16

239 21 1
                                    

«Dove mi stai portando?» chiese Damien sbuffando, appoggiando con forza la testa al finestrino. Quella era probabilmente la decima volta che glielo chiedeva ma Chris non gli dava una risposta.
Sperava solo non lo stesse portando da Elia, se l'avesse visto il suo tentativo di non amarlo più sarebbe andato a rotoli e lui avrebbe sofferto ancora di più.
«Me lo vuoi dire o no?» continuò il diciannovenne, guardando davanti a sé.
«Non dirmi che stiamo andando da Elia, ti prego.»
Chris sbuffò.
«Dovrei essere io scocciato, non tu. Mi hai letteralmente rapito e non so dove mi stai portando.» fece una piccola pausa e si girò a guardare il fratello per incitarlo a rispondere ma lui era concentrato sulla strada.
«Allora?»
«Ora lo vedi.» in almeno mezz'ora di viaggio quelle erano le uniche parole che aveva detto. Era già un passo.
«Se non me lo dici scendo dalla macchina. Adesso. E sai che posso farlo.»
«Fallo, se riesci ad aprirlo.» scrollò le spalle.
Damien sbuffò.
«Sei insopportabile, Christopher.»
«Forse.» scrollò ancora le spalle, poi fermò la macchina.

Damien non conosceva quella casa, non sapeva dove si trovavano. Che Elia avesse affittato una casa per un giorno per potergli parlare? Ne sarebbe stato capace, e questo terrorizzava il moro.
Guardò il fratello mentre bussava alla porta e dopo un po' una donna sui 50'anni andò ad aprire.
«Buongiorno, entrate.» la donna sorrise cordialmente e si spostò per permettere ai ragazzi di entrare. Chris stava dietro Damien e lo teneva stretto per le spalle, per evitare una sua fuga.
«Buongiorno.» la salutò il maggiore, Damien si limitò a guardarlo chiedendo chi fosse quella sconosciuta, se l'avesse già vista da qualche parte ma l'aveva dimenticata o la mamma di qualche suo amico. O poteva anche essere Elia travestito...
«Tu devi essere Damien, vero? Piacere, il mio nome è Roberta ma puoi chiamarmi Robby!» tese la mano e lui la strinse senza dire nulla.
«Avevo proprio bisogno di conoscere Robby, Christopher. Adesso puoi riportarmi a casa?»
Il fratello si abbassò per baciargli la testa poi lo spinse piano in avanti, in quel momento Roberta lo tenne per un braccio.
«Fra un'ora passò a prenderti, Dam. Fai il bravo.»
«Che-che cosa? Perché?»
«Ti voglio bene, Damien. Hai bisogno di aiuto, ma ci rendiamo conto che da soli non possiamo fare niente.»
Damien guardò la donna con gli occhi sgranati, e capì che quella donna sarebbe stata il suo quarto psicologo. Come aveva fatto a non pensarci subito, ovvio che stavano andando da uno strizzacervelli, e dove se non lì?
Chris li salutò per poi andare via, lasciano il fratellino nelle mani della donna. Sperava con tutto il cuore che almeno lei sarebbe riuscita ad aiutarlo. Di tre psicologi in cui era stato nessuno aveva saputo fare bene il suo lavoro, o comunque Damien stava talmente tanto male che neanche il più bravo degli psicologi del mondo avrebbe saputo fare qualcosa?

Damien era seduto su una poltrona bianca di fronte alla scrivania di Roberta, che lo guardava con un piccolo sorriso. Il moro aveva concentrato la sua attenzione al caminetto spento, alla pioggia sulle finestre e a un vadlso -conteneva le ceneri di qualcuno?- sopra ad un mobiletto.
«Mio nonno.» disse lei rispondendo alla domanda silenziosa del ragazzo.

"Allora è davvero un'urna!" pensò Damien.

«Tutto sommato, non se la passa male.» commentò Damien, senza vedere l'espressione della donna, se era rimasta impassibile o l'aveva infastidita.
«Anche io vorrei essere dentro uno di quei cosi. Però no, a dire la verità le bare sono più belle. Ne voglio una nera, come le mie felpe e la mia anima. La prossima volta che proverò ad uccidermi, lo lascerò scritto su un post-it. Non è una bella idea?»
«Se hai finito con questi discorsi macabri possiamo anche cominciare.» disse la donna prendendo il suo block notes, per appuntare qualsiasi cosa. Si disse che non doveva dimenticare di scrivere anche quel suo discorso.
«Parlami un po' di te.»
«Mi chiamo Damien, ma questo lo sa già. E sono stato letteralmente rapito da mio fratello per venire qui anche se non mi va, ma credo sappia anche questo.»
«Come ti senti in questo momento?» gli chiese.
«Benissimo.» mentì, guardandola mentre scriveva.
«Mi hanno detto quanto sia riservato...»
«Le hanno anche detto quanto ce l'ho lungo?» chiese infastidito, sorprendendo la donna che non si sarebbe mai aspettata quella risposta. Se le avevano già detto tutto perché si trovava lì? Non poteva dargli solo un antidepressivo e basta?
«No, e non credo sia una cosa importante. Vuoi parlarmi di qualcosa in particolare?»
«Glieli ripeto: non voglio parlare con nessuno.» sbuffò, dicendo a se stesso che una volta soli avrebbe picchiato il fratello.
«E se ci fosse stato Elia al mio posto, avresti parlato?»
«E-Elia?» ballettò Damien.
«Proprio lui. Siete stati fidanzati per un anno, dico bene?»
Damien annuì lentamente senza poter fare a meno di ricordare quel giorno, Elia che gli confessava il suo amore nei suoi confronti e dopo il bacio, il suo primo bacio.
«Vuoi parlarmi un po' di lui... o di voi?»
Il moro scosse la testa mordendo l'interno della guancia, sentendo che le lacrime stavano per arrivare. Roberta, o Robby, se ne era accorta.
«Puoi almeno dirmi perché lo hai lasciato se lo ami ancora?»

"Stronza!"

Damien non rispose. Desiderava che la smettesse di fare domande.
«Non vuoi proprio rispondere, eh?»
Il ragazzo era curioso di sapere cosa stesse scrivendo. Puntini di sospensione? Parole a caso? Perché scriveva anche se lui non parlava?
Anche a quella domanda Damien non rispose.
«Sto solo cercando di aiutarti.»
«O di svuotare il portafoglio di mio padre...»
«Non lavoro per i soldi. Adesso concentriamoci su di te, va bene?»
«Mi fa schifo parlare di me. E mi fa ancora più schifo parlare di me con una tizia che non conosco.» opponeva resistenza in tutti i modi, ma la donna non stava affatto perdendo la sua pazienza. Capiva che era stato portato lì di forza, quindi ci avrebbe messo di più ad aprirsi, sempre che l'avrebbe fatto!
«Parlare con qualcuno che non conosci spesso può rivelarsi più utile. Quando hai cominciato a parlare con Elia eravate già grandi amici?»
«Vaffanculo!» allora ce l'aveva proprio con lui!
«Io me ne vado da qui.» si alzò dalla sedia e andò verso la porta.
«Tuo padre ha già pagato l'ora intera...»
«Affari suoi. Sanno. Lo sanno che ho un particolare odio verso gli psicologi e continuano.»
Roberta fu felice di vedere le sue lacrime, forse stava cominciando a parlare e ad esternare i suoi sentimenti.
Il ragazzo si passò distrattamente la mano fra i capelli, le ciocche andavano di qua e di là. Elia li amava.
«Tu hai un particolare odio verso chiunque provi ad aiutarti. Se avessi concesso al tuo ragazzo di aiutarti, probabilmente non saresti neanche qui.» si avvicinò a Damien, che rimase fermo sul posto con le braccia attorno alla vita e lo sguardo fisso sul pavimento. Lo vide piegarsi lentamente, si era chiuso in se stesso come un riccio impaurito e piangeva, pensando che quella donna aveva ragione. Pensando che non avrebbe dovuto lasciare l'unica persona che amava veramente.
«Elia ti manca?» chiese Roberta, piegandosi a sua volta.
Damien attese un poco ma poi annuì piano. Gli mancava. Gli mancava tremendamente ma intanto non poteva tornare da lui. Doveva guarire.

«Mark, sei libero?» chiese Molly, l'infermiera.
«Al momento sì. Perché?» si girò a guardarla, bevendo un piccolo sorso di caffè.
«Un bambino ha bisogno di punti. Vieni con me.»
Mark lasciò il bicchiere sul bancone -neanche nei momenti di pausa poteva rilassarsi un poco!- e la seguì fino ad arrivare al bambino, seduto su un lettino che si premeva una ferita sul braccio con uno straccio -era una giacca?-, mentre, a pochi passi da lui, una donna stava parlando al telefono, visibilmente agitata.
Il bambino sembrava tranquillo, forse solo un po' annoiato.
Molly aveva passato l'occorrente su un carrellino a Mark, dopo era uscita dalla stanzetta chiudendo la porta per lasciare la privacy al piccolo paziente.
L'uomo sorride al bambino e salutò entrambi.
«Non mi fa tanto male, posso andare?» chiese il bambino a Mark, che scosse la testa con un sorriso.
«Potrai uscire solo una volta medicata la ferita.»
Il bambino annuì.
«Ok.» si sdraiò sul lettino come gli era stato chiesto prima da Molly.
«Ma ci sarà l'an... anequalcosa ?» chiese, facendo ridacchiare sia la donna che Mark.
«Anestesia. E sì, te la farò. Non hai paura degli aghi, vero?»
«Non ho paura di niente.»
«È vero. Non siamo ancora riusciti a farlo spaventare con nulla.» commentò la donna, che aveva da poco chiuso la chiamata.
«Abbiamo un piccolo guerriero, eh? Come ti chiami, piccolo?» chiese Mark, intanto aveva già cominciato a disinfettare la ferita del bambino, che guardava tutto come se stesse guardando... i cartoni.
«Indovini.» sorrise.
«Non me lo vuoi dire? Così mi offendi.» scherzò l'uomo.
«E se lo chiedessi a tua mamma?»
«Oh, no. Io non sono la mamma, sono la sua babysitter.» sembrava un po' imbarazzata.
«Suo padre sta arrivando. Lo avevo portato al parco giochi, ma poi è inciampato sopra ad un vetro o un chiodo e... povero piccolo.»
«Non sono morto. È soltanto un taglietto.» rise.
«Non ha ancora indovinato come mi chiamo, comunque.»
Mark ci pensò un po' su.
«Vediamo... Filippo?» provò.
Il bambino scosse la testa, i capelli biondi si mossero e andarono a coprirgli un poco il piccolo viso.
«Carmelo? Orazio? Gabriele?»
«No. E menomale.» rispose il piccolo ridendo.
«Puoi dirmi almeno la prima lettera? I nomi sono davvero tanti»
«"M"»
«Vediamo... Matteo?»
Il bambino rise ancora, tutti quei nomi erano davvero brutti!
«Martino? Maurizio? Max? Mario?»
«No.»
«Va bene, mi arrendo. Ti chiamerò soltanto "M".»
La babysitter ridacchiò, poi vennero distratti da qualcuno che bussò alla porta. Entrò senza aspettare il permesso e si avvicinò al lettino su cui era sdraiato "M".
Mark si sentì mancare l'aria davanti ad Angel, che probabilmente non si era neanche accorto che a medicare suo figlio, Marvin, era stato il suo fidanzato.

✩✩

LONELY 2Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora