38 - Evil

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Mio padre si premurò di alleggerire la conversazione durante la cena e raccontarci gli aneddoti che avevano alleviato un poco la sua sofferenza durante tutti quegli anni lontano da noi. Promise che non se ne sarebbe mai più andato.

Non sfuggì a nessuno l'espressione controversa di mia madre e intuii che il problema sarebbe stato Matthew. Anche se in casa c'era una camera per gli ospiti, mio padre non aveva affatto dimenticato mia madre, che invece avrebbe dovuto spiegare allo stabile fidanzato che il padre di sua figlia era tornato, con tutta l'intenzione di rimanere.

Decisi di mettere a tacere le preoccupazioni e andare a dormire serena e beata. Mio padre tentò di capire se fosse possibile rimediare a tutte le notti in cui non mi aveva raccontato le favole e rimboccato le coperte, ma confermai i suoi sospetti che ero troppo grande, ormai, per non provare imbarazzo. Gli assicurai, nonostante tutto, che apprezzavo il gesto e l'interesse.

La mattina seguente venni travolta da un abbraccio di gruppo a scuola, che mi rese così felice che non osai lamentarmi della mancanza d'aria che avvertivo.

«Questo gruppo senza di te non regge.» affermò Elizabeth.

«Concordo.» fece Steve, grattandosi la nuca.

Peter si limitò ad annuire, mentre Maddie mi lanciò un'occhiata di rimprovero.

«Io non mi voglio lamentare perché mi avete salvato la vita, ma credo di parlare a nome di tutti dicendo che vogliamo un rapporto dettagliato di tutto quello che è successo in questi giorni. Cos'hai scoperto?» si espose quindi.

Trassi un respiro profondo.

«La sintesi ultima è che mia nonna è una stronza.» sentenziai.

«E da quando la sintesi è un rapporto dettagliato, scusami?» obiettò Elizabeth, riprendendo le parole di Maddie.

Riconobbi l'errore, ma era mattina presto e la campanella della prima ora stava suonando. Nella confusione della scolaresca che si riversava fra i corridoi e le aule, le urla e il rumore degli armadietti, trovai scomode le circostanze per raccontare qualcosa di così importante.

«Da quando il rapporto dettagliato dovrà aspettare l'ora di pranzo. C'è troppo caos adesso e dobbiamo correre per non arrivare in ritardo a lezione. Se aveste voglia di aggiornarmi su quello che è stato fatto in questi giorni...»

Peter si sentì chiamato in causa e aprì la bocca per esibire tutta la sua maestria nella gestione delle materie scolastiche, ma Steve mi bloccò.

«Hai letto la mia lettera?»

Annuii, seppur colta alla sprovvista.

«Vorrei parlarne... Se non ti dispiace.» mi intimò lui.

«Dopo? Magari alla fine delle lezioni.» proposi.

Steve non insistette, mi lasciò nelle mani di Peter e si avviò verso la propria lezione.

C'era qualcosa di sbagliato nel modo in cui avevo reagito nel rivedere il mio fidanzato. Ascoltai ben poco di quello che mi disse Peter, puntando più ad annotare tutto invece che capire davvero, e ragionai su me stessa.

Perché non mi era mancato per niente in quei giorni di lontananza? Perché non ero arrivata a scuola euforica all'idea di rivederlo? Perché non avevo gioito nemmeno un minimo in più quando l'avevo riabbracciato, rispetto agli altri?

Giunsi alla conclusione che la scelta migliore sarebbe stata lasciarlo.

Meritava una ragazza che si struggesse per andare a guardare tutte le sue partite, non una che guardava soltanto le ultime del campionato, una che si sentisse tradita al sospetto di essere trattata come merce di scambio e non incredula e delusa, una che smaniasse dalla voglia di andarlo a trovare e fare l'amore con lui, non che contrattasse un momento in tranquillità per parlargli di una lettera toccante, che non faceva che rendere ancora più chiaro agli occhi del mio cuore quanto io non fossi capace di contraccambiare equamente il suo amore.

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