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19 giorni dopo (15/10/2018)

Elia aveva dimenticato quando aveva fatto l'ultima volta l'amore con Damien.
Sapeva però che da quando erano tornati a stare assieme, i loro unici contatti fisici si limitavano a delle carezze, abbracci e baci perlopiù a stampo. Damien si allontanava ogni volta che capiva che potevano andare oltre, si scusava e si girava dall'altrk lato del letto.
Edward gli aveva detto di dargli del tempo, stava ricominciando tutto da capo, non poteva pensare di tornare al loro vecchio rapporto tutto d'un colpo. Ma quanto avrebbe dovuto aspettare ancora? E soprattutto, sarebbe mai successo di nuovo? Ormai Elia cominciava a pensare che sarebbe rimasto tutto così per sempre, e si disse che era disposto a rinunciare al sesso pur di non vederlo allontanare ancora una volta da lui.
Ma poi accadde. Era un pomeriggio piovoso di metà ottobre, i due ragazzi sdraiati sul letto uno accanto all'altro, Damien abbracciato a lui come non facevano da quelli che a Elia erano parsi secoli. Era strano però come entrambi fossero così tanto imbarazzati. Elia aveva paura di fare una mossa sbagliata, pertanto se ne stava immobile, fatta eccezione per piccoli movimenti della testa quando voleva guardarlo.
Fu Damien a sollevarsi su un gomito e a guardarlo dall'alto, prima di abbassarsi ancora per baciarlo. Elia rimase sorpreso per qualche secondo, successivamente ricambiò il bacio mettendogli un braccio dietro la schiena e uno sul braccio, stringendolo con dolcezza. Si aspettava che da lì a poco Damien si sarebbe allontanato ancora, invece quello che fece fu l'esatto contrario, salendo sopra il ragazzo a cavalcioni,  interrompendo il bacio solo un paio di secondi per prendere aria.
Senza quasi sapere come, le loro magliette si trovarono a terra accanto al letto, i bottoni dei jeans aperti e...
Il cellulare di Damien, appoggiato sopra al comodino, iniziò a suonare. Il moro allungò una mano e senza neanche guardare chi fosse abbassò il volume intenzionato a ignorarlo, Elia gliene fu immensamente grato ma non disse niente. Le sue mani scivolarono ai pantaloni del ragazzo, riuscì ad abbassarlo un poco prima che il telefono riprendesse a suonare.
«Non rispondere, ti prego.» lo pregò Elia quando Damien si sedette sul suo corpo.
Prese il telefono e guardò il nome: Chris.
«È mio fratello.» disse.
Elia borbottò qualcosa del tipo "ma dai, non me l'aspettavo proprio". Damien accennò un sorriso e rispose alla telefonata.

Arrivarono in sala d'aspetto di corsa e si avvicinarono subito a Chris e le loro famiglie. Chris stava stringendo la mano a sua madre, che gli diceva di stare calmo, ma lui sembrava non sentirla.
Georgie, proprio come avevano immaginato, non era lì con loro, e mancava anche Lucia. Al momento del parto Georgie avrebbe voluto avere il futuro padre del figlio, ma viste le condizioni del ragazzo era stata la madre ad andare con lei. Era stata la scelta migliore da fare.
Greg entrò subito dopo i due ragazzi e si sedette accanto al figlio mettendogli una mano sulla spalla. C'era passato tre volte anche lui, e sapeva cosa stava passando in quel momento.
Elia, come il cognato, non riusciva a stare tranquillo se pensava che a qualche metro da lui sua sorella, la sua sorellina, stava per dare alla luce un bambino. E se qualcosa fosse andato storto? Se il bambino aveva qualche problema, se gli mancava qualche arto o se... scosse la testa, non riusciva a credere che a pensare quelle cose orribili su suo nipote era proprio lui. Damien esitò, ma poi gli prese la mano e lo guardò dal basso. Elia non capiva come un ragazzo tanto fragile come Damien riuscisse a infondergli tanto coraggio nel momento di bisogno. Strinse la presa e gli sorrise.
Assieme andarono fuori, si sedettero su un muretto.  Poco più distanti da loro si sentì una voce maschile. Elia la riconobbe come la voce di Mark Foster, che li aveva salutati. Era seduto su una panchina vicino l'entrata -come aveva fatto a non notarlo prima?-, e accanto a lui c'era il loro professore. Anche i li salutò,  e i due ragazzi ricambiarono.
«Siete qui per Georgie, vero?» chiese Foster.
Elia annuì ma non chiese come facesse lui a saperlo. Probabilmente l'aveva vista arrivare.
«E dire che dovevamo sposarci!» disse poi il chirurgo. Elia rise. Quando Georgie aveva 13 anni credeva di essersi innamorata del chirurgo del fratello -Elia non aveva ancora capito se fosse seria o meno-, e per stare al gioco Mark le aveva fatto una finta proposta di matrimonio. Il castano fu felice di sapere che non lo aveva dimenticato con il passare degli anni.
«È sua la colpa.» disse Elia indicando Damien.
«È stato lui a farli conoscere.»
«Mio fratello l'ha messa incinta, voglio ricordarti.» rispose il moro facendo spallucce.
«Non posso darti torto.» ammise Elia alzandosi. Guardò Mark.
«Non potevi essere tu a farlo nascere?» dopo anni che si conoscevano aveva cominciato a dargli del tu.
«Ni sarei sentito più sicuro a saperlo nelle tue mani.»
«Tua sorella e il bambino sono in ottime mani, Elia. Te lo assicuro. Non preoccuparti.»
Elia annuì. Se lo diceva lui, allora era vero. Forse in vita sua non aveva mai conosciuto uomo più serio di lui, con così tanta voglia di lavorare e di dare il meglio di sé.
Quindi si girò verso Damien che non aveva ancora detto una parola, forse la presenza dei due uomini lo metteva a disagio, o forse non aveva niente da dire, pertanto preferiva starsene in silenzio.
Anche Angel e Mark lo guardarono.
Il moro sperò che nessuno dei due gli chiedesse cose del tipo "come stai?", oppure "va tutto bene?". Per un giorno voleva evitare di parlare di sé, quel giorno voleva dedicarlo interamente alla nascita del nipote. Prima che gli chiedessero qualcosa, fu lui a porgere la domanda al suo professore.
«È strano, sa? A scuola sta benissimo, in cucina si muove così abilmente... eppure, arrivato qui, dice che ha problemi alla gamba. » alzò un sopracciglio davanti alla sua espressione stranita, come se non sapesse di cosa stesse parlando.
«Io non ho pro...» sgranò gli occhi, poi ripensò alla bugia che gli aveva detto il giorno in cui lo aveva visto in ospedale, quando doveva togliere i punti. Era per questo che odiava mentire, perché poi le dimenticava e faceva figuracce 
«Ah, quel problema. Beh, sai come è... i problemi rimangono lontani dalla scuola...» cercò di rimediare in ogni modo. Ma i due ragazzi non erano stupidi.
«Come no.» disse Damien.
«Potete dirmi qualsiasi cosa, ma non che sono stupido. Entrambi mi avete fatto tante di quelle lezioni di vita, tra "essere gay non vuol dire essere malati" e "vai a riprenderti la palla" e adesso si inventa un dolore alla gamba. Pff .» scosse la testa. Sentì Elia ridere e vide Mark farsi una manata sulla fronte. Angel non fece nulla.
Damien si sentì soddisfatto. Poi i due uomini li salutarono ed entrarono dentro, dopo che una donna li aveva chiamati, lasciando Damien ed Elia da soli. Rimasero in silenzio per un po' di tempo, prima si mettesse di nuovo a piovere costringendoli a entrare.

Sembrarono passare anni prima che una donna in camice bianco si avvicinasse a loro con un largo sorriso sul volto. Quando la vide avvicinare, Chris si mise in piedi ad una velocità impressionante, tanto che Elia non aveva notato i suoi movimenti.
«Chistopher Russo?» chiese lei.
Il ragazzo annuì ma non riuscì a parlare.
«Sono felice di annunciare che i suoi due bambini sono nati e...»
Chris sgranò gli occhi e non lasciò finire la frase alla donna.
«E di chi è l'altro?» chiese.
La donna rise.
«Sono entrambi suoi, signore. Anche sua moglie sembrava molto sorpresa...»
Damien poteva metterci una mano sul fuoco, non aveva mai visto suo fratello in quelle condizioni. Era un mix di sorpresa, felicità, e sicuramente anche paura. Insomma, due bambini erano sempre bambini. E se invece era stata Georgie a dirle di fare quello scherzo, come per punizione per non essere stata con lei durante il parto? Se conosceva bene Georgie, le ne sarebbe stato il tipo.
«Io... va bene... ma ora posso andare da loro?»

Damien ricordava parole che Chris gli aveva detto qualche giorno dopo la scoperta della gravidanza. Gli aveva detto che, anche se l'emozione sarebbe stata tanta, doveve provare in tutti i modi a non piangere, diceva che ce l'avrebbe fatta. Damien non gli aveva creduto, e aveva ragione. Quando, assieme ad Elia, entrò nella camera dove Georgie era stata portata, non aveva potuto non notare i suoi occhi rossi e le guance ancora bagnate. Decise di non farglielo notare. Non c'era poi nulla di sbagliato, infondo, essere emozionato per la nascita dei suoi figli. Damien guardò il fratello e sorrise. Sorrise davvero, poi lo abbracciò. Quando lui era più piccolo e vedeva il fratello fare idiozie assieme a Logan, pensava che sarebbe rimasto sempre "il solito imbecille", come diceva lui, a adesso aveva di fronte un uomo con la testa sulle spalle, delle responsabilità e soprattutto due figli. Non avrebbe mai associato quell'uomo al ragazzo che aveva distrutto la macchina del padre più volte, o che si ubriaca in classe durante le manifestazioni. Non lo avrebbe detto mai e poi mai, eppure era successo. E non poteva esserne più felice.
Rimasero abbracciati per un po',  mentre Elia faceva lo stesso con la sorella, poi i due ragazzi furono portati alle culle dei bambini.
Fu Georgie ad annunciare i loro nomi: Ethan e Lucy. Ethan aveva i capelli neri, come il padre, lo zio, la mamma e il nonno e gli occhi verdi. Damien allungò il braccio verso il suo visino e lo accarezzò con un dito. La sua mano tremava, aveva paura di fargli male, così piccolo e delicato come era.  Quindi scese lentamente fino ad arrivare alla manina del bambino, che debolmente gli strinse il dito e mosse le gambette.
Damien non riuscì più a vederci a causa delle lacrime che gli appannavano la vista. Sorrise, le lacrime sulle guance scendevano piano piano fino a fermarsi sul mento. In quel momento pensò che non avrebbe mai visto cosa più bella dei suoi due nipoti.
Poi si spostarono sulla piccola Lucy, i capelli biondi come quelli della zia Lydia, gli occhi neri come solo Damien li aveva. Un bellissimo contrasto, raro. Accarezzò anche lei, piano e con una delicatezza che non pensava di possedere, il suo sorriso intanto cresceva sempre di più.
Dopo tanti giorni, Damien era tornato a essere felice.

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