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Martina rientrò in casa. Erano finite le sue due ore lavorative di quel giorno. Angel le aveva dato un passaggio -fuori pioveva e lei non aveva l'auto-, e per ringraziarlo lo aveva invitato per un caffè. Non era stato semplice farlo accettare, ma alla fine c'era riuscita.
«Martina?» la chiamò Mark dalla cucina. Non sapeva sarebbe rientrata così presto.
«Papà?» andò verso la cucina con Angel dietro.
Il chirurgo era appoggiato al lavello con in mano un bicchiere d'acqua; quando vide l'uomo dietro la figlia, il bicchiere gli cadde dalla mano e si ruppe sul pavimento, bagnandolo e ricoprendolo di schegge di vetro. Sgranò gli occhi.
«Cristo!» esclamò l'uomo, senza togliere gli occhi da Angel che ricambiava l'occhiata con un piccolo sorriso sul viso.
«Non volevo farla spaventare.» disse Angel, avvicinandosi all'uomo evitando il vetro. Gli porse la mano, che lui afferrò e strinse.
«Piacere, Angel! Sono il collega di sua figlia.»
«Mark, piacere.» deglutì a vuoto. Sentiva la mano sudata, e quando si separò da Angel la passò sui suoi pantaloni.
Martina lo guardò perplessa. Che diavolo gli prendeva? Aveva visto un fantasma?
«Vado a prendere... qualcosa per pulire.» disse il chirurgo, ma Martina lo bloccò prima che potesse fare un passo.
«Faccio io, 'sta tranquillo.»

Erano seduti a tavola in silenzio, ognuno con una tazzina di caffè davanti. Mark sembrava agitato, Angel divertito e la povera Martina confusa. C'era tensione in quella stanza, ma la ragazza non avrebbe saputo dire il perché.
Suo padre tamburellava inistentemente sul tavolo con le dita, il mento appoggiato in un pugno chiuso, mentre fissava Angel in silenzio, fino a quando il biondo stesso disse:
«Tu lo sapevi, vero?» disse Mark, guardandolo dritto negli occhi.
Lui ricambiava l'occhiata, e con le braccia incrociate al petto annuiva, con un sorriso che di felice non aveva nulla.
Martina, intanto, li osservava entrambi senza sapere cosa stesse succedendo.
Cosa è che doveva sapere?
E già si conoscevano?
«Ti sembro forse stupido? Certo che lo sapevo! Quando l'ho vista, ho notato subito la somiglianza con qualcuno. Gli stessi tratti del viso, stessi capelli e stessi occhi. Il sorriso è praticamente uguale, e anche il modo di fare.
Quando mi ha detto il suo nome, ho collegato subito lei a te. Ma mi sono detto che poteva essere una coincidenza. Una strana, e assurda coincidenza. Forse non ci credevo, ma non ci speravo. Poi mi ha detto il cognome, non ci sono molti Foster a Roma. Anzi, non vi sono molti Foster in Italia. Lì ho capito che non poteva essere nessun altro se non tua figlia.» spiegò.
Fra i tre calò ancora una volta il silenzio, e Mark poggió i gomiti sul tavolo, prendendo il viso fra le mani, sospirando.
«Papà, che succede? Sono io la stupida che non riesce a capire, o siete voi che non sapete spiegare?» chiese Martina, poggiando una mano sul braccio del padre. Non lo aveva mai visto così. Quasi non lo riconosceva.
«Dai, Mark. Spiega a tua figlia cosa succede. Merita di saperlo, o no?» lo incitó, con un pizzico di cattiveria mista a malinconia.
«Smettila, Angel! Devi smetterla, per favore. Non puoi presentarti qui, di punto in bianco, senza neanche avvisare.» sbottó.
«Oh, povero! E dove sarebbe stato il divertimento?»
«Divertimento? Trovi qualcosa di divertente in tutta questa situazione?» alzò la voce, e Martina fu sempre più convinta che quell'uomo non era suo padre. Arrabbiato lo aveva visto molte volte, ma mai così. E non aveva mai avuto rabbia, tristezza e rancore tutti assieme.
«E dove è stato il divertimento in tutti questi anni di inferno che mi hai fatto passare, eh? Dove, Mark!?» sbatté le mani sul tavolo, stava perdendo del tutto la calma, e puntò il suo sguardo su quello di Mark.
«Non puoi capire cosa mi hai fatto passare. Te ne sei andato proprio quando avevo più bisogno di te.» aggiunse.
«Se proprio vuoi saperlo, neanche per me è stato facile.»
«Piccolo, troppo sensi di colpa? Verso me e/o verso lui ?»
Mark non rispose. Sentiva che sarebbe scoppiato da un momento all'altro. E non voleva farlo davanti alla figlia. Da sempre aveva cercato di mostrarsi dolce e gentile davanti lei, e quella scenata avrebbe sicuramente cancellato 23 anni di dolcezza.
«Papà, che succede? O me lo vuoi dire tu, Angel? E basta non rispondere, voglio la verità.
Come facevate a conoscervi? Cosa gli hai fatto?»
Mark guardò la figlia e poi Angel che, di nuovo con le braccia incrociate al petto, guardava la ragazza senza nessuna espressione sul viso.
«Non tocca a me dirtelo, Martina. Se non lo farà lui te lo dirò io, ma almeno proviamo a farglielo dire.» Angel si sentiva anche un po' in colpa a trattare in quel modo Mark, ma certamente non poteva trattarlo con gentilezza.
«Non mi interessa chi dei due lo dice, voglio solo sapere. Ora!»
Mark non riusciva a guardare in viso la figlia. Non ce la faceva, era una cosa troppo forte per lui, e anche troppo spiacevole. Non avrebbe mai voluto vedere la sua espressione, dopo averle detto ciò che doveva.
Aveva fatto una cosa orribile, se ne rendeva conto. Aveva anche pensato che non avrebbe mai più rivisto Angel, e quindi non sarebbe stato costretto a dire nulla alla figlia, ma intanto eccolo lì.
Teneva lo sguardo sulla sua tazzina sul tavolo, e sentiva che Angel e la figlia lo stavano osservando.
Tirò un lungo sospiro. Era arrivato il momento. Ormai non poteva più tenerlo per sé; se non l'avesse fatto lui, c'era Angel che l'avrebbe detto.
Quindi...
«Io e Angel stavamo assieme!» disse. I suoi polmoni stavano cominciando a non produrre più ossigeno, e lui ne aveva bisogno.
«Che... che cosa?» chiese, confusa e scioccata la ragazza.
«Hai capito, Martina.»
«Stavi assieme a lui... in che senso?» la bionda non era stupida, sapeva cosa voleva dire stare assieme a qualcuno, ma faticava a crederci. Era suo padre, lo aveva sempre visto come un uomo che non voleva stare con una donna perché aveva sofferto in precedenza, voleva concentrarsi più sul lavoro e sulla figlia. Non aveva mai pensato che non voleva una donna, perché in realtà voleva un uomo.
«Quale altro senso conosci!? Quello, l'unico! Siamo stati assieme per tre anni, poi...»
«È arrivato il momento di impegnarsi di più, e tuo padre ha avuto la bella idea di lasciarmi da solo.»
«Cosa è successo?» chiese. Voleva sapere tutto. Anche se doveva ancora rielaborare che suo padre, uomo così virile, fosse gay.
«Papà, guardami e dillo!» c'era rabbia nella sua voce, ma no perché suo padre era gay, perché glielo aveva tenuto nascosto per 23 anni.
Lui la guardò, la vergogna nei suoi occhi, il dolore nel cuore.
Sua figlia lo avrebbe odiato, e allora la sua vita non avrebbe avuto più senso.
«Papà!» lo incintó.
Era bianco in volto.
Angel prese il portafoglio dalla tasca posteriore dei pantaloni, e ne estrasse una fotografia, che fece scivolare lentamente sul tavolo. Mark e Martina la guardavano. C'era un bambino: biondo, occhi azzurri ed un sorriso da un orecchio all'altro. Poteva avere non più di 4 anni, e teneva stretto a sé un peluche a forma di coniglietto.
Mark ebbe un tuffo al cuore, e le lacrime bagnarono leggermente i suoi occhi.
«Chi è questo bambino?»
«Marvin...» sussurró Mark, prendendo la foto fra le mani.
Povero bambino, così piccolo ma chissà quanto aveva già sofferto.
«Marvin!» confermò Angel.
«Lo sai, Martina, lui sarebbe potuto essere il tuo fratellino... se solo tuo padre non mi avesse lasciato, quando al piccolo morirono i suoi genitori, e lo affidarono a me. Però... non se la sentiva di dirti che è gay, quindi eccoci qui.»
Mark alzò lo sguardo sul suo ex fidanzato, e una lacrima sfuggì al suo controllo. La tolse immediatamente, non amava mostrare i suoi sentimenti -Mark, infatti, era considerato un uomo molto misterioso e quasi senza emozioni.
«È vero?» chiese Martina al padre.
Lui si prese il viso fra le mani, sospirò per ritrovare la calma.
Sì, era vero. Ciò che aveva detto Angel era la pura verità, orribile e crudele.
«Sì!» disse solamente, sentendo un vuoto dentro sé. Ammetterlo ad alta voce era stato molto doloroso. La ragazza lo guardò con la bocca leggermente aperta, poi posò lo sguardo sul suo collega. Oh, che situazione! Era davvero brutta.
Lei non sapeva cosa dire, perciò fu Angel a parlare.
«Mi hai lasciato da solo, con un bambino che si svegliava nel cuore della notte, urlando e piangendo disperatamente perché voleva la sua mamma e il suo papà. Mi hai fatto dire, da solo, ad un bambino che non avrebbe mai più rivisto i suoi genitori, ma che ci sarei stato soltanto io con lui.
Mi hai lasciato da solo. Anzi, ci hai lasciati da soli.» l'uomo sorrise a Martina, che dopo quella storia stava cercando di non piangere e non picchiare il padre; non sarebbe stato molto carino.
Gli voleva bene, lo amava ma l'aveva delusa molto con quella faccenda. Era un medico, aiutava persone che non conosceva ma non aveva aiutato la persona che amava, ed il suo bambino. Tutto per non fare coming out.
«Avresti dovuto dirmelo. Avresti dovuto dirmi della tua omosessualità, e avresti anche dovuto dirmi di questa storia. Magari, chissà, avrei potuto convincerti a non lasciarlo.» disse Martina.
«Come facevo a dirtelo? È da quando sei piccola che mi chiedi sempre perché non mi sposo, perché non ti do una mamma... come facevo a dirti che non ne avresti mai avuta una, perché sono...» si fermò. Non gli piaceva dirlo.
«Sei gay, Mark. Dillo!» sbottó Angel.
Lui lo ignoró. Angel sapeva che non riusciva ad ammetterlo.
«Perché non me lo hai detto?»
«Perché se non vai fiero di una cosa, non la vai dicendo in giro.» rispose lui, spiazzando sia la figlia che il suo ex fidanzato.
Odiava essere gay. Lo aveva sempre fatto, e probabilmente avrebbe continuato a vita.
È vero che aveva 40 anni, che ormai sarebbe dovuta essere passata da tempo quella fase, ma non poteva farci nulla. Odiava essere gay, lo odiava con tutto se stesso.
«Non vai fiero di essere gay, però di abbandonare chi ha bisogno di te sì. Vero?» era più che comprensibile la rabbia di Angel, e perfino Martina gli dava ragione.
«Mi eri rimasto solo tu, Mark, e te ne sei andato. Avevo bisogno di un compagno -non uno qualunque: di te-, e Marvin aveva bisogno di due genitori nuovi, dopo che ha perso i suoi.» fece spallucce, e passò il dito sul bordo della tazza.
«Avevamo solo bisogno di una famiglia, tutto qui!»

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