6 - Broken

439 20 22
                                    

Ogni volta che io ed Eric litigavamo, seguivano alcuni giorni di silenzio. Ciascuno rifletteva sul proprio atteggiamento e uno dei due cedeva alla tensione, chiedendo perdono ed un ripristino della comunicazione reciproca. Non faticai ad ammettere fra me e me che spesso era lui quello che retrocedeva, spingendo l'orgoglio un po' più in là, lontano dalle voci in capitolo.

Mi chiesi se non stesse cercando di punirmi, resistendo brillantemente all'impulso di scrivermi, oppure se non mi stesse suggerendo di proporre la pace in prima persona.

Avevo la testa per aria, in quegli ultimi giorni di scuola prima delle vacanze natalizie, ma riuscii comunque a sforzarmi di eseguire con decenza i compiti in classe decisivi per la media finale del semestre. L'insegnante di matematica mi fermò per dirmi che era molto dispiaciuta di quel mio calo nel rendimento.

Mia madre decise di mettere fine alla distanza che si era creata fra noi quella settimana e, giovedì sera, bussò alla porta della mia camera.

«Sì?» risposi, con tono impersonale.

«Chloe... Hai voglia di parlare un po' di cosa sta succedendo?» domandò lei, con voce particolarmente dolce.

Il mio distacco doveva averla ferita molto. E io, sciocca, mi ero preoccupata soltanto dei miei problemi.

«Mmh.» acconsentii, facendole spazio ai piedi del letto.

Non si lamentò: si limitò a sedersi nello spazio disponibile e aprì il pacco di tortillas che si era portata dalla cucina. Quelle specie di patatine che torreggiavano fra gli snack spazzatura esercitavano una grande attrattiva su di noi, che ne tenevamo sempre qualche pacchetto in dispensa per i momenti in cui potevano fungere da consolazione.

Ammisi che mia madre aveva cominciato a giocare bene le sue carte.

«Ho lasciato Eric.» iniziai.

Scorsi un guizzo di gioia nell'espressione di mia madre, ma fu questione di pochi secondi prima che riprendesse una certa disciplina. Aveva i tratti piuttosto rigorosi, il naso e le labbra sottili, qualche ruga che cominciava a solcare la pelle matura e una cascata di capelli castano scuro identici ai miei, che fluivano a onde lungo la schiena. Non avevo preso il castano delle sue iridi, né il fisico particolarmente alto e snello oppure le dita delle mani lunghe e affusolate. Mi ero risposta da sola, quando avevo prestato attenzione per la prima volta al colore verde intenso e freddo dei miei occhi, con sprazzi grigio ghiaccio invece che nocciola come avevo visto in altre persone, quando avevo notato le mie labbra piene, uno sviluppo più formoso che asciutto del mio corpo, le dita paragonabili a salsicciotti e le caviglie tutt'altro che sottili. Quelle di mia madre si potevano racchiudere nella presa di una mano.

Pensare a mio padre non era comunque cosa gradita per me: ero stata abbandonata ancor prima che nascessi, non potevo permettermi di infliggere dolore gratuito ai miei stessi sentimenti con una certa periodicità. Eppure, non potevo evitare di immaginare come fosse mio padre, purché ancora vivo: aveva gli stessi lineamenti dolci e rotondeggianti che mi caratterizzavano? Sfoggiava gli occhi verdi per far capitolare ogni donna che gli interessasse portarsi a letto? Aveva la stessa forma delle mie mani e delle mie unghie? Quanto era alto?

Le descrizioni volatili offerte casualmente da mia madre non erano sufficienti per consentirmi di creare un'immagine fedele e precisa, perché odiava parlare di colui che ci aveva lasciate sole a noi stesse e quel che sapevo le era sostanzialmente sfuggito senza che lo volesse. Del suo carattere, infatti, non sapevo nulla. Non avevo neanche un accenno di come soleva comportarsi, come usava atteggiarsi, quali fossero le sue abitudini, quali i suoi gusti e quali le sue inclinazioni. Quel che mi aveva trasmesso geneticamente era ciò che io gli attribuivo, andando ad esclusione in base al confronto con mia madre. In alcuni casi, neanche quello bastava.

DramaticDove le storie prendono vita. Scoprilo ora