22 - Swap

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Cinque e ventitré del pomeriggio. Avevo appena terminato di guardare un episodio di una serie televisiva che mi aveva presa moltissimo la notte precedente, quando mi ero dimenticata che quattro ore dopo sarebbe suonata la sveglia per andare a scuola. Raschiai il vasetto di yogurt greco che avevo lentamente mangiato durante la visione, non trovando più neanche una traccia di frutta, quindi mi decisi a buttarlo via. Per amore della puntigliosità di Peter, prestai la massima attenzione al corretto smaltimento dei rifiuti.

Cinque e quarantadue. Ero in ritardo per farmi una doccia rilassante e avere tutto il tempo di prepararmi: sarei dovuta passare alla doccia sbrigativa. Feci una smorfia all'orologio e mi svestii imbronciata. Entrai nel box e azionai il getto d'acqua bollente. Poco importava quale stagione fosse, la temperatura doveva sempre risultare scottante sulla mia pelle, per avere l'impressione che il calore penetrasse e mi si scaldasse anche l'anima.

Cinque e cinquantotto. Ero drammaticamente fuori tempo per sperare nell'aiuto della piastra ai capelli, in caso di piega mal riuscita, perciò pregai di non doverla correggere. Mi armai di spray termo-protettore, pettine, spazzole varie e asciugacapelli professionale generosamente regalatomi da Matthew, quindi mi misi al lavoro.

Sei e diciannove. Ero tragicamente indietro con la preparazione, perché non avevo trucco sul viso e non avevo la più pallida idea di cosa indossare. Quanto comoda mi sarei dovuta vestire, secondo Steve? Quale borsa sarebbe stata la più adatta? Meglio uno zainetto o una tracolla? E le scarpe? Accessori sì o accessori no? Sbuffai in preda al nervosismo.

Sei e ventisette. Steve era già arrivato: ero furiosamente arrabbiata con lui per essere arrivato in anticipo. In tre anni di amicizia stretta non aveva interiorizzato i miei tempi? Ero giunta alla conclusione che con la giacca di jeans non avrei sbagliato, dal momento che il denim era la definizione del "comodo" e "casual", perciò abbinai un paio di jeans bianchi elasticizzati e un top a fiori colorati dallo sfondo chiaro. Afferrai le scarpe bianche in tela per non sbagliare e infilai in un'anonima tracolla piccola l'essenziale, tenendo rossetto e mascara in mano per poterli applicare prima di uscire.

Sei e trenta. Steve mi telefonò per dirmi che mi stava aspettando, ma io riuscii a contrattare cinque minuti ancora. Sfumai velocemente una linea sottile di matita nera sulla palpebra superiore dell'occhio, così da uniformare eventuali sbavature del mascara, cui diedi appena due passate. Lavorai rapidamente le labbra con le dita, al fine di stendere in maniera più naturale il colore rosato, che riprendeva alcuni fiori del top che stavo indossando.

Sei e trentasette. Uscii di casa con un lungo sospiro, cui seguì il terrore di aver fatto arrivare il mascara all'arco sopraccigliare. Mi ripromisi di controllare con l'ausilio dello specchietto dell'auto.

«Ecco la mia Cenerentola!» scherzò Steve. «Più bella e radiosa che mai, oserei aggiungere.»

«Grazie.» sussurrai. «Allora, dove mi porti?»

Steve scosse il capo, con grande energia in corpo.

«Non te lo dico neanche se mi supplichi.»

Nonostante tutto, quell'aura di mistero che aveva imparato a creare sottilmente attorno a sé mi piaceva. Era attraente. E lo era anche la forza con cui il suo corpo dichiarava di gradire il mio.

Chiacchierammo tranquillamente durante il viaggio, scherzando in maniera talmente spontanea che per un bel po' non mi accorsi che ci stavamo dirigendo verso l'area collinare più vicina alla città. Ammirai il cambiamento del paesaggio, respirai alla sola vista di tanto verde e nessuna luce al neon, poche auto e ancor meno persone. Era tutta una distesa di vegetazione, alberi in lontananza, qualche casupola sparsa qua e là, con un cielo che s'indorava amabilmente assorbendo tinte dal timbro ora aranciato ora rosato.

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