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La puntualità non era mai stata il mio forte e mia madre era sempre stata designata come colpevole, nella mia testa. Essendo costretta a sbrigarsela da sola da quando avevo memoria, non poteva che essere di corsa sempre e ovunque, finendo così per arrivare in ritardo ai miei saggi di danza (un lontano ricordo che cercavo puntualmente di rimuovere), alle premiazioni a scuola, agli incontri con gli insegnanti e con i genitori dei miei compagni di classe e, spesso, anche all'uscita da scuola per portarmi a casa. Non gliene avevo mai fatto davvero una colpa, anche perché da quando Matthew aveva fatto il suo pomposo ingresso nella sua vita, avevo un piano b cui fare ricorso in caso di emergenza (o quando il piano b non era su un aereo in direzione Asia/Europa); eppure, qualche volta riusciva a lasciarmi un retrogusto amaro in bocca.

Fu così che corsi a perdifiato su per le scale e mi cambiai al volo per raggiungere i miei compagni nella palestra utilizzabile della scuola. Mr Pear mi squadrò con piglio seccato.

«Ha qualche spiegazione per il suo clamoroso ritardo, Miss Ward?»

«M-mi è... Mi è uscito del sangue dal naso. Non sono riuscita ad avvertire nessuno prima di correre ai servizi igienici e aspettare di non gocciolare più. Chiedo perdono.» inventai sul momento, tirando su col naso.

Mr Pear annuì.

«Unisciti alla squadra di Goodwin, hanno un giocatore in meno.» mi indirizzò poi.

Fui grata alla mia spiccata prontezza per aver prodotto una menzogna facilmente credibile e difficilmente confutabile in appena qualche secondo, quasi senza tentennare.

Maddie, che era nella squadra dove ero stata smistata, mi lanciò un'occhiata colma di preoccupazione.

«Stai bene? Hai sanguinato tanto?» si premurò di domandare.

«Era una bugia, Mads. Mi dovevo giustificare in qualche modo.» ridacchiai, dicendole la verità sottovoce.

Adocchiai l'andamento della palla mentre i nostri compagni della squadra avversaria si preparavano a schiacciare prepotentemente un punto nel nostro campo.

«Ah... Sembravi così sincera!» replicò lei.

Peter, capitano della squadra e accorso vicino a me per aiutarmi a controbattere la palla in arrivo, aveva origliato la nostra conversazione e si intromise sottilmente.

«Persino Mr Pear ha soppesato la sua giustificazione... E tu ci credi ad occhi chiusi? Bah...»

«Guarda che non è necessario sminuirmi tutto il tempo. So bene perché lo fai.» replicò Maddie, battendo i piedi sul linoleum della palestra.

Appena dopo aver rimandato la palla in attacco, Peter si voltò verso la mia migliore amica col terrore negli occhi, per la prima volta da quando lo conoscevo.

Perennemente e incondizionatamente sicuro di sé, Peter Goodwin aveva vacillato per colpa di Maddie.

La domanda, a quel punto, era una sola: che cosa era riuscito a tenere nascosto a tutti fino adesso, eccetto Maddie?

Nessuno dei due ebbe l'occasione di chiarirmi le idee, perché fummo tutti coinvolti in improvvise e ripetute azioni dinamiche della partita di pallavolo contro i nostri compagni.

Al termine della lezione di educazione fisica, cercai di estrapolare qualche informazione utile dai borbottii risentiti di Maddie, ma capii che non aveva voglia di comunicare, perciò lasciai perdere.

Tentai di fermare Peter e chiedergli chiarimenti...

«Pete...»

«Devo andare, Chloe. Scusami.»

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