"Presidente, ma le sembra il caso?"

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Arrivarono a Fregene dopo un'ora di viaggio. La spiaggia era deserta, se non per qualche persona solitaria che approfittava della bella giornata di Ottobre per fare una camminata o una corsetta. Certo era che Ambra e Giuseppe erano l'unica coppia nei paraggi. Avevano preso una birra scadente da uno dei pochi bar aperti lungo la costa. Ambra guardò l'uomo che le dava il profilo, mentre sorseggiava la birra direttamente dalla bottiglia, come una persona comune. Il pomo d'Adamo era prominente e correva sul collo libero da ogni cravatta. Per l'occasione si era tolto la giacca, posandola per terra. Le maniche della camicia nera erano tirate fino ai gomiti. Indugiò sulle sue braccia e si rese conto di quanto fossero grandi e muscolose. Alzò lo sguardo sul suo viso, per sorprenderlo ad osservarla, divertito.

"Le piace quello che vede, signorina?" Chiese, divertito.

"Non male, ma ho visto di meglio." Replicò lei, cercando di nascondere l'imbarazzo. Prese una sigaretta dalla borsa e l'appoggiò alle labbra. L'accese, ma lui gliela sfilò dalle dita, portandosela sulle sue. Ambra lo guardò, sconvolta.

"Non sapevo fumassi."

"Non sempre. Ogni tanto ne sento il bisogno. Mi sembra d'obbligo farlo di fronte al mare." Disse, e alzò la testa per buttare il fumo. Lei alzò gli occhi al cielo e ne prese un'altra.

"Posso farti una domanda?" Chiese Ambra.

"Anche due, ma non di più."

"Perché mi hai portata qui? O comunque perché mi hai chiesto di rivederci?"

Giuseppe la guardò, la sigaretta che bruciava fra le sue dita. I suoi occhi scuri trafissero quelli di lei, con uno sguardo imperscrutabile. Le iridi, piene, si spostavano impercettibilmente sul viso di Ambra. Poi parlò.

"Da quando ho ripreso la mia carica, quest'estate, tutto mi è piovuto addosso. Le critiche, la stampa, gli impegni si erano quadruplicati, per quanto possibile. Non avevo più un attimo di respiro. Presidente, vada di là, presidente, vada di qua, firmi questo, firmi quello, chiami quell'altro. Era come se avessi delle aspettative ancora più alte sulle spalle, con l'opposizione che si aspettava che cadessi di nuovo, i miei collaboratori che si aspettavano sempre la parola giusta, la stampa che osserva ogni piccolo passo, pronta a trovare l'errore. Mi sono alienato." Disse, e fece un tiro alla sigaretta, prima di continuare. "Poi, fra i miei mille impegni, finalmente mi dicono che avrei avuto il fine settimana libero. Il primo da mesi. Prima però dovevo andare a fare un discorso di incoraggiamento all'Università. E lì c'eri tu, con la tua testa rotta e il trambusto che ne è derivato. – Sorrise, ricordandosi quel giorno. Si girò verso di lei, guardandola nuovamente negli occhi. – E per la prima volta, mi sono preoccupato. E sono sempre preoccupato, nel mio lavoro. Ma questa era una preoccupazione diversa. Come quella di un uomo che non ha sulle spalle la responsabilità e il destino di sessanta milioni di persone. Ma la preoccupazione di un amico, di un padre, di un fratello. Di un uomo comune. E non ne capivo il perché. Avevo comprato quel mazzo di fiori, per fartelo recapitare, ma qualcosa mi diceva che dovevo essere io stesso a portartelo. Lo stesso qualcosa che mi diceva che non bastavano, quei fiori. Che dovevo fare di più."

Ambra non sapeva cosa dire. Aveva ascoltato l'intero discorso ammaliata, dalle sue sensazioni, osservando ogni singolo movimento del suo viso. L'aveva guardata negli occhi, in un modo che l'aveva fatta sentire nuda. Lui spostò lo sguardo sulle sue labbra nude. Avvicinò il pollice e gliele toccò. Si protese. Erano a pochi centimetri di distanza e Ambra chiuse gli occhi, avvicinandosi a lui. Il suo profumo la avvolgeva completamente.

Qualcosa li interruppe. In mezzo a loro, stava cercando di infilarsi una piccola figura pelosa. Ambra si girò di scatto per vedere un cucciolo di cane leccare il braccio scoperto di lui.

Alla fine, vince chi si spoglia per primo. // GIUSEPPE CONTEDove le storie prendono vita. Scoprilo ora