"Il video cominciò con l'inquadratura di una casa, le mura gialle e la porta marrone. La voce di un ragazzo stava annunciando che da quel momento in poi sarebbero cominciate le avventure sue e del suo migliore amico Angel. La videocamera si mosse quando il ragazzo bussò alla porta in legno. Fece qualche passo indietro e attese fischiettando fin quando non ne uscì Angel. Si chiuse la porta alle spalle, e ancora prima di salutarlo disse:
«E quella? Cosa è?» la indicò con le sopracciglia alzate ma poi lo bloccò con un gesto della mano, prima che potesse dire qualcosa.
«Anzi, non voglio sapere niente. Se è accesa spegnila.» iniziò a camminare con le mani nelle tasche dei pantaloni e lo sguardo basso. Diede un calcio a una pietra.
«Ma come? Me la sono fatta dare apposta da mio nonno! Sai quanto ci ho messo a farlo convincere?» dal suo tono di voce sembrava offeso ma Angel continuò a camminare.
«Fai come ti pare.»
Giovanni lo seguì in silenzio per un po', il respiro pesante. Angel era troppo veloce, aveva quasi difficoltà a tenergli il passo.
«Quale è il tuo problema? Andiamo, sono il tuo migliore amico, sai che con me puoi parlare.» disse.
Angel si fermò all'improvviso e Giovanni iniziò a camminare più lentamente, fin quando furono vicini ma non troppo.
«Uno dei problemi è proprio questo.» rispose riprendendo a camminare, questa volta più lentamente.
«Sono io il problema, vorresti dire? Ma io pensavo che...»
«Certe volte sei un tale cretino! L'hanno capito tutti quanti, tranne tu. O fingi di non capire, il che sarebbe ancora peggio.»
La videocamera stava riprendendo la strada vuota davanti a loro, qualche volta il cielo e qualche volta il terreno, in base ai movimenti di Giovanni.
«Di che cosa stai parlando?»
«Che cosa mi dice ogni giorno il tuo vicino di casa?»
«Che sembri innamorato di me perché sei sempre lì? È questo il problema, il mio vicino? Lascialo perdere quello!» girò la telecamera verso di lui. Angel si stava passando nervosamente le mani ai capelli, continuando a camminare lentamente. Sospirò.
«Il problema è che ha ragione, ma tu non te ne sei mai accorto perché non fai caso ai particolari! L'hanno notato anche i miei genitori... e loro non fanno caso mai a niente, se riguarda me. E per favore, non aggiungere altro, non sono pronto per un rifiuto, soprattutto per un 'siamo come fratelli'. È una giornata già schifosa da sé, e se davvero tieni a me almeno un poco, non dire niente. Niente, Gionni.» con la mano si asciugò una guancia. Giovanni fece ciò che Angel gli aveva chiesto, ovvero di non dire niente a riguardo. Quindi ci fu soltanto il silenzio, piuttosto imbarazzante. Giovanni riprese due cani che si rincorrevano, e per un po' si vedevano soltanto i due animali.
«Perché è una giornata schifosa?» dal suo tono di voce si capiva il disagio.
«I miei genitori... se così posso definirli... non sono più tornati dalla loro... 'vacanza'.» disse Angel.
«Che cosa significa che non sono tornati?»
«Significa che dovevano tornare due giorni fa, invece no. Non torneranno, mi hanno lasciato qui. Da solo.»
«È impossibile. Magari hai fatto male tu i calcoli...»
«No. Mi hanno detto sette giorni. Sette giorni sono già passati e li hanno anche superati, ma loro non ci sono.»
«Oh. Non è una cosa bella.» disse Giovanni.
Angel accennò una risata sarcastica.
«Pensavo lo fosse, invece. Grazie che me lo hai detto tu, stavo cominciando i festeggiamenti.»
«Angel, non so che cosa dirti.»
«Non lo so, arrivato a questo punto, puoi dirmi che l'unica cosa che mi rimane da fare è uccidermi. Ti prenderei in parola e ti direi anche grazie per il bel consiglio.» nella sua voce non c'era del sarcasmo, soltanto la speranza di sentirsi dire davvero quelle parole. Ed era questa la cosa peggiore. Giovanni disse qualcosa, ma Angel si era già messo a correre in avanti. Il suo amico lo chiamò e lo seguì. Ansimava. Aveva il fiatone. Angel era molto veloce, lui no, in più doveva stare attento a non far cascare la videocamera del nonno. Poi Angel scomparse. Non riusciva più a vederlo. Continuava a chiamarlo ma non rispondeva. Si fermò un po' per riprendere aria e poi riprese a camminare, aumentando il passo a poco a poco. Quindi vide in lontananza una figura che saliva sul cornicione di un ponte. Era Angel. Urlò più forte il nome del suo amico. Lo raggiunse quando ormai era in piedi e guardava verso il basso, le guance bagnate dalle lacrime e gli occhi rossi. Giovanni appoggiò la videocamera su una scatola per terra, probabilmente arrivata lì con il vento, la visuale era ancora quella di Angel sul cornicione e Giovanni che gli si avvicinava con cautela. Angel gli disse di non toccarlo, di non parlare e di non muoversi, e lui lo ascoltò.
«Non volevo arrivare a farlo. Ma... questa è la cosa più giusta da fare. Morirei comunque, di fame, di solitudine...» gli tremava la voce.
Giovanni fece un passo avanti e Angel ne fece uno indietro. L'amico continuò a urlare il suo nome con vero e proprio terrore nello sguardo e nella voce, ma Angel non si mosse più. Girò la testa, forse per guardare quanto fosse alto. Giovanni si guardava attorno nella speranza di vedere qualcuno che potesse aiutarli, ma erano da soli.
Gli chiese di non farlo, gli disse anche che avrebbero trovato una soluzione ma Angel si mise a ridere e disse che doveva smetterla di mentire, perché non ci sarebbe stata una soluzione...
Mise un piede indietro e Giovanni urlò ancora una volta, dietro non c'era più niente, sarebbe caduto e...
Angel cadde a terra con addosso un ragazzo, arrivato all'improvviso di corsa. La videocamera riusciva a riprendere soltanto Giovanni che fissava il suolo sorpreso, ma si sentì il rumore dei due ragazzi quando caddero a terra, e le proteste di Angel.
Giovanni rimase immobile mentre loro si alzavano. Guardò il ragazzo. Dove era? Perché prima non lo aveva visto? E quando era arrivato, non si era accorto di niente. Il biondo ricambiò la sua occhiata, il suo sguardo chiedeva spiegazione ma non ricevette niente.
«E tu chi sei?» Angel alzò la voce, sembrava arrabbiato ma le lacrime che scendevano ancora dicevano altro.
Il ragazzo non rispose. Il suo petto si alzava e abbassava aritmia irregolari, aveva gli occhi sgranati.
Giovanni si mosse, sembrava volesse abbracciare Angel ma se ne pentì una volta che gli fu accanto. Il ragazzo lo guardò.
«Non hai ancora detto chi sei. Che cosa ci fai qui?»
«Che cosa ci faccio qui? Era impossibile non sentirlo urlare. Sembrava lo stessero ammazzando.»
«Avrebbero ucciso anche te.» gli fece notare Angel passandosi entrambe le mani sulle guance.
Ancora una volta il ragazzo non disse una parola ma si sedette a terra, appoggiando la schiena al cornicione. Si tolse gli occhiali e li osservò attentamente. Una stecca si era piegata. Li rimise senza lamentarsi e si girò verso Angel, che si era seduto accanto a lui.
«Io... io...» Giovanni era scosso. Indicò un punto lontano con il dito per far capire che si stava allontanando e poi scomparve dalla visuale, lasciando i due ragazzi da soli in silenzio.
«Angel?»
«Uhm?»
«Non lo so... vuoi... parlare?»
Angel alzò le spalle. Poi attaccò a parlare, raccontando dall'inizio alla fine tutti i suoi problemi, da come lo trattavano i suoi genitori a quando lo avevano abbandonato, nel racconto aveva incluso anche l'amore non ricambiato che provava per il suo migliore amico, e ovviamente non aveva potuto fare a meno di esternare le sue paure. Era ormai rimasto da solo, con una casa che non sapeva come mantenere e il resto. Il ragazzo li aveva ascoltato senza interromperlo un solo istante, ma quando finì di parlare annuì e disse:
«Non vorrei essere fuori luogo, ma, tutto sommato, non tornando, ti hanno fatto un gran favore. Lo so che sei un ragazzo, ma appunto, per essere così giovane ne hai passate già tante... la loro assenza può offrirti una nuova possibilità. Hai detto che ti piace cucinare, no? Cerca, vai in giro nei ristoranti... chiedi al tuo professore di cucina, chiedi al tuo amico se conosce qualcuno o appunto, chiedi se possono aiutarti, lui e la sua famiglia. Ma il suicidio no... non ucciderti per loro. Non dargli questa soddisfazione.»
Angel lo guardò.
«Per te è facile.»
«Dio, no. Per me non è facile, al posto tuo starei malissimo. Davvero. Ma non avrei neanche pensato ad uccidermi.»
«Ho pensato solo a questo.» confessò Angel portando le gambe al petto. Appoggiò i gomiti sulle ginocchia e il ragazzo gli toccò il braccio, guardandosi le dita subito dopo. Erano sporche di sangue.
«Credo di averti fatto cadere su qualcosa di tagliente.» disse il ragazzo cambiando discorso.
Angel si fissò il braccio e poi guardò lui.
«Sì. E mi hai fatto male.»
«Tze... e tu volevi lanciarti da un ponte?» scosse la testa e afferrò il polso di Angel, che gli aveva lanciato un'occhiataccia dopo la sua domanda, e gli alzò la manica piano piano.
«Sarei morto, non avrei sentito dolore.»
Il ragazzo scosse la testa.
«Questi non è detto, non è poi tanto alto...» e iniziò a spiegare quali potevano essere le varie conseguenze a una caduta di quell'altezza, parlava come un vero e proprio esperto. Angel gli chiese come faceva a sapere tutte quelle cose, lui rispose che studiava medicina da quando era soltanto un bambino, che il suo grande sogno era diventare un chirurgo come il resto della sua famiglia. Aveva annuito.
Il ragazzo intanto aveva preso dei fazzoletti dalla tasca dei pantaloni e lo stava passando sulla ferita di Angel, che mordeva il labbro inferiore ogni volta che gli faceva male.
«Non mi hai detto come ti chiami...» gli fece notare Angel.
«Foster.»
«Foster presumo sia il cognome. Ma il nome?» chiese ancora.
Il ragazzo continuava a tamponare con il fazzoletto sulla ferita. Quando finì, mise da parte i fazzoletti sporchi e prese dal suo portafogli dei cerotti.
«Non credo abbia molto senso dirti come mi chiamo. Fra qualche giorno ti dimenticherai di me, e io mi dimenticherò di te.»
«Stai cercando di farmi credere che non esisti e che mi sto immaginando tutto?»
Il ragazzo, Foster, lo guardò alzando le sopracciglia.
«Sto soltanto cercando di farti capire che Roma è una grande città, e che le possibilità di incontrarci ancora sono pari al... uhm, due per cento?» spiegò Foster.
Angel non ribatté, forse perché sapeva che aveva ragione, o forse perché non aveva voglia di discutere per idiozie.
«Quindi non ci vedremo mai più?»
Foster alzò le spalle. Aveva finito di medicargli il braccio, guardò il suo lavoro e annuì soddisfatto, poi rispose alla domanda che gli aveva fatto Angel.
«Tu devi stare alla larga dai ponti, se vuoi avere almeno questo due percento di possibilità.»
Angel rise. Poi ancora discorso..."Non riuscirono a vedere la fine del loro incontro, la videocamera si era scaricata a metà, mentre i due ragazzi chiacchieravano su qualsiasi cosa, tranne dei problemi di Angel. Mark, lo avevano notato tutti, faceva qualsiasi cosa per non parlare di quello, più perché voleva regalargli una giornata dicersa che perché non gliene importasse niente. Avevano guardato le riprese in camera di Angel. Rimasero in silenzio durante tutto il video, ma ogni tanto Mark prendeva la mano al compagno e viceversa. Matilde si era ritrovata con gli occhi pieni di lacrime.
Angel spense la televisione e rimase con il telecomando in mano. Aveva continuato a pensare di sbagliarsi, di credere che quel ragazzo non poteva essere Mark, lo stesso con cui era stato fidanzato per tre anni, fin quando non lo aveva visto nel video con i suoi stessi occhi.
«Oddio...» fu il solo commento di Angel. Non gli veniva niente da dire, così per Mark, Martina e anche Julian e Matilde. Non capitava spesso di trovarsi in situazioni simili, anzi, erano davvero rare se non insolite.
Quando finalmente stava per dire qualcosa, Marvin entrò in camera del padre correndo, urlando una citazione e del suo film preferito, "300", salì sul letto e si lanciò letteralmente addosso al biondo.
Nessuno seppe cosa stava per dire Mark.☆☆

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LONELY 2
Fiksi Remaja{Copertina realizzata da Alex_wvrdl} Damien ha soltanto 6 anni quando per la prima volta i suoi compagni lo prendono in giro. Quel piccolo gesto, comune fra tutti i bambini di quell'età ha segnato la sua vita. Da quel giorno tutti ridono di lui, tut...