A me che serve viverti per vivere,
il tuo sguardo mi parla
e dice cose bellissime.
[Cuori a metà, Lortex]
Benjamin aveva da poco finito di rimettere a nuovo un surfista principiante che aveva esagerato con l'allenamento e si era preso un doloroso strappo al polpaccio quando il suo cellulare, che squillava molto raramente, vibrò sul bancone della sala d'aspetto.
Il moro lo ignorò continuando a sistemare le riviste che teneva sul tavolino, credeva che fosse solo un'inutile e-mail di pubblicità ma quando venti minuti dopo decise di controllare, sgranò gli occhi e istintivamente sorrise.
Rilesse quelle parole un paio di volte, decisamente non era abituato a ricevere messaggi simili considerando che gli unici a scrivergli erano i suoi amici di sempre e spesso ciò che facevano era accordarsi per passare insieme il weekend al Birdees.
Non fece in tempo a rispondere che gli arrivò un altro messaggio, quella volta da Dylan.
"Bro ho conosciuto Federico e lo aiuterò nel suo progetto! Mi ha detto che mi hai definito uno tra gli architetti migliori di Byron Bay, mi sembrava doveroso ringraziarti… se ti va passa da me stasera, altrimenti ci vediamo Sabato al solito posto!", lesse e rispose di getto prima di pensare cosa scrivere al biondo.
"Ho detto solo la verità ma adesso non iniziare a vantarti… resta umile!", scrisse e tornò sulla chat con Federico.
Si chiese se Dylan gli avesse raccontato qualcosa di lui, o se semplicemente avessero discusso del lavoro senza nominarlo.
Non fu difficile capire come il biondo avesse avuto il suo numero e d'istinto sorrise, perché quel gesto indicava una qualche forma di interesse nei suoi confronti e Benjamin non era assolutamente abituato a ricevere attenzioni di quel genere.
"Ciao! Suonava come una minaccia ma non posso darti torto, stavolta però vorrei vederti in un contesto diverso dal lavoro quindi non c'è bisogno che tu venga a cercarmi in studio.
Passo da te Lunedì sera, ok?"
Quando Federico gli diede la conferma lanciò un'occhiata allo schermo del cellulare; era giovedì e mancavano quattro giorni.
Senza nemmeno accorgersene Benjamin si aggrappò di nuovo a quel pensiero anche se non capiva perché si fosse ritrovato a misurare il tempo che mancava per rivedere quegli occhi azzurri.
Per un attimo si pentì di avergli dato appuntamento per Lunedì perché avrebbe voluto rivederlo anche subito ma non poteva rinunciare alla vita parallela del weekend, il Venerdì e il Sabato aveva un appuntamento fisso con le serate al Birdees.
Rinunciarvi era fuori discussione, credeva che non sarebbe mai riuscito a superare un'intera settimana senza l'adrenalina che solo l'atmosfera in discoteca poteva regalargli, senza distruggersi per sentirsi vivo.
Ben presto, però, avrebbe scoperto che qualcos'altro, o meglio qualcun altro, gli avrebbe regalato sensazioni ancora più forti di quelle cercava attivamente con corse folli in moto, sbronze e sesso senza amore.
Credeva che nulla potesse farlo sentire vivo come i suoi comportamenti autodistruttivi e che solo il vivere sopra ogni limite potesse fargli provare calore al centro del petto ma non sapeva che niente sarebbe stato lontanamente paragonabile alle scosse e ai brividi che solo un sentimento incredibile e potente come l'amore può donare.Gli ultimi quattro giorni erano volati prima che Benjamin potesse accorgersene e il Lunedì si era ripresentato puntuale come sempre, a sbattergli dritta in faccia la consapevolezza di non potersi più rifugiare nel limbo del weekend.
Quella mattina però il risveglio fu meno traumatico del solito, il pensiero di trascorrere qualche ora con Federico riuscì ad allentare i suoi nervi tesi e a donargli un pizzico di ottimismo per affrontare la giornata ricca di impegni.
Avrebbe voluto dirlo al biondo, fargli sapere che i suoi occhi erano stati un appiglio per non affondare ancora e che il suo sorriso gli aveva fatto venire voglia di impegnarsi per sorridere un po' di più ma non poteva farlo, esporsi significava rendersi vulnerabile e non era ancora arrivato a quel punto, nonostante mentirgli gli dispiacesse.
La verità era che aveva una gran voglia di parlargli e raccontargli tutto, sviscerare il suo dolore ormai incastrato in ogni angolo di sé ma non lo aveva mai fatto prima e non sapeva come farlo.
Tutti a Byron Bay sapevano cosa fosse successo perché la notizia si era sparsa subito e alcuni dei suoi amici erano presenti, non c'era stato bisogno di parlarne.
Loro sapevano, avevano visto con i loro occhi e Benjamin non aveva mai dovuto parlarne, si era chiuso nel silenzio e si era limitato a sentire parole di conforto, frasi di circostanza, raccomandazioni, senza ascoltarle davvero.
Si chiese come sarebbe stato confidarsi con Federico, aprirsi e lasciarsi leggere come un libro con una storia complicata da narrare; qualcosa gli suggeriva che fosse la decisione giusta, la migliore che potesse prendere eppure dopo averci pensato per tutto il giorno, tra un massaggio e un altro, si convinse a non farlo. Non ancora.
Salì in sella e raggiunse casa del biondo, come fosse già un'abitudine.
«Ciao Ben!», lo salutò entusiasta Federico, pronto e in piedi davanti alla porta.
«Ehi», rispose sfoggiando un sorriso appena abbozzato.
«Vuoi entrare? Ti faccio vedere casa se ti va», propose indicando l'uscio alle sue spalle.
«Magari un'altra volta», rispose nonostante fosse curioso di osservare da vicino la vita del biondo, entrare un po' di più nella sua quotidianità.
Eppure le sue insicurezze erano pesanti come rocce che gli impedivano di compiere passi troppo lunghi.
«Non è che non voglio, solo… andiamoci piano ok?», precisò perché l'ultima cosa che voleva era fargli credere che fosse lui a sbagliare.
«Andiamoci piano», confermò Federico e nel prendere il casco gli sfiorò la mano.
Fu un gesto quasi impercettibile e involontario ma fece sussultare entrambi.
Il biondo salì in sella e senza esitare si avvicinò alla schiena di Benjamin, stringendogli i fianchi tra le dita e al primo semaforo rosso appoggiò il mento sulla sua spalla, abbracciandolo un po' di più.
«Siamo arrivati», annunciò il moro frenando davanti al locale. «E io sto morendo di fame», precisò strizzando l'occhiolino.
«Anch'io», confermò e si lasciò guidare all'interno del fast-food, semplice ma curato nei minimi dettagli.
«Stavolta scegli tu», propose Benjamin. «Vediamo come te la cavi», aggiunse e il biondo rise.
«Che responsabilità!», esclamò e riservò tutta la sua attenzione al menù, senza accorgersi dello sguardo del moro fisso su di sé. «Salmone affumicato, avocado, lattuga e una salsa che non so cosa sia ma mi ispira… che ne dici?», chiese e lo colse in flagrante, ancora con gli occhi intenti a studiare ogni tratto del suo viso.
«Hai scelto uno dei più buoni, complimenti biondino… ci sai fare», affermò fingendosi più sorpreso di quanto fosse realmente.
«E io che temevo di aver fatto una scelta pessima», disse sollevato. «Ti piace la cucina messicana?», domandò curioso.
«Sì, anche qui fanno qualcosa ma c'è un ristorante messicano buonissimo vicino a...»
«Al tuo studio», finì al suo posto lasciandolo a bocca aperta. «Lo so, per questo te l'ho chiesto… l'ho visto l'altro giorno e mi ha incuriosito», spiegò strizzando l'occhiolino.
«Mi stai per caso invitando a un appuntamento Federico?», chiese inarcando un sopracciglio.
«Solo se definirlo appuntamento non ti spaventa», rispose ingenuo. «Puoi chiamarlo come preferisci oppure possiamo evitare le etichette e limitarci a uscire, sempre se ti va», aggiunse e Benjamin sorrise.
Federico lo destabilizzava come un'onda improvvisa, una pioggia durante una giornata di sole, un regalo inaspettato.
«Sì», disse a bassa voce, sorpreso dalla sua stessa risposta. «Non sono bravo con queste cose, io...», tentò di dire ma il biondo lo bloccò prima che potesse concludere la frase.
«Stai bene con me?», chiese.
«Sì», rispose senza alcuna esitazione.
Dire che stava bene era fin troppo poco per descrivere il suo stato d’animo quando condivideva il suo tempo con lui.
«Questo è l’importante, non credi?»
«Io sono un casino Federico, non saprei nemmeno da dove iniziare per raccontarti di me… non so cosa ti abbia detto Dylan ma non voglio incasinarti la vita».
«Ho ventidue anni e sono perfettamente in grado di decidere con chi uscire», rispose scrollando le spalle. «E le cose semplici non mi sono mai piaciute».
Benjamin distolse lo sguardo sentendosi già troppo vulnerabile sotto ai suoi occhi, non seppe cosa rispondere e rimase in silenzio ad ascoltare il rumore dei propri pensieri.
Mangiarono parlando di tutto e di niente, scherzarono senza nemmeno rendersi conto di come l’atmosfera si fosse alleggerita.
«Non voglio andare a casa», affermò il moro dopo che Federico pagò il conto.
Si chiese perché quando era in sua compagnia le parole sfuggivano al suo controllo e il filtro tra mente e cuore sembrava dissolversi come fumo nell’aria.
«Neanche io», rispose e attese che dicesse qualcosa.
«Facciamo due passi in spiaggia?», propose e il sorriso che Federico gli rivolse fu la risposta che aspettava.
Aveva dimenticato quanto fosse bello trascorrere del tempo con un’altra persona senza avere alcuna pretesa, senza la paura di sentirsi sempre un peso ma soprattutto senza la mente annebbiata da alcolici ed euforia.
Sapeva che i suoi amici gli volevano bene ma con loro era diverso, avevano un occhio di riguardo con lui e per quanto provassero a non preoccuparsi era impossibile non farlo, soprattutto perché erano consapevoli del suo istinto autodistruttivo.
«Ti piace il mare?», chiese al biondo quando si avvicinarono alla passerella per scendere su una delle spiagge più belle di Byron Bay.
«Tantissimo», rispose guardandolo di sfuggita, osservando come la luce della luna si rifletteva sul suo viso addolcendone i lineamenti.
Non aggiunse altro, ricordava le parole di Dylan e non sapeva cosa dire perché temeva di poter sfiorare tasti che non doveva toccare.
«Anche a me, è la mia valvola di sfogo e mi trasmette sempre calma, anche quando mi sento a pezzi», disse guardando le onde incresparsi. «La scogliera dove ci siamo incontrati è il posto in cui vado a rilassarmi, ero lì per quel motivo quella sera… mi siedo sugli scogli e resto solo con me», aggiunse e Federico lo guardò comprensivo.
«È una bella abitudine», disse. «Anche a me il mare trasmette tranquillità ed essendo abituato al caos di Roma questo mi sembra un vero e proprio paradiso».
«Non ti fa uno strano effetto vivere qui, immerso nella natura?», chiese.
«No, anzi… mi piace», rispose entusiasta. «Sei mai stato in Italia?», si informò curioso.
«No… ho visitato quasi tutta l'Australia e parte della Nuova Zelanda ma non mi sono mai allontanato da qui».
«Almeno tu conosci bene il tuo paese», gli fece notare. «Io ho viaggiato pochissimo in Italia ma ho visitato diverse capitali europee», spiegò e all'improvviso gli venne un'idea.
«Che stai facendo?», chiese Benjamin quando osservò il biondo slacciarsi le scarpe.
«Mi tolgo le scarpe», disse ovvio.
«Questo lo vedo ma...»
Federico si alzò e gli porse la mano, senza fargli finire le frase.
«Vieni dai», lo esortò guardandolo dritto negli occhi.
«Ti aspetto qui», rispose comprendendo le sue intenzioni.
Avrebbe mentito se avesse detto di non aver voglia di seguirlo, probabilmente lo avrebbe seguito ovunque ma da ormai cinque anni non entrava più in mare.
Si limitava a guardarlo da lontano, come le cose belle che fanno male.
«Se non vieni tu non ci vado nemmeno io», disse il biondo e tornò a sedersi. «Volevo solo bagnarmi i piedi ma preferisco restare qui a chiacchierare con te», aggiunse e quella frase sbloccò qualcosa dentro Benjamin.
Quasi gli sembrò di sentire il rumore di un vecchio ingranaggio tornato a funzionare, forse un po' ammaccato e arrugginito ma ancora efficiente.
Il moro fece saettare il suo sguardo tra Federico e il mare di fronte a sé per un numero indefinito di volte, finché lentamente si slacciò le Vans che aveva ai piedi.
Tutto sembrava succedere a rallentatore: Federico che si alzava e allungava la mano nella sua direzione, lui che la stringeva e si lasciava trascinare verso il bagnasciuga e poi l'acqua calda ad accarezzargli le caviglie, il rumore delle onde che s'infrangevano sulla pelle, la luna che scintillava sull'enorme distesa scura davanti ai suoi occhi.
Descrivere l'intensità di quel momento sarebbe stato impossibile, per Benjamin fu come tornare a respirare.
Si sentì vivo e percepì qualcosa riallinearsi dentro di sé, e solo quando sentì le dita di Federico sfiorargli il braccio tornò al presente e sorrise, con il sorriso più vero e spontaneo che avesse fatto negli ultimi cinque anni.
«Stai bene?», chiese il biondo sussurrando per non spezzare l'atmosfera che si era creata.
Avrebbe voluto abbracciarlo e respirare il suo profumo ma decise di non farlo, limitandosi ad annegare nei suoi occhi lucidi e colmi di gratitudine.
«Sì», disse soltanto. «Grazie per...»
«Sh, non devi dire nulla», lo fermò e dopo qualche minuto passato a scrutare l'orizzonte decise di osare perché notò nei suoi occhi una luce diversa, la luce di chi voleva tornare a vivere e splendere.
Si allontanò da lui e allungò un piede per schizzarlo, godendosi la sua espressione sorpresa ma rilassata.
E lo sentì ridere, ridere per davvero.
Di gusto, come se avesse dimenticato come si facesse e lo stesse imparando quel giorno per la prima volta.
«Vuoi la guerra, biondino?», chiese retorico ma senza dargli il tempo per rispondere si abbassò e iniziò a schizzarlo con le mani, dando il via a una guerra a colpi di spruzzi che si concluse quando i loro vestiti erano ormai fradici e le loro guance doloranti per le troppe risate.
Benjamin si nutrì della vitalità di Federico e si bloccò di colpo, osservando le fossette sul suo viso e il modo in cui incurvava le labbra quando rideva. I suoi capelli bagnati scivolati sulla fronte, la maglietta bianca che aderiva completamente al suo petto facendo risaltare i muscoli appena accennati, il respiro mozzato.
«Ben?», lo richiamò. «Perché mi guardi così?», chiese senza capire, il suo sguardo era talmente intenso e penetrante da imbarazzarlo.
«Io… niente», disse mordendosi il labbro. «Mi piace guardarti e mi piace quando ridi», gli sfuggì prima che potesse accorgersene.
Federico arrossì e abbassò gli occhi solo un secondo prima di incontrare ancora quelli di Benjamin.
Notò che anche le guance del moro erano decorate da sfumature rossastre e per un tempo indefinito rimasero fermi ad annegare uno nelle iridi dell'altro, a chiedersi come si fosse creata tra loro quell'atmosfera intensa e unica.
La spezzò Federico, scegliendo di sfruttare il suo spiccato senso dell'umorismo.
«Anche tu sei niente male», ammiccò punzecchiandogli un fianco.
Benjamin rise ma tornò serio poco dopo, uscendo dall'acqua per sedersi a riva, seguito subito dal biondo.
«Non entravo in mare da cinque anni», sputò a voce bassa, così bassa che Federico la udì appena. «Ho imparato prima a nuotare che a camminare, il mare era tutta la mia vita… ho fatto la prima lezione di surf quando avevo solo quattro anni e ho surfato ininterrottamente fino a quando ne ho compiuti diciotto, poi...», si bloccò sentendo un nodo stringergli la gola.
«Non devi dirmelo se non vuoi, va bene così Benjamin… io ti ascolto ma non sentirti obbligato ok?», disse dolcemente Federico, posandogli istintivamente una mano sul ginocchio.
«Io… non ne ho mai parlato con nessuno, vorrei farlo ma non ci riesco», sussurrò. «Fa troppo male, è un dolore costante», aggiunse e il biondo gli sfiorò la gamba.
«Ne parlerai quando ti sentirai pronto, c'è un tempo per ogni cosa», lo rassicurò e Benjamin annuì, almeno ci aveva provato.
«È stato bello tornare in mare», affermò rivolgendogli un sorriso. «I miei amici hanno sempre provato a convincermi senza successo, poi arrivi tu e...», si interruppe mordendosi l'interno della guancia, indeciso su come continuare.
«E?», incalzò.
«Spegni i miei pensieri», disse di getto. «Non riesco a pensare quando sono con te».
«È una brutta cosa?», domandò Federico incerto.
«No, affatto», rispose. «Se potessi leggere i miei pensieri ti spaventeresti… sono negativi e cinici, quasi oscuri, ed è un bene quando non penso», disse senza ammettere che di solito usava altri metodi per non pensare.
Federico sorrise e annuì, provando un pizzico di orgoglio per essere riuscito a scalfire almeno in parte la sua corazza quella sera.
Passarono ore sulla spiaggia a raccontarsi, a scambiarsi confidenze e solo alle due di notte Benjamin accompagnò il biondo a casa, godendosi il calore del suo corpo addosso al proprio mentre guidava tra le strade della città.
Decise di allungare il percorso facendo strade secondarie e capì che Federico se ne era accorto, ebbe la conferma quando al primo semaforo rosso il biondo si alzò la visiera del casco e urlò per farsi sentire.
«Non me la ricordavo così lunga la strada! Hai cambiato tragitto?», domandò curioso e il moro annuì senza aggiungere altro.
Solo dieci minuti più tardi, quando erano giunti a destinazione Federico riaprì quel discorso.
«Per caso avevi voglia di stare in giro in moto stasera?», chiese furbo.
«No», negò alzando le spalle. «O meglio, sì ma con te», precisò e continuò prima che il biondo potesse replicare. «Mi piace sentirti stretto a me quando guido», confessò e Federico sorrise allungando un braccio per scostargli i capelli dalla fronte.
«E a me piace stringerti quando guidi… direi che è un ottimo motivo per rivederci, non credi?», rispose ironico perché qualcosa gli suggeriva che in quel modo Benjamin sarebbe stato molto più tranquillo.
«Credo tu abbia ragione», affermò e il biondo lo salutò, un po’ imbarazzato e in evidente difficoltà perché non sapeva bene come comportarsi. «Federico aspetta», lo chiamò dopo qualche passo.
Il biondo si voltò a guardarlo: il fondoschiena appoggiato sulla moto e il casco in mano, un sorriso stampato sul volto e il labbro stretto tra i denti.
«Sì?».
«Non ti serve la scusa della moto per stringermi».
Federico camminò a passo svelto nella sua direzione e si avvicinò a un millimetro dal suo corpo prima di sfiorargli il braccio, guardarlo negli occhi e abbracciarlo come fosse di vetro.
Temeva di poterlo spezzare e invece lo stava aggiustando; quell’abbraccio avrebbe potuto spaccargli le ossa ma ricostruirgli il cuore.
«Devo confessarti una cosa», sussurrò Benjamin beandosi del profumo deciso di Federico.
Sentiva il suo odore addosso, i suoi capelli a solleticargli il collo, le sue mani sulla schiena e si chiese come avesse fatto a sopravvivere senza gesti come quello, accontentandosi di dita strette attorno ai polsi per trascinarlo in angoli nascosti di una squallida discoteca, spinte veloci tra le gambe, ciocche strattonate con forza.
«Dimmi Ben… ti ascolto», rispose senza allontanarsi.
«Prima di te non ho mai fatto salire nessuno sulla mia moto», disse stringendolo un po’ di più. Se solo avesse potuto, lo avrebbe abbracciato in quel modo per tutta la notte. «Detta così può sembrare una cosa banale ma per me non lo è, vorrei poterti spiegare cosa ci leggo dietro questi piccoli dettagli ma non ci riesco, non adesso… volevo solo dirti che quando sono con te mi dimentico di tutto lo schifo che ho intorno ma soprattutto dentro», aggiunse e socchiuse le palpebre quando Federico gli accarezzò la guancia, poi sorrise quando sentì le sue dita intrufolarsi tra i capelli.
«Te l’hanno mai detto che sei bellissimo quando sorridi?», chiese e decise di osare ancora, sfiorandogli le labbra con un dito.
«Solo Rachel ma è come una sorella per me e non conta», rispose sussurrando anche se avrebbe voluto dirgli che non sorrideva quasi mai, quindi era difficile sentirsi dire quelle parole.
«Beh… sei bellissimo Benjamin», disse sincero. «E non solo quando sorridi».
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As free as the ocean | Fenji
FanfictionOgni persona vive il dolore in modi diversi. C'è chi lo combatte e reagisce, rialzandosi più forte di prima e portando con orgoglio le proprie cicatrici, dimostrando che si può rinascere dalle ceneri. E poi c'è chi lo assorbe fino a farlo diventare...