Punti, opinioni e rigidità.

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"Sì, mamma, tutto bene. A te?" Aveva il telefono incastrato fra l'orecchio e la spalla, mentre mettevo le ultime cose nella borsa. Era in ritardo, ma la madre l'aveva chiamata più volte, quella mattina e le dispiaceva ignorarla. Però non si può negare che il tempismo fosse pessimo. Ma le mamme lo sanno e se ne infischiano.

"Sì, Ambra, tutto okay. Ti ricordi che oggi devi andare in ospedale, vero?" La voce preoccupata ed apprensiva della madre la fece sorridere.

"Sì, mamma, mi stavo giusto preparando per uscire." Prese il telefono in mano, mentre afferrava il cappotto. Le arrivò un messaggio, facendo squillare la notifica dritto contro i timpani. Trasalì e allontanò il telefono per vedere che era Giuseppe.

Scendi, sono giù.

Avevano deciso di andare insieme in ospedale e lui si era offerto di darle un passaggio. La sua pigrizia, più che lei, ha accettato di buon grado.

"Vai da sola o con Elisa?" La voce della madre la fece tornare con i piedi per terra.

"No, vado con un amico." Disse, scendendo le scale.

"Lo conosco?" Chiunque lo conosce, mamma.

"No, mamma, non penso." Uscì e vide Giuseppe appoggiato alla macchina, mentre guardava distratto il telefono. Si accorse di lei e le sorrise. Era insolitamente formale, con una semplice camicia bianca e un cappotto lungo.

"E chi è?" La preoccupazione della madre era palpabile.

"Mamma, un collega di università. Stai tranquilla." Giuseppe le aprì la portiera della macchina, precedendola.

"Mi raccomando, Ambra. Non si sa mai." Ambra alzò gli occhi al cielo, guardando l'uomo che, nel frattempo non parlava e sorrideva, divertito dalla situazione.

"Tranquilla, ti ripeto, mamma. Ci sentiamo nel pomeriggio, va bene?"

"Va bene. Mi raccomando." Ripeté, la madre.

Ambra chiuse la chiamata e fece un verso esasperato. Giuseppe continuava a sorridere.

"Presidente, non ci vedo nulla da ridere." La faccia dell'uomo tornò seria, ma un angolo della bocca era leggermente alzato.

"Mi scusi, signorina. Eviterò." Si guardarono negli occhi e risero. Mise in moto e partì.

"Ma non hai un autista?" Chiese, genuinamente curiosa. Lui la guardò. "Non pensavo una persona come te, guidasse."

"Mi piace farti scegliere la musica in macchina, cosa che, con un autista, non sarebbe possibile." Disse, con un sorriso e allungò la mano per accendere lo stereo. Ambra gli fece un verso di scherno.



Entrarono nel grande parcheggio dell'ospedale e si fermarono. Lui si sporse verso i sedili posteriori e prese un paio di occhiali.

"Cosa fai?" Chiese confusa Ambra, guardandolo mentre li indossava.

"Cerco di non rendermi riconoscibile." Si guardò allo specchietto, aggiustandosi il ciuffo.

"Con degli occhiali."

"Sì."

"E chi sei? Clark Kent?" Disse, uscendo. L'uomo fu al suo fianco in un batter d'occhio. Capiva il suo non voler farsi vedere con lei, ma una fitta di delusione l'aveva investita, comunque, incurante della sua razionalità. Giuseppe, come indovinando i suoi pensieri, la fermò per un braccio.

"Non mi sto nascondendo perché non voglio farmi vedere con te, ma per proteggerti. Se qualche giornalista mi vedesse, comincerebbe a fare troppe domande e troppe supposizioni." Disse. Lei annuì, leggermente rincuorata. Lui ricambiò il gesto e si diressero verso l'ospedale.

Alla fine, vince chi si spoglia per primo. // GIUSEPPE CONTEDove le storie prendono vita. Scoprilo ora