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Greg era accanto a Damien quando entrarono in ospedale, seguiti da Chris e Lydia e Sarah.
Damien camminava a testa bassa e le mani nelle tasche della felpa, andando dritto nella sala d'aspetto per poi sedersi nel primo posto libero, aspettando il suo turno.
Si guardò attorno. La televisione era accesa come tutte le altre volte in cui era stato lì per Elia, un bambino stava guardando i cartoni animati e un anziano signore si lamentava perché, da quanto aveva capito Damien, voleva guardare il telegiornale.
Una donna accanto all'uomo -il ragazzo non capiva se fosse una badante o la figlia- gli ripeteva di stare zitto, e dopo gli aveva passato un giornale dicendogli che sarebbe stata la stessa cosa. L'anziano lo lanciò sul tavolo come un bambino indispettito, e Damien si chiese se anche lui sarebbe stato così alla sua stessa età: fastidioso. Scosse la testa quando il signore cambiò canale facendo così piangere il bambino.
Si mise a guardare davanti a sé, riconoscendo il posto in cui si era addormentato tante di quelle volte nei giorni in cui Elia veniva ricoverato in ospedale. In quel punto, quel giorno era seduto un uomo da lui conosciuto, il professor Baker. Lo fissò, poi l'uomo incrociò il suo sguardo e lo salutò. Damien ricambió con un piccolo gesto della mano, poi il professore si alzò e andò nella loro direzione. L'ultima volta che l'aveva visto era insanguinato, privo di coscienza sulle braccia del fratello, che adesso se ne stava accanto a lui a scrivere a Georgie. Damien non capiva se messaggiava con lei perché preoccupato per la gravidanza -mancavano poc o più di due settimane al parto, o meno, non ricordava bene- o per non pensare al motivo per cui erano lì.
«Hey!»
Avendolo a così poca distanza capiva perché Elia faceva tutti quei commenti un po' spinti ogni volta che lo vedeva.
«Ciao.»
Era evidente l'imbarazzo dell'uomo, non si era mai trovato in una situazione simile.
«Lei è il professore di Dam?» chiese Greg. Ricordava della passeggiata che avevano fatto lungo i corridoi dell'ospedale, mentre il figlio era in fin di vita e lui provava a portarlo altrove con la mente, anche se sapeva quanto potesse essere complicato e impossibile. Marvin non era il suo figlio biologico, eppure se si fosse trovato in sala operatoria lui ne sarebbe stato malissimo.
«Esatto. Damien ed E...»
Con lo sguardo, Damien gli aveva chiesto, anzi, pregato di non pronunciare quel nome.
Voleva sapere come andava a scuola. Se quelle cinque o sei ore fossero uguali o diverse da prima, se riusciva a concentrarsi meglio durante le lezioni senza nessuno che cercava la sua mano sotto il tavolo.
«Come sta...»
«Lei perché è qui?» chiese Damien, stanco di parlare di sé.
«Io? Io... visita di controllo. Ho avuto un problema... alla gamba. Ortopedia, sì.»
Damien alzò entrambe le sopracciglia e alzò le spalle. Non sembrava convinto delle sue stesse parole, ma lasciò perdere. Infondo a lui non importava nulla, aveva chiesto solo per evitare il discorso "Damien ed Elia" oppure "tentato suicidio fallito". Però neanche Baker sembrava voler parlare di sé.
«E tu? Perché sei qui?» un sospetto ce lo aveva, però era meglio chiedere.
Damien non rispose subito, sospirò e alzò a mezz'aria il braccio.
«Oh. Non vorrei sbagliarmi, ma questo si può fare anche dal medico di famiglia.»
«Non mi piace. Lì si possono trovare spesso le stesse persone che parleranno, qui, mi sembra improbabile.» spiegò proprio nel momento in cui Foster entrò e si avvicinò alla famiglia. Guardò Baker per un secondo ma lo salutò come se fosse solo un altro dei suoi pazienti.
«Allora, sei pronto?»

Punti tolti, Damien non si sentiva ancora pronto per tornare a casa, dove ogni angolo lo associava ad Elia. Andò in sala d'aspetto, Baker era ancora lì e gli si sedette accanto. I suoi genitori e Foster lo seguirono. Chris sospirò.
«Adesso perché ti sei seduto qui? Alzati, andiamo a casa e mangi, che fra un po' di te rimangono soltanto i vestiti.»
Damien rimase in silenzio.
«O potresti andare da Elia.» disse Foster. Dam sgranò gli occhi, e Baker si chiese se fosse a conoscenza o meno di quella storia. Ma era evidente che lo sapeva.
«O posso marcire qui.»
«Prima o poi dovrai andare da qui.» gli disse Mark sedendosi sul tavolinetto di fronte al ragazzo.
«Vuoi raccontata la storia di un bambino e la sua palla?»
«No, a dire la verità. Ma ho capito che non posso scegliere nulla sulla mia vita, quindi la dirai ugualmente. Avanti, parla pure.»
«Questa che sto per raccontarti è la storia di un bambino che chiameremo Damiano -per pura casualità- e della sua palla.»
«Pura casualità?» ripeté Damien alzando un sopracciglio.
Mark annuì.
«Puramente casuali.. Adesso non intrometterti nella storia.
Damiano era un bambino solitario, non amava andare a giocare assieme agli altri bambini della sua età, preferendo invece rimanere in casa a guardare la televisione o ascoltare musica con le cuffie. Nessuno aveva trovato il modo per farlo uscire, fin quando un giorno di inizio settembre, gli venne regalata una palla. Una palla bellissima, tanto da far cambiare idea a Damien.... ehm, Damiano e farlo uscire di casa a giocare. Gli bastò passare mezza giornata assieme alla palla per capire che non voleva più farne a meno, perché quando giocava diventava un'altra persona, si sentiva felice come lob era mai stato nella sua breve vita. La palla era diventata il suo migliore amico, il compagno di giochi e molto altro. Non poteva più farne a meno, e non voleva farne a meno. Odiava chiunque la toccasse, anche per scherzo, anche per un solo secondo. Non l'avrebbe scambiata con niente e nessuno al mondo, per alcun motivo. Avrebbe fatto di tutto per la palla. Poi accadde l'inevitavile: la palla si sgonfiò. Damiano pensò che quello sarebbe stato il suo ultimo giorno, mese forse settimana assieme all'oggetto, dopodiché non l'avrebbe più visto o usato. E anche solo al pensiero era triste, soffriva e stava male, ma fu comunque abbastanza forte da non farsi abbattare, decidendo di trovare una cura per salvarla, decidendo che sarebbe stato egli stesso la cura. Fu lui, infatti, a gonfiarla, gli ha dato la sua stessa aria, ignorando ogni tipo di pericolo.
Damiano tornò ad avere la sua palla, passarono ancora altre belle giornate assieme. Poi gli venne detto che la sua palla era brutta, vecchia e ormai fuori moda da un po', che non avrebbe più dovuto giocarci. E lui li ascoltò. Damiano lasciò andare la palla lontano da lui, la osservava andare via pur ricordando di tutte le volte che era stata fra le sue mani, tutte le volte che aveva riso assieme a essa o pianto quando non c'era. La lasciò andare, anche se non lo voleva...»
«Perché mi sta dicendo tutto questo?» a Damien tremava la voce e le sue guance erano rigate dalle lacrime. Intorno a loro, Baker e la famiglia di Dam attendeva la fine della storia e la reazione del ragazzo.
«Damiano non ha capito che per quei ragazzi la palla poteva anche essere passata di moda, vecchia e brutta, ma come era piaciuta a lui poteva piacere a tante altre persone che l'avrebbero trovata sola e incustodita, quindi l'avrebbero presa e portata a casa. Poteva succedere. Come poteva succedere che Damien... Damiano capita di aver commesso un errore a lasciarlo andare, ma ormai sarebbe stato troppo tardi, perché la palla apparteneva ormai a qualcun altro, che magari l'avrebbe maltrattata come aveva fatto il proprietario precedente, che chiameremo Jake.»
«Forse la palla adesso è felice senza Damiano.»
«Stronzate. Elia è stato bene dopo la prima chemioterapia, quando gli ho detto che aveva un tumore ma non quando lo hai mollato e tentato il suicidio.» era stata l'ennesima persona a dirglielo.
«Damien... tu ami Elia! Gli hai donato un polmone. Un polmone, cazzo, non cinque euro da spendere come meglio desiderava. Non puoi lasciarlo solo perché a qualcuno non sta bene. Vai a recuperare la palla prima che qualche stronzo se la prende.»
Sarah strinse la mano del marito speranzosa. Chris non si era accorto di star stringendo forse troppo forte la spalla di Baker, che non gli disse nulla e morse l'interno della guancia. Lydia tamburellava nervosamente le dita sul suo braccio.
«E se ormai fosse troppo tardi?»
«Sarà troppo tardi se continuerai a stare seduto qui a parlare con me. Ora vai.»

Damien tremava. Non perché era bagnato dalla testa ai piedi e fuori si gelava, ma perché trovarsi davanti la porta di Elia dopo così tanto tempo gli metteva ansia. Il giornon prima il ragazzo era andato a casa sua, ma lui lo aveva rifiutato dicendogli di non cercarlo più, e così lui aveva fatto: per il resto della giornata e quello dopo non gli aveva scritto e neanche chiamato. Era troppo tardi. Lo aveva capito quando non c'era più nulla da fare. Fece un passo indietro per andare, poi tornò indietro, davanti la porta. Qualcuno aveva già trovato la sua palla? La palla sarebbe stata felice di tornare a giocare con lui?
Sospirò e poi si decise a bussare.
Sembrò passare un'eternità prima che la porta si aprisse rivelando un Elia come Damien non lo aveva visto, con le occhiaie sotto gli occhi, una t-shirt bianca e una vecchia tuta grigia. I segni delle varie ore di pianto non erano ancora andati via, i capelli non erano ordinati come sempre e, non voleva sbagliarsi, gli sembrava più magro di prima. Quel ragazzo non era Elia.
«Damien...» fece un passo in avanti e la pioggia bagnò anche lui.
Damien piangeva, le lacrime si mescolavano con l'acqua. Non disse nulla, bastava il suo sguardo per fargli capire che desiderava soltanto essere perdonato.
«Damien...» ripeté.
«Elia... io...»
«Tu?»
«Mi dispiace. Ho sbagliato, come sempre nella mia vita. Credevo che lasciarti sarebbe stata la soluzione a tutto invece ho peggiorato la situazione a tutti quanti. Non ne farò mai una buona e... mi dispiace.» era consapevole che il suo aspetto non era dei migliori, che se qualcuno passava di lì vedeva un ragazzo che piangeva e implorava Elia per tornare assieme. Una scena pietosa, eppure non aveva altro metodo per farlo. Doveva umiliarsi, doveva farlo bene!
«Damien, fai un respiro profondo e calmati. Entra, ti cambi e poi parliamo tranquilli.»
«Perché non mi odi? Dovresti chiudermi la porta in faccia e mandarmi a 'fanculo e invece no, stai qui a parlarmi e preoccuparti per me. Quale cazzo è il tuo problema, posso saperlo?» a Damien era sembrato di essere osservati da una signora dalla finestra accanto, probabilmente disturbata dalle urla.
Elia accennò un sorriso.
«Il mio "problema", presumo sia quello di essere innamorato di te.»

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LONELY 2Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora