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La professoressa stava chiamando l'appello, mentre Elia passava il suo tempo disegnando sul tavolo verde rovinato dagli alunni precedenti che avevano fatto la sua stessa cosa. Si stava annoiando, forse era l'unico alunno ad aspettare impaziente il momento della lezione. Annie e Denise gli avevano sempre detto che era molto strano.
Poi la porta si aprì. L'intera classe, compresa la professoressa si girò.
Entrò Damien, le braccia intorno alla vita e lo sguardo basso. Chiuse la porta con un piede e si appoggiò alla porta sbattendo rumorosamente la testa. Tirò un sospiro di sollievo. Sembrava stanco, come se avesse corso da casa a scuola senza fermarsi un solo secondo. Guardò tutti uno per uno. Guardò il suo banco vuoto, controllò se dietro c'era seduta Caterina e la sua amica, ma nessuno dei due era lì. Si sentì sollevato, ma non sembrava aver voglia di andare a sedersi. Sapeva che non doveva ascoltare Chris e rimanere invece a casa. Non era ancora pronto. Deglutí e cercò la maniglia della porta senza guardare.
«Ti portiamo il banco lì o ti decidi ad andare al tuo posto?» chiese la professoressa chiudendo il registro mettendo la penna di mezzo per non perdere la pagina.
Elia guardò Annie e Denise e si chiese se avrebbe dovuto intervenire. Damien era piuttosto in difficoltà. I loro compagni parlavano a sottovoce guardando il moro. Aveva abbandonato le braccia lungo i fianchi, le maniche corte lasciavano scoperte le braccia bianche, di cui uno segnato da tanti piccoli segni rossi e uno lungo violaceo. Elia riuscì a vederlo anche a distanza, e avrebbe preferito non farlo. Quella cicatrice stava diventando il discorso principale di due ragazzi dietro di lui, ma non capiva cosa si dicevano con precisione.
«Allora? Io avrei una lezione da mandare avanti.» aggiunse.
Damien schiuse la bocca provando a dire qualcosa ma la voce non gli uscì, rimase in silenzio.
L'entrata a scuola era stata terribile: vuota, silenziosa proprio come quella volta in cui aveva assaggiato per la prima volta -e sperava anche ultima- il bullismo fisico sulla propria pelle. Quindi aveva corso, si era sentito chiamare da una voce maschile ma l'aveva ignorata e aveva continuato a correre su per le scale, fin quando non era arrivato in classe.
Stava animando e i suoi occhi erano ricoperti di lacrime. Caterina e le sue parole erano nella sua testa. Aveva pensato che bastava non vederla per non ricordare ma si sbagliava, perché le sue parole continuavano a ferirlo anche se non erano vicini.
Scivolò lentamente a terra e nascose il viso all'interno del colletto della maglietta, le gambe al petto e i gomiti sulle ginocchia.
Elia si alzò di corsa dalla sedia e gli andò incontro, si inginocchió di fronte a lui e lo attirò a sé.
La professoressa stava ancora chiedendo a Damien - e ora anche ad Elia e agli altri lorob compagni che si erano alzati per andare dal ragazzo- di andare a sedersi, Elia aveva voglia di urlarle di stare zitta ma decise di non dire nulla e abbracciare ancora il suo fidanzato. Aveva fatto un grandissimo errore a presentarsi lì, la ferita non era ancora andata via e lui stava togliendo il cerotto.
«Qualcuno vuole spiegarmi cosa sta succedendo? Il ragazzo sta male?»
Elia non riusciva a sentire molto, ma una ragazza stava raccontando in breve la storia di Caterina e della lite con Damien, del ragazzo che si era fatto trovare all'entrata della scuola, dell'intervento dello psicologo e non aveva evitato di parlare anche del suo tentato suicidio. Non si era fatta scappare niente.
Facendosi largo tra gli studenti, la professoressa si avvicinò ai due ragazzi a terra e si abbassò alla loro altezza. Passò un fazzoletto ad Elia che poi lui diede a Damien. Lo prese lentamente, aveva smesso di piangere ma le lacrime continuavano a bagnargli le guance.
«Vuoi andare a casa, Damien? Chiamo Chris o tuo padre?»
Il moro scosse la testa e tirò su con il naso.
«No. No, stanno lavorando.»
«Posso chiamare mio padre. Davvero, Damien, non devi stare qui per forza.» non voleva tornare al punto di inizio, e aveva paura che stando lì sarebbe successo.
«Elia. Per favore. Non c'è bisogno.»
«Come vuoi. Ma se cambi idea me lo dici. Va bene?»
Damien lo guardò e annuì asciugandosi le guance con il fazzoletto che gli aveva dato la professoressa. Elia si alzò e dopo aiuto lui a fare lo stesso.

La donna stava interrogando. Damien era appoggiato con la schiena al muro e i piedi sulla sua sedia, guardando i suoi compagni che a loro volta ricambiavano l'occhiata. Gli sorridevano e provavano a comunicargli a distanza, Damien diceva a tutti "dopo" anche se sapeva che non avrebbe voluto parlare con nessuno. Non voleva la loro compassione. Gli guardavanob i polsi, o almeno provavano a farlo. Era più curiosità, la loro, che il desiderio di metterlo a disagio. A un certo punto aveva pensato di alzare il braccio e fare vedere la cicatrice una volta per tutti, dire che era anche causa loro ma poi decise che stare fermo e in silenzio sarebbe stata la cosa migliore da fare. Non tutti -forse nessuno- avrebbe apprezzato quel gesto.
Scosse piano la testa e prese la giacca di Elia che era appena allo schienale della sua sedia e la mise, anche se il bianco non era il colore che preferiva. Elia lo guardò ma non gli disse niente.
«Nella fretta non ho preso la mia felpa.» disse il moro. Non sarebbe mai uscito di casa di proposito senza qualcosa che gli avrebbe coperto le braccia, eppure l'aveva dimenticato a casa ed era stato costretto a mostrare le sue cicatrici, da quelle profonde a quelle meno profonde, ma pur sempre cicatrici che davano conferma alle parole che aveva detto Chris qualche giorno prima: aveva tentato il suicidio.
«Avevo intuito.» rispose Elia riprendendo a scrivere gli appunti sul quaderno.
«Non dovevi venire per forza.» aggiunse a bassa voce. Teneva la testa china sul quaderno e scriveva, almeno se la professoressa li vedeva pensava che parlavano a riguardo della lezione: funzionava sempre, anche se lui stesso non capiva come fosse possibile.
«Lo so. Ma qualcuno mi ha detto che i problemi non si evitano ma si affrontano.»
Elia girò un po' la testa verso di lui.
«A poco a poco, però.» precisò il castano.
«Mmm. Lo terrò per la prossima volta.»
«Non ci saranno prossime volte.»
«Non posso evitare i problemi e le sofferenze. È impossibile.» mise i piedi a terra e guardò in direzione della cattedra per vedere se la professoressa li sentivan parlare. Lei era concentrata con Gas che balbettava provando a mettere assieme un discorso sconnesso, ma i compagni cercavano di ascoltare i loro discorsi. Nessuno che si faceva i fatti propri!
«E di certo non posso attaccarmi un cartellino con la scritta "fragile" appesa al petto. Ci saranno altre volte, devo solo tenermi pronto.»

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LONELY 2Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora