➳capitolo 1

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Kirishima's pov

Eccomi di nuovo con la schiena contro i freddi armadietti, con una mano possente che mi tiene dal colletto.

"vedi di fare quello che ti ho detto frocetto, altrimenti saranno cazzi tuoi"
Non oso fiatare, ma ciò mi costa una botta contro gli stessi armadietti, e un lieve gemito di dolore.

"hai capito?!"
"s-sí"
Finalmente tocco di nuovo terra. E il bulletto si allontana insieme alla sua banda di quattro cani.

Tutti ritengono il "bullismo" un motivo per compatirti, poiché ti picchiano, rubano i soldi, ti offendono con parole pesanti, ti ricattano, pensano che non sei capace a difenderti...ma nel mio caso non è affatto così. Nessuno mi compatisce o prova ad aiutarmi.

Quello che subisco non può essere nemmeno definito tale, perché con il tempo questa parola ha perso il suo peso, la sua durezza, il suo terribile significato...questo atteggiamento si può definire solo come vera e propria codardia, il mezzo più semplice per risolvere i propri problemi.

Ma d'altronde ognuno è codardo a modo suo. Loro mostrano la codardia con la violenza, io con la troppa gentilezza. Un semplice no non è così difficile da dire cazzo!

Cammino fuori dalla scuola come se non fosse successo nulla. Anche se succede sempre. Prima era un tema, la volta dopo un riassunto di un paragrafo di storia, la volta dopo ancora un modello da creare sul computer.

Non provare a piangere, cretino, te la sei cercata, non sai essere cattivo e subisci. Stringo forte le mani a pugno e cammino verso casa.

Quanti anni ho? Ben 18. Sì, sono bello maturo e ancora mi faccio "bullizzare". Fantastico no? Odio il mio carattere.

Girare lo sguardo e pensare sempre che qualcuno mi stia squadrando e giudicando. Avere la paura di tornare a casa con una ferita che non riesco a guarire, come tutte quelle che mi ritrovo dentro. Ho il terrore di rimanere per sempre solo, con tutti questi pezzi rotti. Ho la fobia di non riuscire più a sorridere, di non riuscire a piacere mai a nessuno.

Mi spaventa mostrare il mio lato più nascosto. Quello che conosce solo Denki, il mio migliore amico, ormai un fratello. Il mio piede sinistro, che mi aiuta a camminare, coordinandosi insieme a quello destro. La mia mano destra, che fatica a fare gli esercizi scolastici, quella che si diverte invece a creare qualcosa di assurdo con il primo oggetto che si trova davanti e afferra.

Lui costituisce una parte del mio cuore, la più fondamentale, quella che lo fa battere, che continua a fargli avere sogni sul futuro e speranze campate per aria, con la determinazione di volerle raggiungere.

Lui è l'ultimo muscolo che si attiva per farmi sorridere. Ed effettivamente sto sorridendo come un idiota per strada, pensando a tutte le cavolate che abbiamo fatto, fin da quando eravamo delle piccole pulci.

Mentre tutti questi pensieri affollano la mia mente arrivo a casa. Apro la porta ed entro. Il mio rifugio. Il mio covo stracolmo di obiettivi, progetti, di insicurezze, ma anche pace. Un silenzio che mi rasserena.

Vivo da solo, per chiunque se lo stia chiedendo, se effettivamente qualcuno è curioso. Perché Denki non vive con me? È dovuto partire per una borsa di studio. Quanto se l'è meritata.

Faccio sempre due cose contemporaneamente, anche se sembro concentrato a ingegnarmi solo nell'unica cosa che pare stia compiendo. Infatti, mentre sto preparando il pranzo, penso a quanti soldi in più potrei guadagnare se facessi un'ora di straordinario.

Un altro luogo che schiaccia tutti i mostri, che provano a prendere il sopravvento su di me, è l'officina. L'officina dello zio Joe. Non è mio zio di sangue, ma è un'altra persona che mi vuole un bene dell'anima, ed è come se fosse il mio zietto. Lui e Denki. E...basta.

Zio Joe si preoccupa molto per la mia salute, ma non può fare a meno di assecondarmi quando mi impunto, con la mia infantilità, a voler continuare una delle poche attività che mi appassionano: studiare i motori. Capire come mai fanno un rumore diverso dal solito, perché certi  ingranaggi sono posizionati in quello spazio e danno luogo ad un solo e preciso meccanismo. Molti dettagli della vita li ho appresi più stando con zio Joe che a scuola. Ma anche per quanto riguarda la pratica.

Quando alle medie mi chiesero perché volessi andare al liceo meccanico, non sapevo come rispondere. Ora invece la risposta ce l'ho ben chiara. Le moto ti fanno volare in un'altra dimensione, se tu sai maneggiarle con esperienza. Scivoli per una curva e un'altra e senti il vento che prende parte di te, ti avvolge e viaggia insieme a te. Vedi le cose come sono nella loro forma reale: sfuggenti e momentanee.

Mi risveglio nuovamente da questo insieme di pensieri con l'acqua che bolle. E dopo aver mangiato, la mia giornata trascorre come tutte le altre: studio e lavoro (stavolta un'ora in più).

Si torna a casa, ci si lava dalla benzina, che ha cercato di prender la mia forma, come se volesse vivere con me, si prepara la cena e si va a letto. Ma quella notte non sarebbe stata affatto come tutte le altre...

non scordarti di me [Kiribaku♡]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora