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Damien si svegliò con il cuore in gola. Balzò giù dalla sedia della sala d'aspetto, e si guardò attorno con una mano sul petto, mentre Chris si alza e lo stringeva in un abbraccio, capendo che per l'ennesima volta aveva fatto lo stesso sogno, di Elia che veniva portato d'urgenza in sala operatoria e poi il dottore gli dava la brutta notizia. Ormai lo conosceva a memoria.
Dam si aggrappò alla maglietta del fratello, poi alzò lo sguardo.
«Non ce la faccio più, Chris. È troppo.»
«Devi resistere, fratellino.» gli accarezzó la testa e lo abbracciò più forte.
«Lo so, ma non ce la faccio.» si separò dal fratello.
«Vai a dormire, Dam. Vai a casa, avrai la schiena a pezzi.»
Era davvero così, stando seduto tutto quel tempo sulla sedia, anche per dormire, la sua schiena ne stava risentendo molto.
«No, va bene così. Vado un po' fuori, però.» disse, uscendo dalla sala d'aspetto. Andò fuori, in una piccola area riservata ai bambini, con un'altalena e uno scivolo. Approfittò dell'assenza dei bambini per mettersi sull'altalena. Non era la prima volta che lo faceva da quando andava lì. Lo rilassava, per quanto fosse possibile.
«Damien?» Martina era appena arrivata all'ospedale, e prima di entrare si era fermata da Damien.
«Ciao!» la salutò, stringendo le mani nelle due catene accanto.
«I tuoi piedi non toccano terra.» gli fece notare la ragazza, sedendosi nell'altra altalena libera.
«Sono un po' troppo basso.»
Martina ridacchiò.
«Lui però ama la mia altezza inesistente. Quando mi abbraccia, mi perdo in lui.» sorrise.
«Posso chiederti come vi siete conosciuti?»
«Non te l'avevo già detto?» chiese di rimando, credendo l'avesse già fatto in passato. O forse era stato solo un altro sogno, che come tutti terminava con la morte di Elia.
«No, non l'hai fatto.» disse lei, lasciando cadere la sua borsa a terra.
Lui accennò un sorriso malinconico, e improvvisamente la sua testa tornò a quel primo giorno di scuola, quando si sentì toccare da una mano, e quando si alzò vide quel ragazzo con quel sorriso inquietante che lo fissava. Ripensò a quando non lo aveva lasciato solo un momento, mentre suonava la chitarra e continuava a vedere il suo sorriso nella sua testa. Immancabile tornò a quando la professoressa li aveva praticamente costretti a fare quel progetto assieme -progetto che avevano dimenticato completamente, beccandosi un bel due di storia-, e di quella domenica passata in camera di Damien. Sorrise ancora, poi le raccontò tutto quanto, dall'inizio, partendo da come era la sua vita prima di Elia, dicendole che era stato la sua medicina.
Le disse che a Elia aveva dato il suo primo bacio, il suo primo abbraccio, la sua prima volta, indimenticabile. Se raccontò tutto, anche del loro primo appuntamento e di quello sbaglio che avevano commesso i camerieri, confidandole anche che, per come erano andate le cose in seguito, il matrimonio non sarebbe stata poi una brutta idea. Sicuramente avrebbe regalato molte belle emozioni, e avrebbe potuto pensare a quel giorno quando stava male, per provare a sorridere. Quindi si immaginò loro due, uno davanti all'altro, uno nelle mani dell'altro, uno più felice dell'altro, sull'altare. E sorrideva mentre lo pensava, ma poi si disse che forse solo uno dei due sarebbe arrivato all'altare, ma non ci sarebbe stato nessun sorriso... solo Elia.
«Sono una brutta persona.» disse infine Damien.»
«Non devo fare altro che sperare il meglio, invece non faccio altro che immaginarlo morto. L'ho anche fatto piangere, una volta, per questo motivo, e so che se potesse lo farebbe ancora. Non si merita me come suo ragazzo, si meritava qualcuno che credeva in una sua guarigione!»
«E tu non ci credi?» gli chiese.
«Ci spero, ma ormai ho smesso di crederci. Quando mia nonna stava male, mi dicevo sempre che sarebbe guarita per me, perché doveva ancora prendersi cura del suo nipotino, che a 10 anni già si era stancato di tutto e di tutti. Ci credevo e ci speravo. Poi è morta, davanti a me. E probabilmente vedrò morire anche lui, così come mia nonna e il mio criceto. Dio, sono una calamita per la morte!» scese dall'altalena, e anche Martina lo fece, recuperando la sua borsa da terra, per poi passeggiare attorno all'ospedale.
«Mi dispiace tanto, Damien. Non deve essere stato facile e neanche bello.»
Damien rise, come quando aveva detto a Elia del suo autolesionismo: una risata che di allegra non aveva nulla.
«Cazzo, no. Mia nonna è morta accanto a me, il mio criceto addosso, ed Elia sta morendo piano piano. Non è né bello né facile.»
«Papà ha detto che ci sono possibilità che si salvi.»
«Ah-ah... e se l'avesse detto solo per farmi stare tranquillo? Sai quanti pugni si è preso tuo padre da me, perché provava a portarmi lontano da Elia? Non lo facevo appositamente, ma se li è presi comunque. Come pensi che avrei reagito se mi avesse detto "il tuo ragazzo sta morendo, preparati!"?»
Martina decise di non dire niente riguardo ai pugni, anche se la cosa, doveva ammetterlo, era piuttosto divertente, vista da un certo punto di vista.
«Forse lo ha detto perché è vero. Non conosco i particolari della sua situazione, ma so che mio padre dice sempre la verità ai suoi pazienti, o alle loro famiglie. Non vuole dare false speranze se non è vero.»
Nel frattempo erano entrati e si fermarono al distributore automatico, dove presero una bevanda fredda. Fu impossibile, per Damien, non prendere il the alla pesca tanto amato da Elia.
«Può essere ma, anche se così fosse, ha fatto intendere che su cento lui ha solo il dieci per cento di possibilità. E non è un numero alto.» Aprì la sua lattina e ne prese un sorso, poi, quando anche Martina prese il suo the al limone, tornarono fuori alle altalene. Elia si sarebbe divertito come un bambino lì sopra, Damien invece la stava solo usando come sedia a dondolo.
«Un signore era in coma da quindici anni o più, dicevano tutti che non c'era più nulla da fare ma un giorno ecco che apre gli occhi. E, se non ricordo male, quel signore aveva superato i sessant'anni. Elia ne ha 18, può ancora sorprendervi.»
«L'hai visto in un film?» chiese Damien, bevendo ancora dalla lattina.
«È stato qui, proprio in questo ospedale. Allora ero poco più che una bambina, però ricordo tutto lo staff dei medici e infermieri lungo il corridorio a fargli un applauso, mentre lo accompagnavano fuori per il suo rientro a casa. È stato bellissimo.»
«Quindi, dici che anche per Eli ci saranno buone possibilità?» chiese.
Lei annuì, e assieme si misero di nuovo in piedi.
Damien gettò la lattina con ancora un po' di the nel cesto, e dopo si avviarono ancora verso l'entrata. Tornarono in sala d'aspetto, dove però c'erano solo un uomo e una donna che nessuno dei due conosceva. Dam deglutì a vuoto, e guardò Martina. Le loro espressioni dicevano "dove sono tutti, e cosa è successo!?". Quindi iniziarono a correre fino all'ascensore, che poi li portò nel piano in cui si trovava Elia. Camminarono a passo svelto, superando bambini che si rincorrevano ed inferiere con i loro carrelli, fino ad arrivare a quella porta ormai tanto familiare. Guardò un'ultima volta Martina prima di aprire la porta con non poca forza. Tutti, proprio tutti, erano attorno al letto di Elia. Edward aveva le lacrime agli occhi, così come Lucia e Georgie. Sul letto, alzato dalla parte superiore, il castano era per metà seduto e per metà sdraiato, e aveva il suo solito sorriso sulle labbra.
Quella era la realtà, non era un incubo. Elia non era morto, si era svegliato!

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LONELY 2Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora