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A ottobre la spiaggia non poteva che essere deserta, era questo che aveva spinto Damien ed Elia ad andare lì. Avevano voglia di stare fuori, ma il moro voleva anche stare lontano da tutti, quindi avevano scelto assieme di andare lì. Non avevano detto una parola da quando erano usciti di casa, e non si erano tenuti per mano anche se Elia gliela toccava spesso.
Quindi aveva alzato la zip del giubbotto e aveva stretto le braccia in vita.
Era un buon segno sentirsi a disagio accanto al ragazzo che amava? Accanto al suo fidanzato... si sentiva nel posto sbagliato con la persona sbagliata, si sentiva non voluto. Stava male. Con una spalla di asciugò una lacrima scesa sul mento e continuò a camminare fino a quando non decise di fermarsi e sedersi sulla sabbia fredda. Damien si sedette di fronte a lui ma distante. Lo guardò mentre si portava le gambe al petto e legava le braccia attorno ad esse, diventando sempre più piccolo. Con il mento sulle ginocchia ricambiò un'occhiata, la con la sola luce della luna non riusciva a vedere le lacrime sulle sue guance.
«Mi manchi.» gli disse Elia. Tirò su con il naso e chiuse gli occhi per un paio di secondi, quando li riaprì scesero ancora lacrime, velocemente ma in silenzio.
«Mi mancano i tuoi baci spontanei... la scimmietta. Adoravo svegliarmi e sentirti addosso a me, adesso mi sveglio e ti vedo girato, distante.» aggiunse.
«Ho accettato di non prenderti neanche per mano in pubblico, mi sta bene, ma adesso siamo da soli e continui a starmi lontano.» non riusciva a crederci che il giorno prima era stato Jonathan a dargli più affetto di Damien. Lui gli aveva stretto la mano solo per un paio di minuti, dopodiché aveva continuato a ignorarlo per l'intera giornata, gli aveva detto soltanto "ciao" quando se ne stava andando e basta, la notte non gli aveva scritto e neanche chiamato, e quella stessa mattina non gli aveva scritto il buongiorno, neanche risposto al messaggio che gli aveva mandato. Non capiva proprio quel cambiamento. Sembrava si stesse riprendendo, e invece...
«Ho troppa paura, Elia.» rispose il ragazzo cogliendolo di sorpresa.
«Credevo che almeno tu mi avresti capito. E mi dispiace, mi dispiace davvero se non riesco ad essere come prima, se mi blocco ogni volta che quel maledetto bacio si fa sempre più... mi dispiace, Elia, ma non ce la faccio. Vorrei farlo anche io, non immagini quanto, ma ogni volta che ti sto vicino penso che... penso a... quel tipo che si è fatto trovare all'entrata della scuola e...» non riusciva a formulare una frase sensata.
Era troppo scosso.
«Tu però non puoi capire cosa ho passato. Siamo entrambi gay, ma hanno preso di mira solo me, hanno fatto a me il coro quando sono arrivato a scuola, davanti tutti, hanno mandato a me centinaia di messaggi tutti insulti, e hanno preso me a pugni, non a te. Quindi Elia, lasciami avere paura, fammi avere il terrore di baciarti o di fare altro.»
Elia non sapeva che cosa rispondere. Lo guardò mentre si alzava e si andava a sedere a cavalcioni sulle sue gambe. Ora che erano così vicini, Damien riuscì a vedere le lacrime sul viso del castano, e le tolse con le dita.
«Dammi del tempo, Elia. Torneremo a fare tutto, baci abbracci... anche quello, ma dammi del tempo.» gli sistemò il colletto del giubbotto, una volta finito mise le mani sulle spalle solide di Elia. Era sicuro che avrebbe capito, almeno questa volta.
«Lo sai che ti amo. Vero?» gli chiese poi. Strinse le braccia attorno al suo collo e le gambe alla vita, Elia si attaccò a lui così forte da farli male, anche se non era sua intenzione. Strinse gli occhi e si morse le labbra fino a farle sanguinare, sentì il sapore metallico in bocca, ma continuò a stringere per non scoppiare a piangere.
«Non lo sai?» chiese ancora.
Elia annuì senza aprire bocca. Sapeva che se l'avesse fatto avrebbe pianto.
«Allora basta preoccuparti per niente. Fammi un sorriso, perché potrei morire senza.»

Matilde e Julian avevano distrattamente perso i biglietti di ritorno, il giorno della partenza si erano trovati a mettere sottosopra le loro valigie, i loro borsoni, le auto di Mark e Angel e anche la casa del biondo, ma niente da fare, erano persi.
I due erano disperati, poi il cuoco propose loro di rimanere a Roma fino alle vacanze di Natale, ormai non lavoravano più e non erano obbligati a stare in casa del figlio, potevano tornare nella loro vecchia abitazione. Fortunatamente nessuno si era trovato contrario alla sua idea, e dovevano ammettere che fino a quel giorno era andato tutto bene, se non fosse stato per quella sera. Erano arrivati in casa nel tardo pomeriggio. Se la rabbia avesse avuto un volto, avrebbe avuto il volto di Mark. Aveva sbattuto la porta ed era andato a sedersi direttamente a tavola accanto alla madre. Non aveva neanche salutato.
Angel gli andò dietro e mise le mani sulle sue spalle.
«Non toccarmi.» disse Mark alzandosi dalla sedia per andare vicino al lavello.
Martina guardò i nonni, e ringraziò la se stessa di 15 minuti prima per aver portato Marvin su in camera a guardare un film. Non gli sarebbe piaciuto quello spettacolo.
«Vuoi continuare così per tutto il giorno?» chiese. Ringraziò silenziosamente Martina e i suoi nonni per non aver chiesto niente.
«Sì.» rispose Mark diretto. 
Quella era la prima volta che Martina li vedeva litigare veramente,  fino ad allora si erano limitati a insulti e schiaffi finti. Adesso sembrava che suo padre volesse picchiarlo sul serio, almeno del occhiatacce che gli lanciava.
«Potresti smettere per una sola volta di pensare male?» Angel sembrava sul punto di scoppiare.
«No, non posso. Non puoi pensare che me ne stia tranquillo mentre cani e porci ci provano con te e tu...»
«E io cosa? Gli ho detto come minimo trenta volte che sto con te!» gli fece notare, anche se non credeva fosse necessario, visto che era accanto a lui quando tutto era successo.
«A cosa è servito, se poi hai accettato di andare a casa sua per un caffè.»
«Un caffè appunto, mica una scopata.»
«Mi prendi in giro? So come funzionano queste cose.»
«Non è questo il caso. È un amico.»
«Sai, Angel, c'è differenza tra amici che si incontrano al bar e amici e si incontrano sul letto... e lui non sembrava intenzionato ad andare al bar.»
Anche a quella distanza, Martina riusciva a vedere la vena del collo di suo padre pulsare. Scambiò un'occhiata con i suoi nonni. Preferivano non intromettersi, era già parecchio imbarazzante così.
«Questo qui... Davide, o come cazzo si chiama, è stato una scopata occasionale, no  può essere un tuo amico.»
Angel lo fissò. Sapeva che quello che stava per dire lo avrebbe fatto innervosire ancora, ma lui non si stava fidando, quindi non capiva perché avrebbe dovuto preoccuparsi per lui.
«Vorrei ricordarti che anche tu sei stato una delle mie "scopate occasionali", come hai detto tu, intanto eccoci qui, dopo sei anni.» allargò le braccia per indicare tutto ciò che lo circondava. Martina rischiò di strozzare con la sua stessa saliva. Si era sempre chiesta come si fossero conosciuti i due, ma ora che lo aveva detto avrebbe preferito non sapere.
«Mi hai paragonato agli altri...» disse, palesemente infastidito, ancora più di prima.
Lo aveva colpito in pieno, forse più che farlo arrabbiare lo stava facendo soffrire. E un po' gli dispiaceva, ma era il prezzo da pagare per la sua gelosia e possessione nei suoi confronti. Stava per dire qualcosa, ma ormai Mark era uscito dalla stanza -non se ne era neanche accorto-, ed era rimasto da solo con Martina e i due adulti.

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LONELY 2Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora