La porta dello stanzino si aprì. Mark, sdraiato sopra Angel, interruppe bruscamente il bacio e girò fino a cadere a terra. Angel si mise seduto guardando con sorpresa le persone che erano appena entrate, Mark si alzò di scatto e rimase fermo con la bocca aperta. La caduta a terra gli aveva procurato un forte dolore al braccio ma il suo problema maggiore stava di fronte a sé. Un uomo e una donna, Angel pensò che potessero avere circa sessant'anni a testa, posarono lo sguardo prima sul chirurgo e poi su di lui, così per tre volte.
Mark non stava né dicendo né facendo niente, sembrava una statua. Poi l'uomo si chiuse la porta alle spalle e scambió una rapida occhiata con la donna che aveva a fianco.
Solo quando Angel gli diede un piccolo calcio sulla gamba, Mark si decise a parlare.
«Mamma? Papà?»
«Mark!» aveva parlato la donna, avvicinandosi piano piano verso il figlio.
Lui deglutí, guardando la porta. Aveva voglia di andarsene. Fece un passo, ma con sorpresa sia di Mark che dei suoi genitori fu Angel a bloccarlo per un polso. Non era una situazione piacevole, ma non poteva scappare ogni volta che qualcosa non gli andava bene. Ormai lo avevano scoperto, forse gliel'avrebbe voluto dire in un altro modo, magari seduti a tavola davanti una bella tazza di caffè, ma non poteva farci niente. Aveva quarant'anni, doveva affrontare i sui problemi.
Mark abbassò la testa per guardare la mano del suo compagno che gli bloccava il polso. Tornò a guardare i suoi genitori e sospirò, sedendosi sul divano e prendendo il viso tra le mani, i gomiti appoggiati alle ginocchia.
«Non vorrei essere fuori luogo, ma se avessi preso il telefono non sarebbe successo questo.» gli disse il padre.
Mark gli lanciò un'occhiataccia. Se in qualche modo voleva provare a sdrammatizzare, non ci stava riuscendo.
«Non lo guardi mai.» concordó la moglie che aveva messo una mano sulla testa del figlio.
«E beh, potresti anche salutarci. Insomma, siamo venuti da Palermo fino a qui solo per te, mo sembra il minimo che tu possa fare!» la donna spalancò le braccia e attese che il figlio si muovesse. La salutò con un abbraccio quasi imbarazzato, poi passò al padre e infine guardò Angel pregandolo silenziosamente di aiutarlo.
Quindi si alzò dal divano e andò a presentarsi.
Quando furono tutti seduti, fu sempre Angel a parlare.
«Come è andato il viaggio?»
«Benissimo. Grazie. Il mare di notte è sempre una meraviglia.» rispose Matilde.
Angel non aveva potuto fare a meno di notare che i nomi di tutti quanti in quella famiglia iniziassero con la M, eccetto il padre di Mark, che si chiamava Julian. Non aveva mai conosciuto nessuno con quel nome.
«Non posso dire il contrario.» ammise Angel.
«Il mare non è tanto bello se agitato.» precisò Julian. Su di lui le ore di viaggio erano più evidenti. Evidentemente non amava viaggiare.
«Il solito esagerato!» Matilde scosse la testa.
Lui la ignorò. Guardò il figlio, silenzioso e con la testa chissà dove. Non sarebbe mai cambiato. Invece di affrontare il problema preferiva tenersi tutto dentro. Sospirò. Anche la moglie adesso stava guardando Mark, avanti a lei ma sembrava che non vedeva niente o nessuno. Stava mordicchiando le sue unghia come faceva ogni volta che era agitato, turbato, arrabbiato o triste. A Angel venne voglia di abbracciarlo ma non lo fece.
«Ma...» la voce di Matilde venne interrotta dal rumore del cerca-persone di Mark, che fece un piccolo balzo indietro e tirò l'oggetto dalla tasca. Si alzò subito con un sospiro di sollievo, finalmente sarebbe uscito da quella stanza. Se ne andò senza guardare nessuno in faccia e senza dire mezza parola.
Tutti e tre guardarono la porta chiusa.
«Bene. Se n'è andato.» disse Matilde. Poi si alzò e batté una sola volta le mani posando lo sguardo su Angel.
«Hai mai assistito a un suo intervento?»A casa, Mark si trovò ancora una volta circondato da Angel e i suoi genitori, e sapeva che sarebbe stato così per due settimane circa, fino a quando Matilde e Julian non sarebbero partiti di nuovo. Erano seduti a tavola e stavano bevendo una tazza di caffè ciascuno, quando Matilde si schiarí la voce e disse:
«Hai intenzione di parlarne o di fare finta di niente?»
«Parlare di che cosa?» sapeva perfettamente di che cosa voleva parlare, ma preferiva perdere tempo. Magari qualcosa le avrebbe fatto dimenticare il discorso principale.
«Sai benissimo di che cosa vogliamo parlare. Non fingere di non sapere.»
Mark sospirò. Prese le tazzine vuote e andò a metterle dentro la lavastoviglie. Era solito muoversi quando era agitato. Finito con le tazze si mise a togliere una macchia appena visibile dalla finestra. Se lui lo trovava in qualche modo rilassante, Julian lo trovava fastidioso. Angel se ne accorse.
«Mark. Dai, su. Vieni.» gli spostò la sedia.
«Prima o poi sarebbe successo. E lo sapevi.»
Non credeva che lo avrebbe ascoltato davvero fin quando non si sedette accanto a lui. Incrociò le braccia sulla tavola e rimase con lo sguardo fisso sui bicchieri. Non gli erano mai sembrati così belli e interessanti.
«Quando avevi intenzione di dircelo?» chiese Julian. Non sembrava arrabbiato, forse solo deluso.
«Non avevo intenzione di farlo, se proprio volete sapere la verità.» rispose lui alzando lo sguardo. Si chiese quanto fossero delusi dal suo comportamento.
«Ci riempie di gioia.»
Angel non voleva sapere cosa si provava ad avere due figli, uno dei quali morto e l'altro che teneva i genitori all'oscuro di tutto, come se fossero stati degli estranei. Da quanto se sapeva, Mark non parlava di sé neanche con loro due, probabilmente l'unica cosa di cui parlavano era la medicina. Non sapeva per chi essere più dispiaciuto.
«Mi dispiace. Ma certe cose preferisco non dirle a nessuno.»
«Ma noi siamo i tuoi genitori. Non siamo due tizi conosciuti da cinque minuti al bar. Lo capisci?»
A Mark uscì una piccola risata nervosa.
«È questo che non capite. Con voi è peggio. Se a due tizi qualunque incontrati al bar dovessi fare schifo, poco importa. La cosa cambia se...»
Matilde lo bloccò iimmediatamente.
«Non provare a dirlo, Mark! Non provarci. Sei una delle persone più intelligenti che abbia mai conosciuto, davvero, non lo dico solo perché sei miob figlio, ma delle volte ti perdi in un bicchiere d'acqua e...»
La porta della cucina sib aprì e Matilde, per fortuna di Mark, smise di parlare per girarsi a guardare chi fosse entrato, anche se poteva essere solo una persona: Martina. E infatti era lei. Entrò tenendo per mano il piccolo Marvin, nell'altra teneva le loro giacche e la sua borsa. Il bambino si allontanò da lei e andò dal padre, lei corse ad abbracciare i suoi nonni con un sorriso che andava da un orecchio all'altro.
«Tesoro!»
«Che cosa ci fate qui?»
«Una visita a sorpresa. Anche se la sorpresa l'ha fatta tuo padre a noi.» Matilde guardò Angel e gli schiacciò l'occhiolino. Poi abbassò lo sguardo.
«E chi è questo bel bambino?»
Marvin le corse in contro e le porse la mano.
«Marvin! Ciao.»
«Ciao, piccolo.» gli passò una mano fra i capelli e lui rise portando la testa indietro. Alla donna sembrò un gattino intento a farsi fare le coccole.
«Lui è mio marito, Julian.»
«Ah. Ciao.» gli strinse la mano con la sua e poi corse a sedersi sulle gambe del padre, che smise di parlare con Mark quando tutti si avvicinarono alla tavola.
«Mi viene da dire che Marvin...»
«È mio figlio. Sì.» gli bació la testa e il bambino appoggiò completamente la schiena al suo petto.
Matilde evitò di chiedere se fosse sposato o meno. Forse non era il caso di fare troppe domande di fronte al bambino.

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LONELY 2
Teen Fiction{Copertina realizzata da Alex_wvrdl} Damien ha soltanto 6 anni quando per la prima volta i suoi compagni lo prendono in giro. Quel piccolo gesto, comune fra tutti i bambini di quell'età ha segnato la sua vita. Da quel giorno tutti ridono di lui, tut...