One step at a time

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You can't erase
You can't replace it
I miss it now
I can't believe it
So hard to stay
Too hard to leave it

If I could relive those days
I know the one thing
that would never change.
[Photograph; Nickelback]


Benjamin sentiva il corpo del biondo addosso al proprio, le sue mani strette intorno ai fianchi e percepiva persino il suo profumo, quello che gli aveva regalato qualche giorno prima. 
Eppure, mentre guidava la moto tra le strade silenziose di Byron Bay sentiva l’ansia aumentare ad ogni metro, non riusciva a calmarsi nemmeno respirando la tranquillità di Federico. Non sapeva se sperare che il tragitto fosse più lungo così da ritardare il momento in cui avrebbe scombinato di nuovo tutti i suoi equilibri, o se sperare di arrivare a destinazione il prima possibile e togliersi il pensiero. 
Aveva fatto quel percorso così tante volte da poterlo fare ad occhi chiusi, conosceva ogni angolo ma allo stesso tempo tutto gli sembrava nuovo e diverso perché erano trascorsi cinque anni e in quei cinque anni erano cambiate troppe cose fuori e dentro di sé. 
Riconobbe la staccionata rossa dei vicini e i fiori del loro giardino, notò il lampione all’angolo della via e si accorse che la villetta in costruzione era stata finita ed era bellissima. 
Respirò a fondo quando accostò la moto al marciapiedi e spense il motore, esitando a togliersi il casco come se volesse custodire la certezza di poter ripartire subito nel caso in cui la paura gli impedisse di scendere e imboccare il vialetto di casa sua. 
«Amore sono agitato… non so se ce la faccio», riuscì a dire, deglutendo a fatica. 
«Andrà tutto bene Benjamin, non sono degli estranei… sono i tuoi genitori», lo rassicurò continuando a stringerlo da dietro anche se erano fermi. Posò il mento sulla sua spalla e gli lasciò un bacio sul collo prima di tranquillizzarlo ancora. «Devi seguire soltanto il tuo cuore, so che ti sei preparato mille discorsi ma non ti serviranno! Sono con te amore, ti aspetto qui». 
«Vorrei che tu venissi con me», ammise girandosi quanto bastava per incrociare i suoi occhi. «Mi basterebbe guardarti per tranquillizzarmi, mi basterebbe stringerti la mano e tutto tornerebbe al suo posto… non so se ce la faccio, so che sono i miei genitori ma in cinque anni sono cambiate tante cose e mi sembra di non conoscerli più, mi sembra di non conoscere più nemmeno me stesso», aggiunse e sentì le mani tremare così le strinse intorno al manubrio fino a far diventare le nocche bianche. 
«Ben puoi gestire tutto questo anche da solo, forse non lo credi ma io sì e so che quando ti vedrò uscire da quella porta mi darai ragione», rispose e lo vide annuire. «Incontrerò i tuoi quando vorrai ma oggi è il vostro giorno, io sarei fuori luogo!».
«Tu non sei mai fuori luogo ma ho capito cosa vuoi dire», commentò e distolse lo sguardo per un attimo, facendolo posare sulla facciata di casa. Osservò una parte della veranda e intravide il dondolo sul quale trascorreva i pomeriggi con Aiden quando non si allenava, notò il giardino perfettamente curato e si decise a scendere dalla moto ma fece solo qualche passo prima di voltarsi a cercare gli occhi azzurri di Federico. «Amore?», lo chiamò e si morse il labbro. 
«Dimmi ma non preoccuparti per me, non mi muovo da qui perché non saprei dove andare e poi non ho mai guidato una moto!», disse per sdrammatizzare. 
«Ti amo!», esclamò e il biondo sorrise, incredulo per quelle parole arrivate così all’improvviso quando si aspettava tutt’altro. 
«Ti amo anch’io», rispose con il cuore in subbuglio e la voglia di far sapere all’intero vicinato quanto fosse completamente e irrimediabilmente innamorato di quel surfista tutto incertezze e paure. 
Benjamin gli regalò un sorriso e imboccò il vialetto, compiendo l’ennesimo passo nel suo percorso di rinascita, avvicinandosi sempre più all’idea di felicità che si era costretto a dimenticare. Bussò e mentre aspettava che qualcuno gli aprisse lanciò un’occhiata al giardino, ripensando a quante ore aveva speso lì all’aperto a godersi la calma di quella zona della città. La sua mente stava iniziando un viaggio verso l’ignoto ma la voce di sua madre lo impedì e quando i loro sguardi si incrociarono, Benjamin sentì gli occhi inumidirsi e la abbracciò d’istinto, respirando quel profumo familiare e avvertendo quel senso di calore che aveva sempre percepito tra le sue braccia. 
«Tesoro», sussurrò la donna accarezzandogli la schiena. «Bentornato a casa, non sai quanto mi sei mancato», aggiunse.
«Lo so mamma», rispose. «Lo so perché è quanto voi siete mancati a me», precisò e la strinse ancora più forte, tornando con la mente a quando era un bambino e gli abbracci di sua madre gli sembravano il posto più sicuro al mondo. Si allontanò da lei solo per oltrepassare la soglia e raggiungere suo padre, limitandosi a fissarlo per qualche secondo.
Fu l’uomo ad allargare le braccia e a quel punto Benjamin compì l’ultimo passo che lo separava da lui e si lasciò stringere, commosso per tutto l’affetto ricevuto nonostante si fosse comportato come un pessimo figlio negli anni precedenti. 
«Come stai Ben?», gli chiese Chloe tentando di spezzare l’imbarazzo che si era creato.
Benjamin si sedette sul divano occupando il suo posto di sempre, lasciando che gli occhi scivolassero ovunque tra quelle pareti indugiando sulle foto appoggiate sui mobili. Era tutto esattamente come l’aveva visto l’ultima volta eppure niente era uguale, l’assenza di Aiden era una presenza costante in quella casa e nei cuori di tutti i presenti. 
«Sto bene», disse solo, senza sapere bene cosa dire. «Forse bene è una parola grossa ma sicuramente sto meglio di quanto stavo l’ultima volta che mi avete visto», continuò e vide sua madre abbozzare un sorriso tirato. «Mi dispiace essere scappato ma qui non riuscivo a respirare e andarmene mi è sembrata la scelta giusta».
«È stato difficile accettarlo», intervenne Riley, suo padre. «Il dolore può unire o dividere le persone e alla nostra famiglia è successo di dividersi, forse era quello di cui avevamo bisogno per rialzarci anche se abbiamo sempre sperato che tu tornassi per elaborare il lutto insieme a noi», aggiunse e Benjamin annuì mentre notava quanto i suoi genitori fossero diversi. Erano entrambi cambiati, non soltanto per i segni del tempo ma soprattutto per quelli della sofferenza, incisi sui loro volti e nei modi di fare. 
«Avremmo voluto starti accanto e avremmo voluto che tu stessi accanto a noi ma sapevamo che convincerti sarebbe stato impossibile, abbiamo mantenuto contatti con Brad e Rachel per sapere qualcosa di te», disse la madre. «Sei sempre stato bravo ad escludere gli altri quando volevi farlo, è stata dura accettare che nostro figlio ci aveva tagliato fuori dalla sua vita ma forse neanche noi avevamo la forza per dimostrarlo». 
«È stata dura per tutti», constatò torturandosi le mani nel tentativo di calmarsi. «Ma siamo riusciti ad uscirne, ognuno a suo modo… no?». 
«Sì, per quanto possibile», confermò il padre. «Credo che non ne usciremo mai del tutto ma la terapia ci ha aiutato tanto e mamma mi ha detto che sta aiutando anche te». 
«Tantissimo», rispose, soddisfatto della scelta che aveva fatto chiedendo aiuto ad una professionista. «La strada è ancora lunga e piuttosto dissestata ma ho le scarpe giuste per percorrerla, ce la sto mettendo tutta per affrontare quello che mi ha distrutto in questi anni», aggiunse vago, sperando che i suoi genitori non scoprissero mai della sua vita parallela al Birdees e di quanto si fosse ferito in tutti i modi possibili arrivando a un passo dal compiere una scelta fatale. 
«Raccontaci qualcosa tesoro, sappiamo tutto ma vogliamo sentirlo da te», lo invitò Chloe porgendogli un vassoio di biscotti appena sfornati. Benjamin li guardò e la mente volò ai pomeriggi trascorsi in cucina, quei pomeriggi in cui la madre si metteva ai fornelli per cucinare qualsiasi cosa le venisse in mente e lui ed Aiden le chiedevano continuamente di poterla aiutare, rendendo la stanza un campo di battaglia e sporcando ogni angolo. 
«Sono andato a vivere in una casa vicino al mare e dopo mesi di depressione totale mi sono iscritto all’università, studiare era l’unica cosa che mi aiutava ad andare avanti», iniziò esitante. «Mi sono laureato con il massimo dei voti e ho aperto il mio studio dopo qualche mese, all’inizio è stata dura avviarlo ma Steve mi ha dato una mano, mandando da me i clienti della palestra in cui lavora… poi si è sparsa la voce e i pazienti sono aumentati sempre di più, tanto da farmi avere l’agenda quasi sempre piena. Sono bravo in ciò che faccio ma non è quello che voglio, o almeno non lo è adesso che ho ripreso a surfare», continuò e vide gli occhi di suo padre riempirsi d’orgoglio. Riley non era mai stato un uomo di troppe parole a differenza di Chloe ma Benjamin sapeva ascoltarlo anche se non parlava e capì che in quel momento era davvero fiero di lui. «Ho ricominciato da poco ma so che non voglio smettere mai più, l’oceano è il mio posto ed è il sogno che voglio inseguire». 
«Siamo rimasti tutti sconvolti quando i giornali hanno diffuso la notizia del tuo addio e credo di aver passato più di un’ora al telefono con Bradley per capire se lui sapesse qualcosa di più ma nessuno riusciva a comprendere come fosse possibile che tu avessi preso quella decisione», intervenne la madre lanciando un’occhiata al marito. 
«Ho rinunciato alla cosa più preziosa che avevo perché volevo punirmi, volevo impedirmi di essere felice e nel surf era racchiusa tutta la mia felicità», spiegò perché sentì di dover dar loro almeno una spiegazione. «Credevo di non meritarmi di essere ancora qui e mi sono punito in ogni modo possibile, persino il lavoro era un’occasione per farlo perché la maggior parte dei miei pazienti sono surfisti o comunque nuotatori e mi ricordavano quello a cui avevo rinunciato. Era una sofferenza continua per me ma la volevo, la volevo perché mi sentivo così tanto in colpa per aver privato Aiden della possibilità di essere felice che non volevo esserlo nemmeno io… ora sto riuscendo, piano piano, a capire che non ho alcuna responsabilità per quello che è successo nonostante sia stato io a chiedergli di prendere il mio posto e nonostante avessi dovuto esserci io a gareggiare», aggiunse e li vide con lo sguardo lucido ma era consapevole di doverlo dire, non poteva pensare di ricostruire un legame basato su una serie di bugie. Decise di omettere solo la parte in cui si era privato della propria dignità ubriacandosi e facendo sesso con chiunque nei bagni di una discoteca, non voleva che sapessero quanto loro figlio si fosse buttato via. 
«Oh, tesoro», sussurrò Chloe. «Forse non sono riuscita a capirti, forse ho sbagliato a sottovalutare il tuo senso di colpa...»
«No mamma, non farlo ti prego», la interruppe il moro, bloccando quel discorso prima che potesse continuare. «Non colpevolizzarti, eri distrutta per la morte di Aiden e nonostante tutto non mi hai fatto mancare mai nulla nei pochi mesi che ho passato qui… non potevi sapere quanto mi colpevolizzavo perché non te l’ho detto, vivevo quel dolore in silenzio perché volevo proteggerti e lo so che ho sbagliato perché ti ho fatto solo stare peggio ma purtroppo non posso cancellare questi cinque anni, credimi che vorrei farlo e lo farei se solo potessi, lo farei per me e per voi», disse mortificato, con gli occhi che iniziavano a riempirsi di lacrime che non voleva lasciar scivolare lungo le guance. 
«Non rimuginiamo più sul passato», intervenne Riley, da sempre il più razionale della famiglia. «L’importante è che tu stia riuscendo a liberarti di questi sensi di colpa! Non riesco nemmeno ad immaginare come ti sei sentito in tutto questo tempo… la morte di Aiden è stata terribile per tutti ma associata al senso di colpa dev’essere stata davvero ingestibile, tu poi eri lì e hai visto tutto, ti sei portato dentro qualcosa di più grande di te… mi dispiace così tanto Ben». 
Il moro smise per un attimo di respirare di fronte alle parole del padre, aveva colto nel segno e ne era rimasto incredibilmente sorpreso; si era sentito compreso fino in fondo senza il bisogno di dover spiegare perché la perdita di suo fratello fosse stata così totalizzante e l’avesse ridotto ad essere soltanto un corpo vuoto che camminava in bilico sul ciglio di un abisso pronto ad inghiottirlo al primo passo sbagliato. 
«Sto riprendendo la mia vita in mano, ho toccato il fondo ma sto risalendo… è per questo che non sono tornato prima, volevo tornare a stare bene davvero prima di farlo», continuò a dire e si decise a nominare, seppur indirettamente, Federico. 
Era a qualche decina di metri di distanza eppure lo sentiva vicino, era ormai consapevole di averlo sempre ad un millimetro dal cuore, di averlo dentro anche quando non c’era.
«È successa anche una cosa bella negli ultimi mesi», disse e la madre sorrise felice, non si aspettava un’affermazione simile e il moro non esitò oltre. «Mi sono innamorato», affermò sentendo un brivido attraversargli la colonna vertebrale fino a infiltrarsi al centro del petto. 
Vide i suoi genitori guardarsi e sorridersi prima di sorridere anche a lui e capì che non sapevano come commentare la notizia così decise di aiutarli e proseguì nel racconto.
«Lui è una persona meravigliosa, mi ha letteralmente salvato da quello che ero diventato e mi ha restituito la voglia di impegnarmi per tornare a vivere davvero… si chiama Federico e io gli devo tutto, è stato così paziente e comprensivo con me, mi ha fatto capire che sono degno di essere amato ed è grazie a lui se il mio mondo è di nuovo a colori», disse e si commosse, asciugandosi gli occhi mentre avvertì la voglia di correre fuori e abbracciarlo. 
«L’amore è ciò di cui tutti abbiamo bisogno… sono davvero felice tesoro e voglio conoscere questo ragazzo appena ti senti pronto, so che per te questi sentimenti sono nuovi quindi prenditi il tempo che ti serve», disse Chloe appoggiando una mano sul suo ginocchio. 
«Non è australiano, vero?», chiese il padre curioso. 
«No, l’hai capito dal nome immagino!», rispose tranquillo, parlare di lui era sempre bello. «È italiano, si è trasferito a Byron Bay perché sua nonna aveva origini australiane e quando è morta gli ha lasciato in eredità un albergo che si trova qui», spiegò orgoglioso di quanto il biondo avesse preso a cuore il suo progetto. «Lo sta ristrutturando con l’aiuto di Dylan, conosce già tutti i miei amici e siamo un bel gruppo, sono davvero grato di avere tutti loro accanto nonostante i miei comportamenti pessimi». 
«I tuoi comportamenti non fanno la persona che sei, il dolore e la rabbia spesso ci fanno agire come non vorremmo», lo tranquillizzò Chloe. «Perché non inviti il tuo fidanzato a cena da noi, magari tra qualche giorno?», propose. 
«Va bene mamma, molto volentieri», disse sereno, voleva che Federico incontrasse la sua famiglia e pensò di uscire a chiamarlo ma decise di non farlo, preferiva ascoltare il suo consiglio e si convinse ad aspettare. «Ma ora ditemi di voi, ho parlato troppo!», scherzò e rise imbarazzato, per la prima volta da quando aveva messo piede in quella che era stata casa sua per tanto tempo. 
«Non ti sei perso granché, siamo sempre gli stessi», disse Riley. «Per quanto possibile», specificò e tutti capirono senza bisogno di altre parole. 
«Papà ha ragione… io continuo a lavorare al resort viaggiando grazie ai clienti che mi raccontano dei paesi da cui provengono. Questo mese sono stata in Estonia, Grecia, Svezia e persino in Arizona… adoro ascoltare le loro storie e mi è capitato di incontrare tantissimi italiani, di che città è Federico?». 
«Roma», rispose sorridendo. 
«Ho visto delle foto, una coppia di sposi veniva da lì! Sono stati al resort qualche mese fa se non ricordo male», affermò e Benjamin fu felice di sentirla sempre così entusiasta per il suo lavoro, era convinto che fosse il migliore che potesse scegliere. 
«Lei chiacchiera con tutti e io invece percorro sempre gli stessi corridoi bianchi!», intervenne Riley scherzoso, fare l’infermiere e dare tutto se stesso per aiutare gli altri era sempre stato il suo sogno. «Steve ti ha detto che eravamo in ospedale quando hai fatto l’incidente?», chiese e Chloe lo guardò storto. 
«N-no io… non lo sapevo, Dio non sapevo che voi… che foste a conoscenza del mio incidente», rispose sentendosi in colpa per l’ennesima volta. «Ma come…?»
«Lavoro lì Benjamin, credevi davvero che non l’avrei scoperto? Uno dei miei colleghi mi ha avvisato subito e ci siamo precipitati lì!», lo interruppe. «Steven è stato molto esaustivo, quel ragazzo è speciale… l’ho sempre saputo ma quel giorno ne ho avuto la prova. Ci ha spiegato tutto, si è anche offerto di convincerti a farci entrare in stanza ma non volevamo metterlo in mezzo e gli abbiamo soltanto chiesto di tenerci aggiornati». 
«Non me l’ha mai detto… e nemmeno Dylan», affermò confuso. 
«Ho chiesto io di non farlo», ammise Chloe. «Non volevo peggiorare la situazione, non volevo che sapere di noi di destabilizzasse ancora di più», precisò e Benjamin annuì.
«Grazie, so che mi avrebbe messo in difficoltà… quell’incidente mi ha cambiato, forse è iniziato da lì il mio cambiamento e non avrei saputo gestire anche il rapporto con voi», disse e si alzò per sgranchirsi le gambe. 
Raggiunse il mobile del salotto e sfiorò con il dito una delle foto di famiglia, fissandola per imprimerla sotto le palpebre. 
«Che cosa...», iniziò ma si bloccò sentendo un nodo stringergli la gola. «Che cosa ne avete fatto delle cose di Aiden?», trovò il coraggio di chiedere. 
«È tutto al solito posto», rispose la madre. «Non sono riuscita a buttare niente e volevo che tu tornassi qui prima di fare qualsiasi cosa», aggiunse e il moro lo apprezzò, non avrebbe reagito bene se avesse scoperto che tra quelle pareti non c’era più nulla di suo. 
«Vado… vado un attimo in camera nostra», annunciò e sentì le gambe farsi pesanti come se il cuore lo volesse trascinare tra quelle mura ma i muscoli no. 
Strinse la mano intorno alla maniglia e respirò a fondo prima di decidersi ad abbassarla, pronto ad essere investito da un tornado di ricordi. Osservò le pareti piene di poster, fotografie e disegni di quando erano piccoli, le lampade ancora sul comodino, i letti perfettamente rifatti, le sue medaglie appese e qualche coppa qua e là sulle mensole, un vecchio calendario dell’anno in cui quella stanza aveva smesso di essere viva. 
Si sdraiò appoggiando la testa al cuscino e chiuse gli occhi, sentendo la risata di Aiden e frammenti delle loro chiacchierate notturne, le urla di quando si improvvisavano cantanti famosi impugnando qualunque oggetto passasse loro sottomano per usarlo come microfono. 
I ricordi di tutto ciò che era successo in quella camera nei sedici anni trascorsi con suo fratello si alternavano davanti ai suoi occhi come un cortometraggio; vide i pomeriggi a giocare con la plastilina e le macchinine, le serate a scambiarsi consigli sulla scuola, il surf o le amicizie, le finte litigate nate quando Aiden gli rubava i vestiti perché voleva far colpo su qualche ragazza. 
Pianse senza neanche accorgersene, pianse stringendo il cuscino e si rannicchiò come faceva da piccolo quando aveva paura dei mostri e si rifugiava sotto le coperte chiedendo alla madre di poter lasciare la luce accesa. 
Si alzò soltanto per osservare tutte le fotografie ma le guardò attraverso la coltre di lacrime, ricordando l’esatto momento in cui erano state scattate. Sfiorò il viso di Aiden seguendone i lineamenti e gli sembrò di sentire ancora il profumo del suo deodorante, quello che gli rubava di nascosto dopo ogni allenamento solo per il gusto di farlo sbuffare. 
Gli mancavano tutti quegli attimi fatti di semplicità eppure così importanti, gli mancava poterlo prendere in giro per qualsiasi cosa, entrare in camera urlando all’improvviso per farlo spaventare, tornare a casa con le sue caramelle preferite ogni volta che andava a fare la spesa, litigare quasi tutte le sere per scegliere un film da guardare e trovare un compromesso per superare l’enorme incompatibilità dei loro gusti. 
Gli mancava persino ciò che aveva sempre considerato strano, come la sua fissa di ordinare tutti i calzini e i boxer per colore, o quello che aveva sempre considerato fastidioso come il suo modo di russare quando era troppo stanco o il suo dimenticarsi sempre di abbassare la tavoletta del wc. 

As free as the ocean | FenjiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora