Il mondo si divide.

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Roma, 8 Maggio 2020

Il suono della sveglia squillò, impietoso. Giuseppe mugugnò, ancora assonnato, staccando il braccio dal petto di Ambra per allungarlo verso il comodino dove c'era il cellulare. Terminò quel supplizio e ritornò nella posizione in cui si trovava prima, questa volta attirando la ragazza ancora più vicino a sé.

"Ambra, mi devo alzare." Le mormorò all'orecchio per poi baciarle il collo.

Lei gli fasciò le braccia attorno al suo petto ed intrecciò le gambe alle sue. Protestò, mugugnando parole incomprensibili. Giuseppe rise sommessamente e cercò di divincolarsi dalla sua presa, invano. La ragazza lo teneva stretto a lui.

"Non te ne andare. Datti malato." Sussurrò Ambra, tenendo sempre gli occhi chiusi.

"Non posso. Stasera devo anche partire per Milano." Si giustificò. Sarebbe voluto rimanere lì, in quel letto, per sempre.

"Ti odio." Giuseppe rise ancora, finalmente districandosi da quel labirinto di braccia e gambe che erano i loro corpi. La baciò sulle labbra, sporgendosi su di lei.

"Sappiamo entrambi che non è vero." Ambra aprì un occhio e lo guardò sorridere, come se non si fosse svegliato solo cinque minuti prima, sopra di lei. Le fece l'occhiolino e si sedette sul bordo del letto, togliendosi le lenzuola. Delle mani fredde si aggrapparono al suo petto. Rise fragorosamente quando capì che lei si era aggrappata a lui, attorcigliando anche le gambe attorno al suo bacino, appoggiandosi sulla sua schiena nuda.

"Non permetterò che tu te ne vada." Esordì, appoggiando il mento sulla sua spalla. Giuseppe si voltò verso di lei, la quale gli lasciò un bacio sulla guancia.

"Ma devo andare. Anche altre persone hanno diritto a vedere il Presidente del Consiglio." Disse, ironico. Ambra non rispose, stringendolo ancora di più. Lui sospirò e cercò di alzarsi, non riuscendoci per il peso morto che la ragazza usava sul suo corpo. Rise e ci riprovò, facendosi leva sulle braccia. Una volta in piedi, si accurò di sorreggerle le gambe, per non farla cadere. Ambra protestò, fra le risate, ma non cercò di scendere, godendo del calore della sua schiena nuda contro il suo busto, protetto, invece, dal cotone della maglietta. 

Lui si mosse verso la cucina, illuminata dalle prime luci dell'alba che venivano filtrate delle finestre semichiuse. Prese la moka e cominciò a riempirla con il caffè, sempre con la ragazza aggrappata a lui. Posò la macchina sul fuoco e fece qualche passo indietro, permettendole di sedersi sul bancone. Si girò verso di lei, posando le mani sulle sue cosce.

"A che ora parti, stasera?" Gli chiese, Ambra.

"Non so. Casalino sa gli orari alla perfezione." Lei fece una smorfia, sentendo il nome di quell'uomo. Ricordava ancora il primo ed unico incontro con il suo collaboratore. "Mi mancherai." Mormorò lui, distraendola dai pensieri ostili che stava architettando contro Rocco. Sorrise teneramente, passandogli una mano fra i capelli.

"Anche tu mi mancherai." Giuseppe la baciò e posò la testa sul suo seno e Ambra la accolse a sé, accarezzandogliela.

"A volte vorrei non aver mai accettato quell'incarico, due anni fa." Borbottò lui. La ragazza si allontanò, alzandogli il viso per guardarlo negli occhi.

"Perché dici questo?" Domandò, preoccupata. Giuseppe sospirò, passandosi una mano sulla faccia, affranto.

"Perché sarei più libero, rilassato, tranquillo di poter rimanere con te." Disse, con un filo di voce. Ambra sorrise dolcemente, sfiorandogli, con la punta delle dita, gli zigomi.

"Sei un Presidente fantastico e sai meglio di me che se potessi, accetteresti di nuovo. Se però ti rendi conto di non poter gestire tutto, ti appoggerò in ogni caso." L'uomo la guardò intensamente, il borbottio del caffè che usciva di sottofondo.

Alla fine, vince chi si spoglia per primo. // GIUSEPPE CONTEDove le storie prendono vita. Scoprilo ora