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Mark aveva ragione: con i suoi occhi dolci, Marvin avrebbe costretto chiunque a fare qualsiasi cosa. Uscito da scuola, aveva chiesto disperatamente al padre di portarlo dal suo amico, anche se l'uomo aveva tentato più di una volta di dirgli che non potevano disturbarlo durante l'orario di lavoro. A un certo punto anche Martina gli aveva detto che non sarebbe stato un problema fare una visita, e allora capì che non aveva nient'altro da fare se non accontentare il figlio.
Entrati in ospedale, Marvin corse verso la reception con un sorrisone sul viso e Angel gli andò dietro seguito dalla ragazza. Per poco il bambino non andò a sbattere contro una donna, che quando si girò Martina riconobbe come Molly, infermiera nonché migliore amica di suo padre.
«Attenzione, piccolo.» sorrise e gli passò una mano fra i corti capelli biondi.
«Scusa.» ridacchió e prese la mano del padre quando gli fu accanto. Marvin indicò Molly con un dito.
«Lei è la signora che mi ha portato dal tuo amico! Si chiama Molly. Vero?»
La donna sorrise e annuì.
«Ha una buona memoria, il piccolo. E tu, se non sbaglio, ti chiami... Marvin?»
«Ah-ah. Lui è il mio papà Angel.»
I due si strinsero la mano.
«Ciao, Molly.» la salutò Martina.
«Ciao, splendore. Come mai qui? Nessuno si è fatto male, giusto?»
«No.» rispose Marvin al posto di Martina, scuotendo la testa.
«Cerchiamo mio padre. Sai dove è?»
«Tuo padre...»
«In sala operatoria?»
«Cosa? No, assolutamente. Magari. Tuo padre è nel suo stanzino a non fare niente.» spiegò con un sospiro.
«Sta bene?» chiese Martina preoccupata. Il tono di voce di Molly e la sua espressione non le erano piaciuti.
«Fisicamente sì.»
«Potresti spiegarti meglio, per piacere? Mi stai mettendo ansia.»
«Ma certo. Un autobus scolastico perdeva benzina, un idiota ha lanciato un mozzicone di sigaretta ancora acceso e... boom, puoi soltanto immaginare il seguito. Qui, c'è stato il caos. Le sale operatorie erano tutte occupate, i chirurghi si sono dovuti adattare e medicare qui i feriti tuo padre compreso.»
Angel non capiva cosa ci fosse di strano: curare le persone era il suo mestiere, quale era il problema? Forse il trambusto, quello sì, e forse anche il non trovarsi in una sala con tutto l'occorrente di cui aveva bisogno. «Pediatria...» la voce le uscì in un sussurro.
Molly annui come se quella singola parola avesse spiegato tutto quanto. Ed era stato davvero così, ma non per Angel, che non ci stava capendo niente.
«Se ci vuole andare uno di voi a parlargli... era piuttosto scosso, e non posso biasimarlo.»
Martina guardò Angel e fece spallucce.
«Se vuoi, puoi andare tu. Io ti aspetto qui con Marvin.»

Angel trovò lo stanzino solo dopo un po'. Bussò, e quando entrò Mark era seduto sul divano a mordicchiare le unghie, fissando la parete vuota davanti sé.
«Ang!» Mark fu sorpreso di vederlo, non aspettava la sua visita.
«Come hai fatto a trovarmi?»
«Ho avuto il modo di inserirti un GPS durante la notte.» gli schiacciò l'occhiolino e sorrise e gli andò accanto.
«Scherzo. Me lo ha detto Molly.»
«Oh. Hai conosciuto Molly?»
«Sì.» confermò Angel.
Gli tolse la mano dalla bocca e la tenne stretta fra le sue. Era indeciso se aspettare o prendere subito l'argomento. Lo aveva trovato davvero scosso come gli aveva detto l'infermiera, in più la stanchezza e lo stress facevano da padroni sul suo viso.
«Cosa è successo? Perché sei venuto? Stai male?»
«Perché, si deve stare per forza male per venire in ospedale?»
Mark alzò un sopracciglio ma non disse nulla, lasciando cadere lì il discorso.
Lasciò cadere la testa sullo schienale del divano e chiuse gli occhi facendo un lungo sospiro. Angel lo guardò senza dire niente. Si chiedeva come riusciva a tenersi tutto dentro. Al posto suo, ne avrebbe approfittato della sua presenza per sfogarsi ma Mark no, fingeva che nulla fosse successo anche se il dolore nei suoi occhi era evidente.
«Mark...»
L'uomo aprì gli occhi e posò lo sguardo su di lui.
«Dimmi.»
«Se ami tanto i bambini... perché non ti piace curarli?»
Il chirurgo sembrò ancora una volta sorpreso.
«Cosa?»
«Sì, beh... tua figlia e l'infermiera, Molly, mi hanno fatto capire questo. Perché?» quella volta aveva intenzione di capire quale fosse il suo problema, magari aiutarlo a risolverlo o a superarlo. Era stanco di non sapere niente sulla vita del suo possibile futuro marito. Se quella volta volevano fare sul serio, non potevano costruire la loro relazione sui segreti e bugie.
«Manuel...»
«Chi? Manuel?»
«Sì, Angel. Manuel.» sospirò.
«E chi è?»
Mark si mise seduto più comodo sul divano e portò le braccia al petto.
«Mio fratello.»
«Da quando hai un fratello?»
«Avevo un fratello. Avevo. È morto, quando aveva 15 anni. Cancro al cervello, scoperto quando ormai era troppo tardi.» la sua voce era ferma, immobile, non lasciava trasparire nessuna emozione, al contrario degli occhi, tristi come forse mai li aveva visti.
Angel non sapeva cosa dire. Una cosa era nascondere un profumo per paura che glielo finisse tutto, una cosa era nascondere l'esistenza di un fratello morto.
«Voglio dire, non avremmo potuto fare molto anche se ce ne fossimo accorti subito: il cancro al cervello è inguaribile adesso, figurati prima.»
Angel non riusciva ancora a crederci. Doveva arrabbiarsi con lui o no? Cosa si poteva dire di fronte ad una tale rivelazione? Mi dispiace? Potevi dirmelo prima? Cosa?
Lo guardò in silenzio.
«Non hai niente da dire?»
Angel scosse piano la testa.
«A essere sincero, no. Non mi aspettavo tutto questo. Perché...»
«Non te l'ho detto prima? Perché non parlo di Manuel dal giorno del suo funerale. Parlare di mio fratello fa male. Ho sempre pensato che non nominandolo non ci avrei pensato automaticamente, eppure ogni singolo giorno ci penso.»
«Non si può dimenticare.»
«Lo so. E non voglio dimenticarlo, voglio solo non pensarci. Stare bene, insomma.»
Angel gli accarezzò una guancia.
«Fosse così semplice...»
Mark annuì.
«È insopportabile. Una famiglia di medici -medici, no architetti- che non si è accorta di nulla. Non dico che sarebbe ancora qui, al momento, ma forse potevamo passare un po' più di tempo assieme a lui. Non ha avuto il tempo di amare o di essere amato, non ha avuto la storiella d'amore finita male, non ha fatto niente nella sua breve vita.»
«Non devi dartene una colpa. Anzi, non dovete...»
«Come no? Avremmo dovuto notarlo prima, Angel. Avremmo dovuto fare di più.»
«Hai detto tu stesso che non si può fare niente.»
«Sì, però...»
«Niente però, Mark. Non capisco perché devi darti queste colpe anche se non ne hai. Cosa, vuoi soffrire di più o...»
Angel si fermò quando vide una lacrima bagnare la guancia di Mark. Non lo aveva mai visto piangere in tre anni di relazione, e credeva non lo avrebbe mai visto. Fu una sorpresa. Una spiacevole sorpresa. Anche se gli diceva sempre di aprirsi, nel profondo, forse non aveva mai desiderato che lo facesse veramente davanti lui. Non era pronto alle sue lacrime. Però non gli chiese neanche di fermarsi. Non poteva abbandonarlo nel momento del bisogno.
Gli si avvicinò con cautela, quasi avesse avuto paura di farlo spaventare, e lo abbracciò. Mark ricambió la stretta, nascondendo il viso tra il collo e la spalla di Angel. Non amava piangere. Anzi, lo odiava. Non piangeva da anni, esattamente dal giorno del funerale del fratellino, eppure sapeva che quel giorno sarebbe arrivato, e doveva ammettere che era confortante sapere che al suo fianco aveva Angel.

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LONELY 2Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora