notte… dormi», rispose stiracchiandosi un po’, sentendo i suoi piedi freddi sbattergli contro la gamba.
«Mi dai un bacio?», chiese sussurrando e il biondo sentì il cuore perdere un battito per quella richiesta improvvisa e inaspettata. Benjamin si era svegliato, nel cuore del sonno, e la prima cosa che aveva pensato era chiedergli di baciarlo.
Si spostò mettendosi su un fianco per trovarsi faccia a faccia con lui e gli prese il viso tra le mani, sfiorandogli entrambe le guance con i pollici prima di far combaciare le loro labbra in modo leggero e dolce. Quelle del moro erano secche e screpolate, sapeva che le aveva mordicchiate nervosamente, eppure sempre morbide e calde.
«Ti amo», disse Benjamin soffiando sulla sua bocca schiusa.
«Io di più», rispose incastrando le dita tra i suoi capelli spostandoli all’indietro. «Vuoi bere un bicchiere d’acqua? Hai fame o…?», aggiunse preoccupato, chiedendosi perché si fosse svegliato all’improvviso.
«No io…», si bloccò. «Avevo freddo, ho aperto gli occhi e ho sentito il tuo cuore battere proprio sotto il mio orecchio e volevo… volevo solo un bacio, scusa se ho svegliato anche te ma io avevo bisogno di dirtelo, di dirti che ti amo nonostante quello che sono. Sbaglio sempre tutto e combino un danno dopo l’altro ma quello che provo per te è quanto di più bello e giusto io abbia mai fatto nella mia vita piena di errori e passi falsi, sei la cosa più speciale che ho… la più importante», disse tutto d’un fiato.
Federico sentì i brividi decorare la sua pelle creando tante piccole costellazioni e gli toccò la punta del naso prima di attirarlo a sé e baciarlo ancora, a fior di labbra, senza mai spingersi oltre.
«Sei il mio piccolo casino ambulante ma ti amo così tanto che a volte penso di impazzire», rispose abbracciandolo, sentendolo tremare tra le sue braccia. «Hai ancora freddo amore?», chiese preoccupato perché faceva caldo e il moro aveva indosso una maglietta a mezze maniche e un paio di pantaloni della tuta.
«Sì ma se mi abbracci sto bene», rispose e Federico scosse la testa.
«Ti abbraccio da ore eppure hai ancora freddo, prendo una coperta», lo avvisò e si alzò ma Benjamin lo seguì e gli si avvinghiò addosso mentre frugava nell’armadio.
«Vieni in cucina con me?», chiese e il biondo annuì non prima di prendere una felpa a caso e posargliela sulle spalle.
«Va tutto bene amore?», domandò dubbioso quando raggiunsero la stanza e vide il moro sedersi a tavolo, prendendosi la testa tra le mani.
«Sì, solo… ho fame», ammise scrollando le spalle, senza avere le forze per alzarsi a cercare qualcosa da sgranocchiare. Odiava sentirsi così debole ma era abituato, aveva vissuto in quel modo per mesi e mesi, appoggiandosi completamente a Rachel e Bradley.
Federico si avvicinò a lasciargli una carezza tra i capelli, aveva il viso incredibilmente pallido e gli occhi privi di luce, era ancora provato dal maremoto nel quale aveva nuotato poche ore prima e al biondo si strinse il cuore nel vederlo così ma pensò che il suo appetito fosse un buon segno così come il fatto che gli stesse parlando.
«Latte e biscotti?», propose sapendo quanto gli piacesse quell’accoppiata vincente e infatti lo vide annuire mentre tentava di rivolgergli un sorriso che assomigliò a una specie di smorfia strana. «Ecco qua amore», disse poco dopo, avvicinandosi con il vassoio sul quale aveva appoggiato la tazza e alcuni dei suoi frollini preferiti.
«Grazie», disse in un sussurro e iniziò a mangiucchiare un biscotto sperando che la nausea e il senso di pesantezza che avvertiva all’altezza dello stomaco svanissero presto. «Per tutto», precisò e il biondo si sedette accanto a lui sfiorandogli il braccio.
«Sei proprio un piccolo bimbo», disse dolce osservandolo mentre scompariva dietro la tazza, sollevandola con entrambe le mani come faceva sempre. Rimase a guardarlo e si sentì sollevato nel vederlo mangiare tranquillo anche se gli sembrava che fosse un po’ in trance, come se non fosse davvero lì ma si riscosse dalle sue preoccupazioni quando il moro si alzò per andare a sedersi sulle sue ginocchia e accoccolarsi a lui.
«Mi calma averti vicino», confessò appoggiando la testa sulla sua spalla. «Torniamo a dormire?», aggiunse e Federico annuì, alzandosi reggendolo tra le braccia.
«Buonanotte amore… se ti svegli di nuovo chiamami», disse infilandosi sotto le coperte, abbracciandolo da dietro.
«Buonanotte», rispose cercando la sua mano, godendosi il suo respiro contro il collo. «Mi parli un po’ in italiano finché non dormo? Mi rilassa», chiese e il biondo sorrise prima di baciargli piano la nuca. Lo accontentò e disse qualsiasi cosa gli passasse per la testa, raccontò delle sue passeggiate tra le vie di Roma e delle sue estati in campagna dai nonni, continuando a parlare finché capì che si era addormentato.
«Vorrei baciarti in ogni angolo di Roma e dirti che io e te facciamo invidia a tutta la città, che Roma è meravigliosa ma il nostro amore di più», fu l'ultima frase che disse prima di addormentarsi.-
Angolo autrice
Ciao ❤
Piccola sorpresa per voi, spero vi sia piaciuta! È la prima volta che aggiorno due giorni di fila in questa storia e mi auguro che questo capitolo inaspettato vi abbia emozionato come ha emozionato me mentre lo scrivevo.
Io vi giuro che non so perché nelle mie storie Ben deve sempre soffrire ma vi prometto che presto tornerà a stare bene.
Sapete che amo gli happy ending, abbiate fiducia in me 🤗
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As free as the ocean | Fenji
FanfictionOgni persona vive il dolore in modi diversi. C'è chi lo combatte e reagisce, rialzandosi più forte di prima e portando con orgoglio le proprie cicatrici, dimostrando che si può rinascere dalle ceneri. E poi c'è chi lo assorbe fino a farlo diventare...