1.25

206 28 5
                                    

Merope adorava il modo in cui Cecyl parlava alle galline

Oops! Questa immagine non segue le nostre linee guida sui contenuti. Per continuare la pubblicazione, provare a rimuoverlo o caricare un altro.

Merope adorava il modo in cui Cecyl parlava alle galline.
La sua gemella, quando non doveva nasconderla o ricevere le punizioni al posto suo, amava parlare con quegli strani volatili e chiedere loro oroscopi e consigli giornalieri. A volte le punizioni dell'Aracnide erano talmente violente che Cecyl era costretta a una settimana di riposo. Quelle erano le volte che Merope provava ad uccidersi. Le aveva tentate tutte, un pugnale al centro del petto, l'impiccagione, l'asfissia...qualunque cosa, pur di mettere fine alla sua triste esistenza. Eppure, per quante volte ci provasse, Lui la beccava sempre. E, sempre, evitava si facesse del male.
Trovava divertente la sua futura Sposa autolesionista e trovava ancora più divertente terrorizzarla mentre riduceva Cecyl a nient'altro che un corpicino inerme sul pavimento, spoglio e dannatamente gelido, della Tela.
La Tela era il luogo dove l'Aracnide chiamava a sé quelli come loro, gemelli prodigio con la magia complementare differente. Gemelli siamesi, storpi, gobbi, esseri talmente malformi e brutti che persino le loro madri avevano tentato di ucciderli. Abomini della natura li chiamavano. Ciò, che la selezione naturale voleva distruggere ed eliminare, veniva acclamato e valorizzato nella Tela. All'Aracnide piaceva circondarsi del caos, del disordine. Per questo aveva scelto lei come sua Sposa. La sorella instabile e ribelle.
Merope e Cecyl erano le più giovani di una piccola famiglia di coltivatori di lavanda, eppure nonostante fossero gemelle, non potevano essere più differenti. Mentre Cecyl era gobba,  cieca e malformata, Merope era bella, solare e spigliata, bella a tal punto che sua madre l' aveva accusata di aver rubato tutta la bellezza e la forza vitale alla sua gemella, in grembo. Quando era di buon'umore la chiamava piccola sanguisuga in fasce. Ma,  nonostante vivessero in una piccola casetta in mezzo ai campi reali di lavanda, dove raramente passava anima viva, ben presto, si era sparsa la voce di queste due sorelle, della sorella baciata dalla Morte e di quella baciata dalla Vita.
Lui ci aveva impiegato solo tre anni a trovarle, si era spacciato per un nobile, in cerca di un pasto caldo prima di giungere a corte, e le aveva rapite, sotto lo sguardo terrorizzato di una madre e di un padre, che non riusciva più a ricordare.
Era stato difficile ambientarsi nella Tela, difficile accettare di essere speciali, diverse, eppure uguali. All'inizio Lui era gentile, come qualunque uomo innamorato, le riempiva di gioielli, di doni, di privilegi. Fin quando non era arrivato Phobos, e Merope aveva trovato redenzione. La redenzione per qualcosa che non aveva mai compiuto, la redenzione per essere nata sotto una cattiva stella.
Eppure non doveva perdersi nei ricordi, ormai quella Merope non esisteva più.
Iniziò a prendere i tarocchi in mano, annusando il profumo di carta e magia che li pervadeva.
Sentì una morsa al petto mentre mescolava e posizionava tre carte di fronte a sé, come Cecyl le aveva insegnato, secoli prima.
Passato, Presente e Futuro.
Girò il Passato, guardando la scena che l'aveva resa la strega che era. La visione riusciva sempre a scombussolarla, nonostante l'avesse rivissuta migliaia di volte per punirsi, per accettarlo o per capire. Non riusciva mai a comprendere perché non riuscisse a lasciarlo andare.
Spostò la mano verso il Presente, e la visione si materializzò.
Un palazzo in pietra antica, una pietra piena di sangue, il sangue viscoso e rosso le sporcò le dita dei piedi nudi. Schioccò le dita, seccata di esserseli sporcati e ordinando ad un panno di pulirglieli immediatamente. Prese un sorso di una tisana allo zenzero, una morte imminente l'avrebbe riguardata da vicino, chissà. Girò il Futuro, sfiorandosi le immense corna nere, simbolo del suo status e del suo immenso potere.
《Non ci credo, sono di nuovo in sta topaia piena di sangue, che schifo.》
Si tappò il naso, cercando di trattenere i conati mentre il ringhio di un lupo riscuoteva il palazzo nelle viscere, poteva sentirlo fremere, mentre le mura si muovevano, cambiavano. Dove c'erano finestre o porte chiuse, ora vi erano immensi balconi, che davano su un mare blu, pacifico e tranquillo, e rose. Rose ovunque, rosse, rosa, blu, gialle e  bianche. Ma una, più grande delle altre, più luminosa e viva, sembrava chiamarla, come il nettare con le api. Si avvicinò a toccarla, a sfiorarla, petalo per petalo. E mentre avvicinava il dito a toccare quei petali così soffici e delicati, un ragno, grosso e grigio, sbucava dal centro, e le saliva sulla mano, mentre la rosa appassiva, iniziando a perdere pian piano i petali, e il castello veniva attraversato completamente da quelle che sembravano scosse di terremoto.
Aprì gli occhi, urlando e bruciando i suoi amati tarocchi e il tavolo con uno schiocco. Presto Lui l'avrebbe trovata.

A winter's tale Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora