➳capitolo 20

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Kirishima's pov

Dopo la discussione con il preside, sento Kacchan distante. A casa parliamo poco e niente, mi risponde a monosillabi, e la sera dormiamo ancora abbracciati, ma non è molto rilassato.

Ma che gli prende?
Si sente di nuovo in colpa per aver fatto...quella cosa a scuola?

È un ragazzo difficile, me ne sono reso conto, e per questo non voglio infierire sul suo malumore.
Voglio solo aiutarlo, ma lui sembra non volerlo.

"Kacchan, veramente, se ti senti in colpa, di nuovo, per quella cosa che è successa in bagno, non fa niente, prima o poi se ne scorderanno"
"Non è quello" risponde secco

"E cosa c'è allora?" Lo guardo con un'espressione preoccupata.
Non proferisce parola e si allontana da me, andando verso la porta.

Per fortuna oggi è venerdì, e non sono mai stato così sollevato da ciò.

Non voglio più stare in quella scuola, ma è la più vicina a casa mia e non posso permettermi di spendere altri soldi per prendere più mezzi.

Sospiro, finendo la mia brioche e uscendo di casa, seguito da lui. Arriviamo in quella che vedo ormai come una prigione e mi stringo nelle spalle, percorrendo il vialetto.

Fortunatamente non sento nessuno mormorare qualche cattiveria o pettegolezzo contro di me.
La notizia che sono da rinchiudere in un manicomio ancora non è girata.

-passano le 6 ore scolastiche-

Dopo aver pranzato, in un silenzio tombale, mi metto a fare i compiti.
Kacchan non mi degna di mezzo sguardo, stando tutto il tempo con un'espressione seria, guardando la tv.

Fisso la pagina del libro, aperto sul tavolo.
Sento un peso dentro di me.
Un buco nero che si espande sempre di più.
Mi sento terribilmente solo, abbandonato...di nuovo.

Perché mi ignora?
Perché si comporta così?
Perché è così serio e silenzioso?
Cosa gli ho fatto?

Non mi ha dato nessuna spiegazione...
Perciò faccio per parlargli, ma mi squilla il telefono.

Il promemoria per la psicologa.
Sospiro e Kacchan mi guarda.

Il suo sguardo mi fa venire i brividi. Mi provoca un misto di emozioni che fanno a lotta per prevalere sull'altra.

"Cos'è?" mi ha detto qualcosa di diverso da "sì", "no", "mh" e "okay"
Faccio un lieve sorrisetto, pensandoci.

"Devo andare dalla psicologa scolastica.."
"Ah" lo vedo stringersi nelle spalle.
"Non è colpa tua Kacchan" gliel'ho ripetuto milioni di volte, ma per ora non ha avuto nessun effetto su di lui.

"Mh.." ecco che ricomincia ad ignorarmi.
Sospiro nuovamente e mi reco a scuola, con lui che mi segue in silenzio, con uno sguardo perso.

Cosa dovrò dirle ad una persona sconosciuta?
Che ho avuto un passato turbolento?
Devo fare la vittima e farmi dare attenzioni?
Di sguardi puntati addosso ne ho fin troppi...

Mi criticherà anche lei per la mia debolezza?
Per la mia codardia?
E se dicesse tutto quello che le confido al preside?
Una volta capita la mia personalità, anche lei mi tratterà in modo diverso?

Vorrei solo che mi accettassero per come sono, nonostante i miei difetti.
Che non mi compatissero, che non mi guardassero come se fossi diverso da loro, perché sono gay o insicuro.
Come se fossi strano.

Strano per le mie indecisioni.
Strano perché ho un angelo, con cui parlo e nessuno vede.
Strano perché mi eccito per un maschio.
Strano perché...sono io.

Sento gli occhi bruciare...ma non posso permettermi sempre di piangere.
Devo affrontare le difficoltà a testa alta e con forza.

Come quando ho picchiato il cugino di Gary.
Mi scappa un lieve sorrisetto al ricordo, fiero per essermi fatto valere e aver dato il coraggio di fare altrettanto ad altre persone.

Entro nuovamente a scuola e vedo una donna giovane davanti alle macchinette, mentre sorseggia una bevanda, forse caffè.
Sembra gentile.

Mi guarda.
"Sei Kirishima?"
Annuisco, mi sorride e si avvicina, stringendomi la mano. Sorrido anche io e si presenta.

Non appena finisce ci incamminiamo verso l'aula Magna. Camminando per il corridoio vuoto mi rilasso.
È il silenzio della struttura che mi fa questo effetto.

Non c'è nessuno che mi guarda, nessuno che si spintona per arrivare primo alla macchinetta, nessun affollamento, nessuna bidella che grida perché hanno sporcato a terra.

Semplice e pacato silenzio.

Una volta seduti, le parlo con scioltezza, non pensando troppo a quali parole usare, o che impressione avrei potuto dare.
Era piacevole chiaccherare con una persona che ti comprendeva o, almeno, ci provava.

Probabilmente avrà ascoltato milioni di ragazzi con le mie stesse insicurezze, con il mio stesso carattere, che esternavano i miei stessi pensieri e cercavano una risposta ai miei stessi dubbi.

L'ora insieme a lei passò in fretta, mentre Kacchan spostava lo sguardo tra me e la psicologa, ascoltando con attenzione.

Il tragitto verso casa fu silenzioso come l'andata. Arrivammo a destinazione e lui fece per andare in camera.

Ma ora, dopo che qualcuno aveva cercato di capirmi e mi aveva prestato attenzione, sono deciso a voler chiarire.

Sono stanco di questo silenzio.
Voglio delle spiegazioni.

"Kacchan..."

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