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Elia aveva bevuto una tisana calda guardando fuori dalla finestra, aspettando che la pioggia smettesse di cadere per poter uscire di casa. Nel frattempo aveva atteso un altro messaggio da parte di Damien, anche se il contenuto del primo non gli era piaciuto almeno si era fatto sentire. Lo aveva riletto almeno 4 volte quando lo aveva ricevuto e la notte lo aveva fissato senza ormai vedere più le parole a causa degli occhi inondati di lacrime. La cosa che più lo tormentava non era tanto la fine della loro relazione -soffriva molto per questo, ma non era la causa principale-, stava male perché non aveva dato il massimo, non lo aveva aiutato ad accettarsi come gli aveva promesso. La famiglia di Damien lo aveva affidato alle sue mani e lo aveva lasciato cadere, si era frantumato come un vaso di porcellana, irreparabile, fragile anche dopo aver provato a mettere un po' di colla per unire tutti i pezzetti.
Quando aveva smesso di piovere non tardò a chiamare il padre per chiedergli di accompagnarlo, con il cuore che batteva forte nel suo petto per tutto il viaggio. Non disse una sola parola trattenendo il respiro fino a quando non si trovò davanti quella porta, bussò e poi qualcuno aprì. Non sapeva se tirare un sospiro di sollievo per non essersi trovato Damien davanti o sentirsi triste per lo stesso motivo, quindi si limitò ad accennare un sorriso, anche se forzato.
«Elia!» Chris fu sorpreso dib trovarselo davanti, si era presentato lì senza alcun preavviso.
Lo fece entrare in cucina, dove Lydia e i genitori erano seduti a tavola. Damien non era lì.
«Ciao.» disse infilando le mani in tasca.
«Non ti aspettavamo.»
«Scusate se non vi ho avvisati. Ma avevo bisogno di venire. Damien è in casa?» al suo posto c'era ancora il piatto con tutta la pasta, le posate erano pulite. Non aveva mangiato.
«Non c'è. Non sappiamo dove sia andato ma non è qui.» disse Sarah. Greg le mise una mano sulla spalla per confortarla.
«Non c'è perché non c'è davvero o non c'è perché non volete farmelo vedere?»
«Elia, non è in casa. Puoi aspettarlo qui, se ti va.» disse Chris passandogli accanto per andare a sedersi.
«Grazie.»
Lydia era sicura di non averlo visto così abbattuto neanche quando parlava del suo tumore.
«Sta dando segni di miglioramento?»
«La psicologa ha detto che ha parlato. Non molto, ma ha cominciato a parlare. Non ha detto nient'altro.»
«Un passo alla volta. Stiamo pur sempre parlando di Damien.» non gli era mai venuto così difficile sorridere come in quel momento, dove l'unica che poteva fare era piangere.
«Stiamo provando in ogni modo a farlo tornare da te, ma non ci riusciamo. È testardo.»
«È soltanto ferito.» lo difendeva ancora, nonostante tutto.
Poi la porta di aprì. Elia non capiva se il suo battito fosse accelerato o si fosse fermato tutto d'un colpo quando Damien entrò. Chiuse la porta e alzò la testa incrociano lo sguardo di Elia, bloccandosi sul posto con gli occhi spalancati e il respiro che diventava sempre più affannoso.
Nessuno dei due parlò , si guardarono soltanto per quelle che a entrambi sembrarono un'eternità.
Chris decise silenziosamente, assieme alla sua famiglia, di salire e lasciarli un po' nella loro privacy , visto che sembrava non avessero intenzione di muoversi.
Rimasti soli, Elia gli si avvicinò ma lui fece un passo indietro, così fino a quando la sua schiena toccò il muro.
«Perché scappi da me?» chiese il castano bloccandogli la spalla con una mano per evitare la sua fuga. Ma Damien sembrava rimasto immobile, incapace di muovere un muscolo oltre che respirare.
«E tu perché se-sei venuto?» chiese a sua volta. L'ultima volta che l'avevo visto risaliva all'uscita dall'ospedale, adesso che ce lo aveva davanti era come se fossero passati anni, gli anni più brutti e lunghi della sua vita. In realtà di trattava solo di giorni, lunghi, tristi, vuoti. La sua vita prima di Elia non aveva alcun senso, dopo neanche. Aveva passato quei giorni nella sua camera, da solo, a guardare fuori dalla finestra. A pranzo o cena non scendeva mai, saltava tutti i pasti, compresi i piatti che sua mamma gli lasciava davanti la porta nella speranza di trovarli vuoti. Come li lasciava li trovava, e la sua preoccupazione si faceva sempre più viva. Damien era magro da sé, se poi non mangiava più rischiava molto. Ma lui mangiava, la notte, quando tutti dormivano e gli unici rumori in quella casa erano le urla nella sua testa. Mangiava un toast con la nutella e tornava a letto, a fissare una fotografia o qualunque altra cosa potesse ricordargli che anche lui era stato felice. Un anno, qualche mese, ma lo era stato.
Ogni sua attività si era ridotta al minimo, le chitarre se ne stavano lì nell'angolo a riempirsi di polvere, la sua voce veniva sprecata solo per piangere e per urlare, le sue mani solo per graffiarsi e farsi del male. Anche ascoltare musica con le sue cuffie non era la sua soluzione ai problemi come prima. L'unica cosa che faceva, oltre a chiudersi in camera, era uscire, visitare tutti quei luoghi in cui era stato con Elia -volontariamente o no?- per rendersi conto che senza di lui niente aveva lo stesso fascino. Il mare era soltanto un luogo comune, il ristorante era un ristorante come tutti. E anche il giardinetto era diventato noioso e triste.
«Perché mi manchi.» rispose senza giri di parole. Gli mancava davvero, e doveva farglielo sapere.
«Perché voglio aiutarti. Voglio starti vicino. Voglio che tu mi permetta di rimedi are a tutto, o almenon provarci. Non tenermi lontano da te. Non ha avuto senso donarmi un polmone per ridarmi l'aria, se poi te ne vai e mi trovo da punto a capo.»
«Perché non puoi accettarlo? Fattene una ragione, è finita. Punto.»
Sentir dire quelle parole fu una pugnalata al cuore, ma si disse che non doveva mollare.
«Non me ne faccio una ragione perché ti amo, Damien. E so che anche tu mi ami. Non lo accetto per questo. Se tu mi avessi detto che non provi più nulla per mme pazienza, ci sarei rimasto malissimo ma avrei capito. Non posso costringerti a stare con me. ma tu mi hai detto che non vuoi amarmi, ed è decisamente diversa la situazione.»
Damien non lo guardava in faccia, aveva la testa rivolta verso il basso e le braccia incrociate in vita. Fece un passo, ma Elia gli mise l'altra mano sul petto e lo fermò. Sentì che anche lui aveva il battito a mille.
«Qualcuno ha vinto la guerra dei cent'anni, la prima e la seconda guerra mondiale, l'altra guerra dei trent'anni e via dicendo. Ma mai, e dico mai, nessuno potrà vincere contro i sentimenti. Puoi anche non volermi amare, ma sai anche tu che "al cuor non si comanda". È una guerra persa già alla partenza, arrediti.»
«Mi hai sempre detto di non arrendermi. Questa la chiamo incoerenza.» finalmente alzò lo sguardo, questione di secondi, ma servirono per accorgersi di quanto tristi e insoliti fossero i suoi occhi. A causa sua.
«Puoi andare, adesso. Lasciami in pace.»
«Guardami negli occhi. Guardami negli occhi e dimmi che non mi ami, ma devi essere sincero, fallo e me ne andrò. Non ti scriverò o chiamerò più, e se ti disturba così tanto la mia presenza non verrò neanche. Adesso guardami e dimmi che non mi ami.» per un istante sperò che Damien lo guardasse sì, e senza dire nulla baciarlo dimenticando i giorni precedenti. Quello che fece in realtà fu appoggiare la testa sul braccio di Elia e piangere. Aveva sperato di trattenersi almeno davanti a lui, per non fargli capire che lo amava ancora -anche se lo sapeva con o senza le lacrime- ma non era riuscito a trattenersi. Infondo, come aveva detto Elia, era pur sempre Damien.
«Non puoi presentarti qui. Se davvero ci tieni a me vattene, ti pprego vattene e non farti vedere più. Lo vuoi capire o no che sto peggio se mi stai vicino?»
«Come fai a chiedermi una cosa del genere? Dami, ti prego.»
«Elia. Elia, vattene.» ansimava. E tremava, piangeva.
Il castano non aveva intenzione di allontanarsi ancora una volta, ma se questo gli avrebbe causato ulteriore sofferenza forse doveva lasciarlo stare in quel momento e ripassare in un secondo momento. Gli baciò la testa e scivolò lentamente lontano da lui. Poi uscì da casa salutandolo con la mano. Pianse una colta chiusa la porta.

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LONELY 2Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora