When the demon that's inside you
is ready to begin
And it feels like it's a battle
that you will never win
When you're aching for the fire
and begging for your sin
When there's nothing left inside,
there's still a reason to fight.
I'll be your reason to fight,
Give you a reason to fight.
[A reason to fight; Disturbed]Travis offrì un bicchiere d’acqua a Benjamin e gli diede una pacca amichevole sulla spalla, regalandogli un sorriso gentile.
«Sono fiero di te, ragazzo!», esclamò sincero. «E sono contento di essere riuscito a metterti sempre a tuo agio, avresti potuto scegliere chiunque per questa intervista eppure hai scelto me… hai acconsentito a lasciarmi carta bianca per le domande perché sai che sto attento a come le pongo», aggiunse grato.
«Mi fido di te Travis», rispose sereno. «Ho riflettuto molto prima di decidermi a parlare di quello che ho vissuto, sono sicuro di volerlo fare ma è comunque difficile per me. Tu mi rendi tranquillo, so che non devo preoccuparmi di ciò che mi chiedi… rilasciare questa intervista con qualcun altro sarebbe molto più complicato perché dovrei affrontare anche la paura di domande scomode o di poca empatia, con te so che questo rischio non lo corro», spiegò scrollando le spalle. «Tra quanto iniziamo?», domandò sfregandosi nervosamente le mani.
Era passato molto tempo dall’ultima volta in uno studio televisivo ma aveva accettato di partecipare al programma serale che Travis aveva lanciato l’anno prima; poteva scegliere di rilasciare un’intervista privata che poi il giornalista avrebbe fatto pubblicare su un giornale ma non voleva, preferiva poter parlare anche con gli occhi e instaurare un legame con chi lo ascoltava seppure attraverso uno schermo.
Non voleva che fosse troppo impersonale, aveva deciso di metterci la faccia e raccontare senza paura e senza vergogna gli anni più bui della sua vita.
«Il programma inizia tra cinque minuti ma tu entrerai in scena tra dieci, prima ti presento e faccio vedere un breve video sulla tua carriera e poi ti chiamo», gli ricordò.
Avevano deciso di non fare prove, entrambi volevano che fosse spontaneo.
«D’accordo, posso andare un attimo nel pubblico?», domandò incerto.
«Sì, puoi sederti in prima fila… ti ho fatto lasciare un posto accanto a quello del tuo ragazzo, è riservato proprio per te», disse indicando le poltroncine con la mano. «Puoi stare seduto lì finché non senti il tuo nome, mi raccomando Ben… sempre a testa alta», aggiunse raggiungendo il palco.
Benjamin andò a sedersi e incastrò le dita tra quelle di Federico ma non disse nulla, aveva solo bisogno di sentirlo vicino.
Il biondo era lì per lui, ancora una volta.
Era lì per lui come sempre, da quel primo giorno sulla scogliera non l’aveva mai lasciato né fatto sentire solo. Era la sua certezza, la sua costante, la conditio sine qua non* per la felicità e quel giorno avrebbe voluto dirlo davanti a tutta l’Australia.
«Sono lieto di invitare Benjamin a sedersi qui accanto a me», esordì Travis quando terminò il video che aveva riassunto gli highlights della carriera del moro fino a quel momento. «Ciao Benjamin, fai come se fossi a casa tua… accomodati», salutò amichevole quando il ragazzo raggiunse il palco, invitandolo a prendere posto sul divanetto.
«Ciao Travis, grazie a te per l’invito e la disponibilità… è sempre un piacere», rispose sincero, mettendosi comodo.
Si sentiva davvero come se fosse nel proprio salotto, era rilassato e aspettava la prima domanda per rompere il ghiaccio.
«Anche per me… ti vedo molto abbronzato, è merito delle moltissime ore che passi in spiaggia a plasmare nuove promesse del surf, vero?», chiese con tono ironico facendo ridere Benjamin e il pubblico.
«Credo proprio di sì, passo più ore in riva all’oceano che a casa mia ma è ciò che ho sempre sognato di fare… sono passati ormai tre mesi dall’apertura di waves on fire e non potrei essere più felice di così! Devo ringraziare soprattutto chi ha scelto di affidarsi a me per imparare a surfare», rispose sorridendo, sicuro che la felicità che provava l’avrebbe notata chiunque. «Oh, scusami… non volevo farmi pubblicità!», esclamò imbarazzato, pensando che forse non avrebbe dovuto dire il nome della scuola.
«Nel mio programma tutto è concesso purché sia legale», scherzò scrollando le spalle. «Chi ti conosce da un po’ e ha seguito la tua carriera sicuramente ricorda quante volte hai detto davanti ai microfoni o alle telecamere che il tuo sogno per il futuro era proprio insegnare surf… ci racconti come sei riuscito a raggiungerlo e come ti fa sentire?».
«Ho sempre saputo che questa sarebbe stata la mia strada, ero soltanto un bambino eppure dicevo che da grande avrei voluto essere un insegnante di surf… non ho mai cambiato idea, neanche quando mi sono preso una pausa dall’oceano! Ho sempre avuto le idee chiare e questo mi ha aiutato molto, mi sono informato e una volta scoperto cosa avrei dovuto fare beh… l’ho fatto! Mi sono messo sui libri e ho preso i brevetti necessari, poi ho affittato una sala in un edificio e l’ho sistemata come piaceva a me, per assurdo direi che la cosa più difficile è stata la scelta del nome... l’unica sulla quale ero piuttosto incerto perché non ci avevo mai pensato», rispose sistemandosi una ciocca ribelle scivolata sulla fronte passandosi una mano tra i capelli. «Mi sento molto orgoglioso perché waves on fire è esattamente come l’ho sempre sognata, anzi ha superato ogni mia aspettativa e se mi guardo indietro vedo quel ragazzino di quindici anni che nella sua stanza immaginava il giorno in cui avrebbe finalmente potuto dire di essere un istruttore di surf… beh, quel ragazzino ce l’ha fatta nonostante tutto».
«Cosa diresti al Benjamin di quindici anni fa?», chiese iniziando a spostarsi sul piano più introspettivo, scavando nella storia del moro. La conosceva bene, il ragazzo gliel’aveva raccontata a grandi linee e quella era stata un’altra dimostrazione di fiducia.
«Gli direi di non arrendersi mai e di non perdere di vista i suoi obiettivi, neanche in mezzo alla nebbia che impedisce di vederli… gli direi di non spaventarsi quando le cose si fanno difficili perché è in quel momento che deve dare il meglio! E poi di essere fiero di se stesso, di non ascoltare i giudizi degli altri e di andare avanti per la sua strada, perché lo porterà in un gran bel posto se avrà pazienza e voglia di camminare anche se a volte dovrà fermarsi a riprendere fiato dopo le cadute», disse e la voce iniziò a tremare un po’.
Pensò a tutte le cose che avrebbe davvero voluto dire al Benjamin adolescente ignaro di dover attraversare l’inferno dopo aver perso un pezzo di cuore e di uscirne vivo e ottimista.
«Prima hai accennato alla pausa dall’oceano e adesso hai parlato delle insidie lungo la via… so che non hai mai affrontato l’argomento in un’intervista e che è piuttosto delicato ma penso che tu sia pronto a farlo… è così?», chiese pur sapendo già la risposta.
Pose la domanda con cautela, dopo averla formulata con attenzione per mettere Benjamin a suo agio e capì di esserci riuscito quando il moro annuì con sicurezza.
«Sì, è vero… tutta Byron Bay e forse tutta l’Australia sa quello che è successo ma non ne ho mai voluto parlare perché volevo proteggere me stesso e la mia famiglia», esordì torturando il bracciolo della poltroncina. «Mesi fa ho rilasciato una breve intervista con te per spiegare del mio ritorno in mare e ho lasciato intendere alcune cose ma c’è molto altro che non ho mai detto, voglio farlo ora non per fare pena a qualcuno ed elemosinare attenzioni ma perché penso che possa essere d’aiuto», continuò deglutendo il nodo che aveva in gola. «Dopo la morte di mio fratello mi è crollato il mondo addosso, sentivo letteralmente un peso sullo sterno ad ogni respiro e da lì è iniziato il mio viaggio nel buio. Trascorrevo le giornate a letto, piangevo fino a farmi venire il mal di testa e avevo smesso di mangiare, volevo reagire ma non ci riuscivo… ogni piccolo gesto mi sembrava uno sforzo immane, un ostacolo insormontabile. Mi colpevolizzavo per quello che era successo, mi odiavo e continuavo a ripetermi che al posto di Aiden avrei dovuto esserci io… volevo urlare, lanciare oggetti contro il muro, far capire a tutti come mi sentivo ma era impossibile, nessuno poteva capirmi. Facevo incubi ogni notte, desideravo solo dormire e dimenticare per un attimo quello che era successo ma persino durante il sonno ero tormentato dalle immagini di quel giorno… rivedevo mio fratello inerme con le labbra viola e la linea piatta sul monitor, il suo corpo scosso dalle scariche del defibrillatore e poi sentivo le parole dei paramedici che dicevano di non poter fare più nulla. Mi ripetevo di dovermi alzare dal letto, di provare a stare un po’ meglio ma non ce la facevo e non è una scusa, o un capriccio. La depressione è un mostro che ti mangia da dentro e ti fa precipitare nel buio», disse e fece una pausa, preparandosi a continuare. «È andata avanti così per diversi mesi, finché un giorno in cui ero più lucido mi sono accorto di quello che il mio malessere stava provocando… ho visto il dolore negli occhi di mia madre e in quel momento ho deciso di andare via, non volevo costringerla a vedermi soffrire, non se lo meritava e l’atmosfera a casa era asfissiante così ho deciso di andarmene, ho affittato una villetta e mi sono iscritto all’università… qualcuno può pensare che stavo iniziando a stare meglio ma la verità è che stavo peggio, molto peggio. Studiare mi aiutava a non pensare ma quello che facevo non era per niente sano… ogni volta che chiudevo i libri tutto tornava come prima ed io ero quasi un robot, mi sentivo solo un corpo vuoto, sapevo che non stavo vivendo ma solo arrancando per non crollare. Era iniziata la mia autodistruzione e ne ero consapevole, era proprio quello che volevo… ferirmi in ogni modo possibile era la mia punizione, ero morto dentro ma quel dolore mi ricordava di essere vivo, lo volevo perché pensavo di meritarmelo. Non ho mai pensato di togliermi la vita, non volevo morire… io volevo vivere e portarmi addosso la sofferenza come una seconda pelle ed è per questo che ho smesso con il surf, perché era l’unica cosa bella che avevo e che poteva farmi stare bene. Per lo stesso motivo mi sono laureato in fisioterapia, così da lavorare a stretto contatto con surfisti e sportivi che ogni giorno mi ricordavano quello che avrei voluto essere e a cui avevo scelto di rinunciare… mi impegnavo e so di aver aiutato tante persone infatti sono contento di averlo fatto ma era solo l’ennesimo modo per ferirmi».
Si sistemò meglio sulla poltroncina e guardò Travis, che senza parlare gli fece capire di poter prendere il tempo di cui aveva bisogno prima di continuare. Sospirò ricordando il motivo per cui era lì e trovò la forza di andare avanti nel racconto.
«Ero l’ombra di me stesso, mi sentivo completamente svuotato e inutile, sapevo che mi stavo buttando via e avevo bisogno di qualcosa che mi facesse capire di essere ancora vivo, c’era il dolore ma non mi bastava più e così ho iniziato a bere per anestetizzare tutto… quando ero ubriaco mi sentivo benissimo, come se potessi lasciarmi ogni cosa alle spalle ma poi la sbronza passava e i miei demoni tornavano a farmi visita, così piombavo di nuovo nello sconforto totale. Bevevo solo nei weekend e mi sentivo euforico, talmente euforico da andare in discoteca e ubriacarmi fino ad annullare i miei freni inibitori… ho rischiato molto, ho condotto uno stile di vita sbagliato per anni e non voglio scendere nei dettagli ma tra le pareti di quel locale ho subìto anche un abuso, è stato il culmine di una serie di esperienze spiacevoli che mi hanno profondamente segnato», disse agitandosi un po’ al ricordo di quei momenti. «Come ho detto bevevo solo nei weekend, ne avevo bisogno per poter affrontare la settimana ma non era abbastanza e così, oltre al dolore e all’alcol, ho scoperto un altro metodo per sentirmi vivo… correre a velocità folli in sella alla mia moto mi regalava scariche di adrenalina lungo la schiena ed ero consapevole di quanto fosse pericoloso ma non riuscivo a smettere, ero entrato in un circolo vizioso… sapevo di esagerare e di sbagliare ma non volevo chiedere aiuto perché mi andava bene così, mi aiutava a sentirmi normale… avevo perso ogni stimolo, niente sembrava attirare la mia attenzione o la mia curiosità e solo gli stimoli forti riuscivano a svegliarmi dal torpore nel quale vivevo», continuò torturandosi le mani. «Mi vergogno molto a raccontare questa parentesi della mia vita… è stato difficile accettarla, più difficile di quanto sia stato chiuderla», disse prima di fare un’altra pausa della quale Travis approfittò per mandare la pubblicità.
«Stai andando alla grande Ben», lo incoraggiò sottovoce. «Vuoi che ti faccia delle domande o preferisci continuare a raccontare?», chiese capendo se poteva aiutarlo.
«Va bene così, almeno riesco a seguire un filo logico… ma per quanto ho parlato? Non voglio annoiare le persone», replicò confuso.
«Circa venti minuti ma va benissimo, è un argomento importante ed è giusto che tu segua l’istinto… non preoccuparti, sai che hai sempre carta bianca con me», rispose poco prima che tornassero in onda. «Benjamin, mi ha colpito molto ciò che hai detto… è stato più difficile accettare quella parentesi della tua vita piuttosto che chiuderla, vuoi ripartire da qui e spiegarci cosa intendi?», domandò restituendogli la parola.
«Certo, è un po’ complicato ma spero di riuscirci», affermò riorganizzando mentalmente le idee, voleva dare il giusto peso ad ogni frase. «Sapevo che il mio stile di vita era piuttosto rischioso, ho giocato con il fuoco e mi sono bruciato… una sera ho fatto un incidente in moto, guidavo a più di duecento chilometri orari e ho sbandato in curva, sono andato a schiantarmi rimbalzando contro il guardrail e poi addosso ad un albero. Non so come sia possibile ma ne sono uscito quasi illeso con una lussazione alla spalla, un trauma cranico e qualche ferita... è stato un miracolo, la mia moto era accartocciata ed è stato davvero un brutto schianto. Paradossalmente in quel momento ho capito con assoluta certezza di non voler morire… ho tentato di frenare ma è stato inutile e mentre cadevo rovinosamente sull’asfalto ho visto la vita passarmi davanti agli occhi. Ho visto i miei ultimi anni di buio e quelli in cui ero felice, ho capito che mi stavo buttando via e mi sono sentito in colpa ancora una volta. Lo ricordo come fosse ieri, ero steso in una posizione innaturale sul prato bagnato e mi faceva male tutto ma quel dolore l’ho abbracciato come un amico, era lì a farmi capire che ero vivo e non avevo perso la sensibilità del corpo… ho visto molti pazienti reduci da incidenti in moto, sapevo bene quello che sarebbe potuto succedere e mentre svenivo speravo di potermi risvegliare, mi sono aggrappato alla vita», disse e sorseggiò un goccio d’acqua, sospirando per lasciar scivolare via quei ricordi. «So di essere stato molto fortunato ed è proprio questo che mi ha fatto sentire colpevole, credevo di non meritare quella fortuna… fisicamente mi sono ripreso quasi subito ma psicologicamente no, è stato difficile accettare di essermi spinto così al limite e scendere a patti con la consapevolezza di essere arrivato ad un passo dalla morte solo per causa mia. Per mesi mi sono rifiutato di far aggiustare la moto, avevo paura di non riuscire a guidarla in modo normale e di cadere nella tentazione di spingere l’acceleratore al massimo», continuò scegliendo di non nominare, almeno per il momento, Federico. «Con gli alcolici è stato ancora peggio… dopo l’incidente sono stato costretto a stare a riposo per due settimane ma non sono bastate a rompere la mia routine e appena ho finito il ciclo di antidolorifici sono tornato in discoteca, pensavo di potermi controllare ma sbagliavo… sentivo come un richiamo continuo verso il bancone, buttavo giù un drink dopo l’altro e non riuscivo a fermarmi nonostante il giorno successivo fossi a pezzi. Bere mi anestetizzava permettendomi di spegnere i pensieri, i sensi di colpa, il dolore… era il mio modo per stare meglio ma stavo tirando troppo la corda e alla fine si è spezzata. Una sera ero talmente ubriaco da non reggermi in piedi e i miei amici mi avevano perso di vista, ero vulnerabile e qualcuno se n’è approfittato… un ragazzo mi ha trascinato nei bagni e mi ha violentato, non sono riuscito ad oppormi, non avevo neanche le forze per urlare e tentare di chiedere aiuto. Non è mai colpa delle vittime, razionalmente lo sapevo ma in quel momento come potevo non pensare di essermelo meritato? Pensavo che se fossi stato lucido avrei potuto difendermi, che forse non sarebbe successo… mi vergognavo, mi odiavo, mi sentivo violato e a pezzi, distrutto. Ho toccato il fondo quella notte, ho perso me stesso e in ospedale ho parlato con una psicologa… sapevo di averne bisogno ma come dicevo prima, io non volevo essere aiutato. Quel giorno invece le ho raccontato cosa mi fosse successo in discoteca e non riuscivo a smettere di parlare, è stato come distruggere una diga, togliere un tappo ad un contenitore chiuso da troppo tempo… ho pianto per ore e non è stato facile affrontare determinati argomenti ma mi ha salvato, quella dottoressa mi ha dato il numero di una sua collega che lavora qui a Byron Bay e l’ho chiamata, pregandola di aiutarmi a uscire dal buio in cui ero», si fermò e abbozzò un sorriso, ricordava quel momento come estremamente liberatorio. «Senza il suo aiuto da professionista non ne sarei mai uscito, è stato fondamentale… ho affrontato il mio lutto e sono riuscito a superarlo, mi ha insegnato a controllare le mie reazioni e adesso non ho più la voglia di bere quando qualcosa non va, sono tornato in sella alla moto e finalmente la guido come una persona normale. Non ho più gli incubi e non ho più bisogno del dolore o dell’adrenalina per sentirmi vivo, lei mi ha permesso di sviscerare ogni mia insicurezza e l’abbiamo affrontata insieme, le devo molto e voglio dire una cosa… non abbiate paura di chiedere aiuto, non è una vergogna intraprendere un percorso di psicoterapia. Mi rendo conto di quanto sia difficile riconoscere di avere un problema e farsi aiutare, io per primo ho avuto bisogno di tempo e non sono qui per dare lezioni di vita, voglio solo raccontare la mia esperienza… non è stato facile, spesso uscivo dal suo studio e mi sentivo a pezzi, molte volte volevo disdire le sedute perché affrontare certi argomenti mi spaventava… scavare dentro se stessi fa paura ma mi sono fidato di lei e sono completamente rinato, trovando il mio equilibrio. La vera difficoltà non è stata annullare alcuni comportamenti, con lei ho imparato a monitorare i miei sentimenti e controllare alcune reazioni ma il problema era accettare il mio passato, per questo ho detto che è stato più facile chiudere quella parentesi piuttosto che accettarla. Mi sentivo sbagliato, ero molto pentito non solo per quello che avevo fatto a me stesso ma soprattutto per il mio comportamento nei confronti delle persone che avevano sempre provato ad aiutarmi. Durante il percorso con la psicologa ci sono stati molti momenti negativi, ho avuto diverse ricadute ed è capitato di pensare che non ce l’avrei mai fatta eppure sono qui e sto bene, ora posso dirlo… sto bene e sono felice, continuo ad andare in terapia perché sento che il mio percorso non è ancora terminato ma adesso è tutto diverso, lei resta un punto di riferimento ma so di avere le risorse per farcela da solo e abbiamo diminuito le sedute, ho imparato ad essere razionale e i miei sensi di colpa sono svaniti… ho fatto pace con i miei demoni», concluse lasciando intendere a Travis di voler ricevere qualche domanda.
«Grazie di aver condiviso la tua esperienza Benjamin, hai mostrato la tua vulnerabilità e le tue debolezze e sono sicuro che tutti lo abbiano apprezzato… sei seguito da molte persone e ciò che hai raccontato può davvero aiutare chi sta attraversando un momento difficile, so che non è stato facile affrontare questi argomenti», commentò sistemandosi la cravatta.
«All’inizio, come ho detto, mi vergognavo del mio passato ed era quello il motivo per cui non ho mai voluto rilasciare interviste… poi parlando con la mia terapeuta sono riuscito a lasciar andare quella sensazione e gradualmente ho imparato ad accettare quegli anni e a capire che io non sono i miei errori, sono una persona che ha sbagliato e ne ha pagato le conseguenze. Adesso sono sceso a patti con quello che ho vissuto, non ne vado fiero ma lo accetto e riesco a vedere tutto in prospettiva, a trarne anche aspetti positivi», spiegò tranquillo, sapeva che il peggio era passato. «Ho deciso di parlarne perché ho imparato quanto è forte il potere della condivisione e se la mia storia può essere d’esempio e d’ispirazione anche solo per una persona allora sono felice di averla raccontata. Certo, è un po’ doloroso ricordare alcuni momenti difficili ma anche in questo la terapia mi ha aiutato, insegnandomi a non aggrapparmi più al dolore… vivevo ancorato al passato ma lentamente ho abbandonato i sensi di colpa per la morte di mio fratello e ho abbracciato la possibilità di essere felice anche senza di lui, ho capito che stare bene non equivaleva a fargli un torto».
«Vuoi raccontarci...»
«Scusa Travis», lo interruppe. «Forse molti si stanno chiedendo perché mi sentissi così colpevole se è stato un incidente… non avevo previsto di raccontarlo ma ormai non ha più senso nascondere alcuni pezzi del puzzle, voglio essere sincero e trasparente», disse facendo un respiro profondo. «Avrei dovuto gareggiare io quel giorno ma a causa di una mia decisione avventata ho peggiorato l’infortunio che già avevo e così è saltata la possibilità di partecipare alla gara… ho chiesto a Aiden di prendere il mio posto, non voleva ma l’ho convinto ad accettare perché sapevo che sarebbe stata un’ottima opportunità per un esordiente come lui e poi… io non… scusate», si bloccò sentendo una morsa stringergli lo stomaco e gli occhi farsi lucidi. «Mi ripetevo che se non avessi peggiorato il mio infortunio e insistito per convincerlo non sarebbe successo niente, mi sentivo in colpa ogni giorno e non mi importava nulla di quello che dicevano gli altri, continuavano a ripetere che non dovevo colpevolizzarmi, che era stata una fatalità, che dovevo smettere di dire che avrei dovuto esserci io al suo posto ma quelle parole non le ascoltavo neanche… ero convinto di quello che dicevo e non è stato facile riuscire ad abbandonare quei pensieri», spiegò a fatica, sentendo la voce cedere.
«Benjamin, vuoi raccontarci degli aspetti positivi che sei riuscito a trarre da quegli anni difficili?», chiese spostando l'attenzione su qualcosa che avrebbe fatto sorridere Benjamin. Gli dispiaceva vederlo così, il suo racconto lo aveva profondamente toccato perché ne conosceva solo una parte e non pensava che il resto fosse così intenso.
Pensò a quanto quel ragazzo, conosciuto quando era poco più che un bambino, fosse stato forte per attraversare una tempesta e uscirne quasi illeso, con la consapevolezza di avere addosso una ferita e il coraggio di mostrarla per raccontarsi.
Benjamin aveva una cicatrice che gli avrebbe ricordato ogni giorno quello che aveva vissuto ma con il tempo aveva smesso di fare male ad ogni sfioramento, era ciò lo rendeva un guerriero, un sopravvissuto.
«Ammetto che averli riconosciuti non è stato solo merito mio, senza l'aiuto di alcune persone probabilmente non ce l'avrei fatta», disse facendo una premessa necessaria, che sapeva avrebbe fatto sorridere Federico. «Indubbiamente uno è il mio lavoro di fisioterapista… come ho detto prima lo avevo scelto per farmi male, per guardare da lontano un mondo che avrei voluto fosse anche il mio ma dal quale avevo deciso di allontanarmi. Nonostante tutto, nonostante il periodo negativo che vivevo sono riuscito a laurearmi e anche se le circostanze sono state particolari lo considero un successo. Quando ho smesso di vederlo come un modo per farmi male ho iniziato ad apprezzare il mio lavoro… aiuto le persone e mi piace, sono sempre motivato e infatti nonostante l'apertura della scuola di surf non ho chiuso lo studio, anzi ho trovato una soluzione che mi permette di lavorare in entrambi i campi che non sono poi così lontani visto che essere un fisioterapista mi permette di seguire i miei allievi a trecentosessanta gradi e questo mi gratifica molto», disse sorridendo felice e con orgoglio. «Un altro aspetto positivo riguarda indubbiamente l'amicizia e gli affetti, non è facile stare accanto ad una persona che soffre e io ho fatto il possibile per allontanare tutti eppure i miei amici sono rimasti con me nonostante le risposte sprezzanti, i ripetuti no ad ogni loro domanda, i comportamenti contraddittori e l'egoismo. Lo ammetto, ho dato il peggio e non so davvero come abbiano fatto a non odiarmi… sono stati pazienti e comprensivi, mi hanno rimproverato e spronato senza mai lasciarmi solo, sono stati fondamentali per me perché anche se non chiedevo aiuto sapevo che erano lì, che potevo sempre contare su di loro. Mi ero chiuso in me stesso, avevo lasciato il mondo fuori perché volevo proteggermi e proteggere le altre persone da tutte le mie reazioni sbagliate… ho evitato gli sguardi della gente, mi sentivo costantemente giudicato anche se una parte di me sapeva che non fosse così. Io mi odiavo, mi colpevolizzavo e pensavo che lo facessero tutti ma non era vero, era solo una mia proiezione e mi è sembrato strano ma bellissimo tornare ad immergermi nella vita tranquilla e accogliente di Byron Bay… è stato come tornare a casa dopo una lunga assenza».
Benjamin sorrise e lasciò che fosse Travis a rivolgergli qualche domanda, si fidava completamente di lui e si era accorto di quanto il giornalista fosse colpito da ciò che aveva raccontato. Era felice del rapporto che avevano creato perché nonostante avesse collaborato con molti suoi colleghi nessuno era come lui.
«Trovare un lato positivo nel dolore non è un gioco da ragazzi ma tu ci sei riuscito, indubbiamente questa è un'altra bella soddisfazione che puoi portare con te», commentò Travis.
«Sì, è proprio così… so che se sono riuscito a trovare qualcosa di bello in quegli anni terribili posso riuscirci sempre, indubbiamente quel periodo e la mia rinascita mi hanno insegnato quanto sono forte e capace di reagire superando gli ostacoli che sembrano insormontabili», confermò orgoglioso. «Mio fratello era una persona molto ottimista, mi aiutava a trovare qualcosa di positivo in ogni esperienza quando non riuscivo a farlo da solo… lui vedeva il bicchiere sempre mezzo pieno e quando per qualche assurdo motivo lo vedeva vuoto, era capace di riempirlo con il suo ottimismo. Lo ammiravo molto per questo e ammetto che pensavo di averlo deluso perché lui non avrebbe mai voluto che mi buttassi via come ho fatto ma con il tempo ho abbandonato questo pensiero e adesso sono certo che ovunque sia, è orgoglioso di me».
«Non dovrei sbilanciarmi ma sono sicuro che lo sia Benjamin», disse Travis con un nodo in gola, facendo il possibile per mascherare quanto fosse coinvolto da quella storia.
«È quello che spero», ammise. «Deluderlo è l'ultima cosa che vorrei… è stato difficile accettare la sua assenza. Si dice che con il passare degli anni il dolore si allevia ma non è vero, impari a conviverci ma non smette di fare male… mi manca ogni giorno ma se all'inizio volevo punirmi e impedirmi di essere felice per non fargli un torto, adesso voglio vivere anche per lui e renderlo orgoglioso di me… lo era sempre e spero lo sia ancora, lo spero nonostante non possa più dirmelo».
«Sarebbe impossibile non essere orgogliosi di una persona che ha saputo rialzarsi dopo tutto quello che ha affrontato», rispose abbozzando un sorriso. «Credo di sapere di cosa vorresti parlare ma immagino che tu non sappia come iniziare quindi ti farò io una domanda per aiutarti», aggiunse facendolo arrossire, sapeva quanto fosse timido e imbarazzato nonostante avesse già rilasciato tante interviste nel corso della sua carriera da surfista. «Il tuo viaggio di rinascita è iniziato poco più di un anno fa... vuoi raccontarci cosa è successo, cosa ti ha dato la spinta per rialzarti?».
Benjamin sentì il cuore accelerare il battito e un sorriso addolcirgli le labbra.
«Ho conosciuto una persona che lentamente è riuscita ad abbattere tutti i miei muri camminando tra le macerie per avvicinarsi a me. Ha fatto crollare ogni mia difesa, io ero abituato a chiudere il mondo fuori e ho provato ad allontanarlo in ogni modo possibile… volevo proteggerlo da tutti i miei mostri ma non ha mai ceduto, è riuscito a farsi spazio nella mia vita a piccoli passi e mi ha fatto sentire vivo, come non mi sentivo da anni. Con lui ho imparato a sentirmi così anche senza alcolici e corse in moto, mi bastava averlo vicino per stare bene ma non è stato facile rendermene conto perché avevo paura… non volevo farlo soffrire e mi sentivo in colpa per tutti i motivi che ho spiegato prima, credevo di non meritare ciò che vivevo con Federico ma ha trovato il modo di farmi capire che non era così ed è stato impossibile oppormi a quello che mi faceva provare», raccontò emozionato, desiderando correre nel pubblico per annegare in quegli occhi azzurri come le onde del mare. «È il mio fidanzato e gli devo tutto… ha saputo starmi accanto nei miei giorni peggiori, ha sopportato i miei sbalzi d'umore e provato a decifrare i miei comportamenti contraddittori nonostante non li capissi neanche io… mi ha consolato e incoraggiato, mi è sempre stato vicino ignorando i miei tentativi di chiuderlo fuori. È stato paziente e comprensivo, ha sopportato davvero di tutto e ancora adesso mi chiedo come ci sia riuscito… mi ha insegnato ad essere di nuovo felice e ad amare come non avevo mai fatto, mi ha fatto riscoprire la vita!», continuò con la voce tremante. «Quando l'ho conosciuto ero sul ciglio di un precipizio… sarebbe bastata una folata di vento a spingermi giù ma Federico mi ha preso la mano e mi ha allontanato da lì, vuole sminuire tutto ma io glielo dico sempre che mi ha letteralmente salvato da me stesso».
Sentì gli applausi del pubblico e si girò a cercare il fidanzato tra la folla ma la luce puntata negli occhi gli impediva di vederlo, sapeva però che quello sguardo tanto azzurro quanto profondo era lucido proprio come il suo.
«Federico mi ha dato la spinta per rialzarmi… io volevo diventare una persona migliore per lui, volevo stare meglio per mostrargli quella parte di me che avevo nascosto e dimenticato, volevo tornare la persona che ero prima… quella che non aveva conosciuto», disse passandosi una mano tra i capelli. «Lui è solare e sempre allegro, ha una vitalità contagiosa e io la respiravo per renderla un po' mia… mi ha aiutato a ritrovare la bellezza intorno a me, quella che non vedevo più. È grazie a Federico se sono tornato in mare, se ho ricominciato a camminare a testa alta tra le vie di Byron Bay, se ho tirato i miei sogni fuori dal cassetto… potrebbe sembrare esagerato ma vi assicuro che non lo è, l'amore mi ha restituito la voglia di vivere».
«È proprio una bella storia», commentò Travis sorridendo. «Una di quelle che sono felice di sentir raccontare nel mio programma… trasmette speranza e regala sorrisi, perché per quanto sia dolorosa e intensa riesce a lanciare un bel messaggio».
«È per questo che ho voluto parlarne… non è mai facile condividere la propria sofferenza soprattutto davanti a molte persone ma so che in tanti ascoltano le mie interviste e ho pensato che raccontare quello che ho vissuto potesse essere d'aiuto. È giusto mostrarsi vulnerabili… alcuni pensano che i personaggi famosi siano invincibili ma non è così e se la mia visibilità può lanciare un messaggio voglio farlo. So che mi seguono molti ragazzi ed è soprattutto a loro che voglio rivolgermi, non abbiate paura se tutto vi sembra in bianco e nero e se niente sembra stimolarvi... è possibile tornare a vedere il mondo a colori e quando accadrà, ogni sfumatura sarà più intensa di sempre».
«C'è un altro consiglio che vorresti dare a chi sta affrontando un momento difficile?», domandò Travis.
«Chiedete aiuto… ad un professionista, ad un amico, alla vostra famiglia… non affrontate l'inferno da soli, in due fa meno paura», rispose di getto, senza pensarci troppo. «Non abbiate il timore di mostrarvi vulnerabili, lo siamo tutti. Trovate una ragione per combattere… ognuno di noi ne ha una, anche se a volte può essere difficile riconoscerla. Magari è sbagliato perché dovremmo trovarla dentro di noi ma la mia ha un ciuffo biondo e due occhi azzurri. Non fraintendetemi, quel percorso l'ho affrontato anche per me stesso… volevo tornare a stare bene ma senza Federico non avrei trovato la forza di iniziarlo e so che questo viaggio non sarebbe stato lo stesso senza di lui».
«A questo punto io inviterei il tuo fidanzato a sedersi accanto a te», propose cogliendo entrambi alla sprovvista. «Federico te la senti?», chiese voltandosi verso il pubblico.
Il biondo arrossì violentemente ma annuì e si alzò camminando a passo incerto verso il palco, prendendo posto vicino a Benjamin.
«Tutto questo non era previsto ma hai detto parole molto significative e penso sia bello far conoscere il tuo fidanzato alle persone che ci stanno guardando», disse il giornalista. «Federico vuoi dire qualcosa a Benjamin in diretta nazionale?».
«Buonasera a tutti… scusate l'emozione ma è solo la seconda volta davanti alle telecamere e sono un po' imbarazzato», esordì e il moro gli sfiorò la mano stringendola nella propria. «Voglio dirgli ciò che gli dico sempre… che sono fiero ed orgoglioso di lui», aggiunse sorridendo.
«E tu Benjamin?», incalzò Travis facendo colorare le sue guance.
«Sarai sempre tu la mia ragione per combattere… qualunque cosa accada», rispose guardando Federico dritto negli occhi, dimenticando tutto ciò che li circondava. Non sentiva gli applausi scroscianti del pubblico, non vedeva le luci fisse su di loro… c'era soltanto il suo sguardo mischiato al proprio e il cuore che batteva forte, a ricordargli quanto Federico lo facesse sentire vivo in ogni istante.
«Siete una coppia bellissima», commentò Travis prima di concludere l'intervista con i saluti e far spegnere le telecamere.
Strizzò l'occhiolino ad entrambi e raggiunse la truccatrice lasciandoli soli.
«Ti amo», sussurrò Benjamin baciando le labbra del biondo.
«Anch'io amore», rispose sfiorandogli la guancia. «Sei stato impeccabile… non hai detto una parola fuori posto, è stata un'intervista perfettamente riuscita e ora sei davvero libero Ben».
«Sì amore», confermò felice. «Libero come l'oceano».-
*Conditio sine qua non è una locuzione latina che letteralmente significa "condizione senza la quale", ossia ciò che è indispensabile affinché si verifichi un evento.
L'ho inserita perché mi piace molto, la trovo particolarmente calzante per la storia di Benjamin e Federico e in generale per qualsiasi storia d'amore.-
Angolo autrice
Ciao 🎀
Perdonatemi per l'attesa, come avete capito questo capitolo è fondamentale... ho avuto bisogno di tempo per scriverlo come lo avevo in mente, devo dire che ne sono pienamente soddisfatta. È la chiusura di un cerchio ma non è ancora la fine, anche se ci siamo quasi.
Vi chiedo di avere pazienza, la storia è agli sgoccioli e io sono in vacanza, scrivo appena ho un momento libero ma non voglio fare le cose di fretta proprio ora che ogni tassello deve trovare il suo posto.
Vi abbraccio e vi ringrazio per l'affetto che continuate a dimostrarmi dopo tutto questo tempo.Alessia.
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As free as the ocean | Fenji
FanfictionOgni persona vive il dolore in modi diversi. C'è chi lo combatte e reagisce, rialzandosi più forte di prima e portando con orgoglio le proprie cicatrici, dimostrando che si può rinascere dalle ceneri. E poi c'è chi lo assorbe fino a farlo diventare...