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Elia entrò in ospedale di corsa. Dietro di lui c'erano Lydia e anche il professore Baker, che li aveva accompagnati. Il castano stava dando di matto, aveva provato ad uscire dalla finestra e in quel momento Angel capì che non poteva non fare nulla. Martina era rimasta in classe con il resto dei ragazzi, anche se doveva ammettere che voleva trovarsi anche lei lì, con i suoi amici. Sarebbe andata da loro una volta finite le ore di turno!
Elia riconobbe Mark anche se era di spalle, appoggiato al banco della reception a gustarsi il suo caffè giornaliero. Gli si avvicinò correndo, e quando lo toccò, Mark rischiò di far cascare il bicchiere di plastica che teneva il mano.
«Elia.» disse l'u omo, vedendo arrivare anche Lydia e Angel: entrambi i ragazzi avevano gli zaini sulle spalle.
«Che cosa ci fate qui?»
«Mio fratello.» Lydia non riusciva a dire più di tanto, Elia se provava ad aprira la bocca l'unica cosa che faceva era singhiozzare o farfugliare parole incomprensibili.
«Tuo fratello chi? Damien o Christopher?»
«Damien. Dam.» Lydia non si era accorta che stava stringendo.il polso al professore. Lui non le stava dicendo nulla, il dolore della ragazza era molto più forte di quello suo.
«Non ho visto Damien in giro, e non ho sentito nemmeno di un urgenza. Siete sicuri?»
«No, me lo sono sognata! Certo che sono sicura.» non voleva urlare, ma lo aveva fatto.
«Se volete posso chiedere a qualcuno.» disse, gettando il bicchiere nel cestino, anche se non aveva bevuto tutto il caffè.
«Dami...» aveva sussurrato Elia, pensando che se si trovava lì era tutta colpa sua. Non aveva fatto abbastanza, adesso stava per morire. L'aveva fatto, aveva trovato il coraggio che non aveva avuto a 14 anni, aveva fatto il "taglio decisivo". Li stava abbandonando. Li stava facendo soffrire.
Mark gli mise una mano sulla spalla. Ormai conosceva quel ragazzo da quattro anni, ed era quasi sicuro che non lo aveva mai visto così spaventato, neanche quando doveva operarsi o affrontare le chemio.
«Dami...» ripeté, girandosi verso il portone d'ingresso, quando esso si aprì, tutto d'un tratto.
Chris era entrato dando un calcio alla porta, fra le sue braccia aveva il fratellino, incosciente, la testa appoggiata al petto del maggiore. Chris aveva la maglietta zuppa di sangue, come le mani, le braccia e i pantaloni. Era terrorizzato.
Dietro di lui c'erano Sarah e Greg, anche loro avevano paura negli occhi. Il loro bambino gli stava morendo davanti. Erano a pochi metri di distanza quando lo aveva fatto, ma non si erano accorti di nulla. Sarah, secondo lei, sarebbe dovuta rimanere accanto al figlio tutto il tempo, invece di andare a cucinargli qualcosa da mangiare, pur sapendo che, molto probabilmente, non l'avrebbe neanche guardato. Invece lo aveva lasciato da solo, con i suoi dolori, con le sue lamette. Come aveva fatto a non pensare che sarebbe potuto ricadere? Come? Era sua madre, certe cose avrebbe dovute saperle a prescindere, solo guardandolo. Era una madre orribile. Non lo aveva capito la prima volta e neanche la seconda, adesso stava morendo. Non si stupiva di tutti i "ti odio" che Damien gli aveva urlato, probabilmente anche lei avrebbe odiato la sua mamma e il suo ppapà se non si fossero accorti di una sua eventuale sofferenza.
Lydia le corse in contro, la abbracciò e la sentì tremare. La ragazza era di spalle, non si accorse di quando caricavano il fratello sulla barella -non avrebbe voluto neanche vederlo-, di Elia che provava in tutti i modi di avvicinarsi a lui ma veniva bloccato dal suo professore. Mark stava correndo verso la sala operatoria.
A Chris erano cedute le ginocchia, si sentiva molle e stordito, e non si accorse di avere il padre dietro fin quando non si inginocchió e lo abbracciò. Lo aveva tenuto in braccio, sulla macchina, e pregava Dio e tutti i Santi che non morisse, non fra le sue braccia. Non avrebbe mai dimenticato quel momento. Era stato traumatico. Provò a strapparsi la maglietta, odiava sapere che a sporcarla era stato il sangue di suo fratello. Stava piangendo. Anche lui, credeva di non aver fatto abbastanza.

La sala d'aspetto era sempre la parte peggiore. Dovevano stare lì seduti, aspettando una notizia da parte dei medici. Non sapevano nulla, se stava andando bene o male, se Dam si sarebbe salvato o meno. Nel frattempo erano arrivati anche Georgie e i suoi genitori, e Martina.
Elia non aveva aperto la bocca, non aveva detto una sola parola. Avrebbe detto cose poco carine su Damien, cose di cui si sarebbe pentito subito dopo. Era arrabbiato con lui. Poteva sopportare la rottura del loro fidanzamento, ma non il suo suicidio. Che cosa gli era saltato in mente?
Solo dopo quelle che a Elia erano sembrate infinite ore arrivò Mark, che si sedette su un tavolinetto posto al centro della sala in modo da vedere e farsi vedere da tutti.
«Allora? Come sta?» chiese Greg.
Anche Angel sperava in una risposta positiva, pur avendo con Damien solo un rapporto professore-studente. Non era stato difficile collegare gli insulti di Caterina al suo tentato suicidio.
«Sta bene. Ha perso molto sangue, ma avete fatto giusto in tempo.» era sempre bello dare buone notizie.
«Quello che maggiormente mi preoccupa è la sua salute mentale.» infilò due dita nel taschino in alto a sinistra del suo camice e se estrasse un biglietto. Lo passò a Sarah.
«Vi consiglio con tutto il cuore di farlo aiutare da uno psicologo. Lo ha già fatto una volta, potrebbe farlo ancora. Inoltre aveva l'intero avambraccio ricoperto di...»
«No...» sussurrò Elia, sapendo cosa stava per dire Foster. Era tornato autolesionista! Se lo aspettava, ma averne la conferma era doloroso.
«Questo è il numero di...?» chiese SSarah neanche lei voleva sentire quelle parole.
«Una psicologa. Molto brava nel suo mestiere, ha aiutato molte persone e spero possa aiutare anche Damien.»
«Grazie.» disse Greg.
«Possiamo vederlo?»

Prima di andare da Damien avevano dovuto aspettare il suo risveglio. Era stato stressante aspettare ancora, ma quando Foster aveva comunicato loro che potevano andare, avevano lasciato che fosse Elia ad andare per primo. Era entrato senza bussare, e lo aveva trovato sdraiato sul letto, con la testa rivolta al soffitto. Aveva lo sguardo vuoto.
«Mi fate tutti schifo.» disse con un filo di voce, senza girarsi per guardarlo.
«Non dovrei essere qui.»
«Infatti, dovresti essere con me.»
Damien non gli rispose.
«Stavo per essere felice anche io, una volta per tutte. Credete di aver fatto una cosa buona, salvandomi, invece no. Mi state distruggendo.»
«Noi? Davvero, Damien? Sei tu che hai lasciato me, non il contrario. Sei tu che non vuole più parlare con nessuno, non il contrario.» era rimasto a poca distanza dal letto.
«Sai come ci si sente quando rischi di perdere la persona che ami. Perché mi hai fatto questo?»
«Non devi amarmi. E io non devo amare te, lo capisci o no? Sei stupido, per caso?»
Elia trattenne le lacrime con forza.
«Hai ascoltato le parole di una tizia qualunque, che ti ha detto delle cattiverie solo per il gusto di vederti soffrire. Avresti dovuto ascoltare tutti noi, che ti abbiamo sempre detto che tu sei normalissimo, che sei esattamente come ogni altro essere umano. Gay o no.»
Damien girò la testa verso di lui quando sentì un piccolo singhiozzo. Lo aveva fatto piangere, ancora una volta, e nonostante si diceva che non avrebbe voluto/dovuto amarlo, era stato un colpo al cuore.
«Io ti amo, Dami. Fai vincere l'amore.»
«L'amore fa schifo, soprattutto se fra due maschi. Soprattutto se uno dei due sono io. Io faccio schifo, io merito la morte...»
«Ti prego basta.» gli si avvicinò, e provò ad accarezzargli la guancia. Come quel giorno al giardinetto, lo respinse.
«Non dire queste cose. Non meriti la morte, meriti solo il bene...»
«Chiudi questa bocca, Elia. O perlomeno smettila di dire queste maledette frasi fatte, ottimiste. Vivi ancora in un mondo tutto tuo, dove i gay sono normali e non vengono picchiati all'entrata della scuola! Svegliati, cazzo, non siamo in una favola disney.»
Elia non sapeva come rispondere.
«Adesso esci da qui, e non fare entrare più nessuno!»

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LONELY 2Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora