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«È strano, sai?»
Mark girò la testa verso Angel, sdraiato accanto a lui sul letto del biondo.
«Sì, stare qui con te dopo quattro anni...» proseguì il cuoco, con lo sguardo puntato verso il soffitto.
«Ho fatto un errore enorme. Non avrei dovuto lasciarti da solo con un bambino di 5 anni, ho pensato solo a me stesso e questo mi rende una persona orribile.»
«Hai soltanto sbagliato, ma non credere di conoscere persona più buona e gentile di te. Voglio non dico dimenticare questa storia - quattro anni non vanno via come foglie nel vento-, ma metterla da parte iniziare un nuovo capitolo.» cercò la mano di Mark e quando la trovò gliela strinse piano.
«Io ti avrei odiato.» confessò Mark girandosi a guardare il soffitto, come Angel.
«L'ho fatto. Ma al tempo stesso ti amavo. E ti amo, ancora, Mark. Per questo sono pronto a perdonarti.»
«Non so come ringraziarti. Ormai mi ci stavo quasi abituando a una vita senza te. Sai che noia!» gli si avvicinò tanto da appoggiare la testa alla sua spalla.
«Lavoro e casa, lavoro e casa... per quattro anni. Ma credo sia stato il karma. O forse ho soltanto ripreso la mia routine che avevo prima di conoscerti...»
Angel lo guardò con gli occhi socchiusi.
«Vuoi dire che tu non sei mai stato con altri, in tutto questo tempo?» gli chiese, senza essere poi tanto sorpreso. Mark aveva sempre messo a primo posto il lavoro e sua figlia, non si concedeva mai in po' di svago. Era un uomo fin troppo serio, e la cosa peggiore era che, da quanto gli aveva raccontato lo era sempre stato, anche da adolescente!
«Esattamente. Credo di esser tornato vergine. È possibile?» rise.
«Ne dubito, ma nel caso... io potrei far qualcosa per riparare.»
«Quanto ho aspettato questa frase!» Mark ringraziò mentalmente Martina per averli lasciati da soli in casa.
«Abbiamo già vissuto una scena simile.» ridacchiò Angel salendo a cavalcioni sul biondo, che non perse tempo a sbottonargli i pantaloni.
Mark sorrise al ricordo, ma non ebbe il tempo di rispondere perché Angel lo stava già baciando.

Damien spostò il piatto che aveva davanti, non riusciva a trovare l'appetito. Sentiva che i suoi fratelli lo stavano fissando così come Georgie e Jonathan, che aveva deciso di andare a fargli visita.
«Non hai fame?» gli chiese Chris, rimettendogli il piatto davanti.
Damien fece spallucce e lo spostò ancora una volta.
«Devi mangiare, Dam.» il fratello andò accanto a lui, disposto anche ad imboccarlo se fosse stato necessario.
«Non voglio. Non ho fame.» disse Damien, abbassando lo sguardo sulle sue braccia, ora sotto il tavolo. Non lo vedeva, ma sapeva che sotto alla felpa c'erano i punti. Aveva voglia di strapparseli vvia soffrire e... andare via, per sempre, in un mondo migliore. O annullarsi per sempre, che sarebbe stata la cosa migliore per tutti quanti, pensò lui.
«Starai male.»
«Perché adesso sto una meraviglia, in effetti.» lo guardò.
«Avreste dovuto lasciarmi andare. Anche io ho bisogno di un po' di pace, perché devo essere sempre io quello che soffre?»
Jonathan stava quasi soffrendo a vederli e a sentirlo parlare in quel modo.
«Quello che ti serve è Elia. Hai bisogno di lui, Dam.» chris lo accarezzò.
«È per colpa sua se sono qui. Mi ha fatto abbassare la guardia, chiunque ha saputo di me quando io non volevo dirlo a nessuno.»
«Elia non ti farebbe mai soffrire volontariamente. Non voleva succedesse tutto questo. Non a te.» disse Georgie. Elia stava malissimo in quei giorni, tanto che quasi non lo riconoscevano più. La mattina faticava ad alzarsi per andare a scuola, i suoi sorrisi erano scomparsi e al loro posto c'erano le lacrime, frequenti e dolorose. Il suo solito ottimismo stava svanendo nel nulla fumo, la felicità era solo un lontano ricordo.
«Lui ti ama, e si sta autoconvincendo che sia veramente colpa sua, quando invece è successo tutto questo a causa di Caterina.»
Damien pensò a quanto fosse brutto quando Elia piangeva, soffriva. Sicuramente in quel momento lo stava facendo, e la colpa era solo sua.
«Tu hai bisogno di mio fratello, ma anche lui ha bisogno di te.»
Voleva non poter sentire. Sentirsi dire che senza Elia non era nessuno non lo avrebbe aiutato, peggiorava soltanto la situazione, sempre se fosse stato possibile.
Appoggiò i gomiti sul tavolo e la fronte sui palmi delle mani tremanti. Aveva la nausea.
Elia gli mancava. Gli mancava tanto, la sua vita senza di lui non poteva considerarsi tale. Voleva svegliarsi con quegli occhi blu che lo fissavano, voleva svegliarsi e sentirsi intrappolato in un suo abbraccio. Voleva svegliarsi felice, eppure non poteva, perché fra lui ed Elia non c'era più niente.
Sussurrò il nome del castano, poi i singhiozzi coprirono le altre sue parole.
Che cosa aveva fatto?

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LONELY 2Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora