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Mira stava gelando, le acque erano gelide e lei non riusciva a sopportare di starci un secondo di più

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Mira stava gelando, le acque erano gelide e lei non riusciva a sopportare di starci un secondo di più. Il freddo sembrava essere insostenibile, come quella volta nel lago.

Continuò a nuotare ostinatamente, cercando di relegare il dolore e quella sensazione di gelo in un angolo recondito della sua mente.

Ma ben presto iniziò a sentire i primi segni della fatica, insieme alle gambe e le braccia pesanti, come macigni. Le sembrò quasi di non farcela, mentre una morsa le stringeva il petto. Un peso invisibile lo opprimeva, costringendo il suo cuore a battere al doppio della velocità, mentre uno strano formicolio le iniziò a percorrere il braccio destro, preso a curvarsi e flettere per le bracciate.

Si sentì rinchiudersi in se stessa, incapace di muovere un muscolo, mentre l'acqua rimaneva ferma e placida, incurante della gelida brutalità del suo tocco.

Provò ad urlare, con tutta la forza della sua anima, invano. Ancora e ancora, fino a quando si sentì svuotata.
Improvvisamente, svuotata e leggera come un soffione, pensò che tutto ciò avesse percepito e provato poco prima fosse solo un brutto ricordo.

Col cuore pieno di una nuova serenità, capace di scaldare anche il più freddo tra i cuori, si ridestò per fare l'ultima bracciata, dandosi un ulteriore slancio con le gambe, arrivando così a riva. Nonostante avesse nuotato per una decina di minuti non sentiva più il freddo nelle ossa, nel sangue e in ogni particella del suo essere, come poc'anzi. Solo un lieve tepore, su cui si sarebbe volentieri crogiolata, come un gatto delle nevi sdraiato al sole.

Si tirò fuori dall'acqua, guardandosi intorno, disorientata.

Nella caverna si apriva un piccolo buco, a prova di bambino o di gnomo, contornato da due enormi statue. Queste rappresentavano due donne, vestite con degli stracci, avevano ai piedi quelle che dovevano essere delle catene tempestate da pietre preziose, incastonate nella roccia.

La loro vista le provocò una strana sensazione. Come se ci fosse qualcosa di sbagliato, di totalmente sbagliato in quel posto.

Portò le mani a contornare il volto della statua alla sua destra, in preda a un'improvvisa attrazione morbosa.
Questa, aveva gli occhi coperti da delle bende e le labbra strette, in un'espressione di tristezza e compassione. Mira continuò a tracciare i contorni del volto, non riuscendo a farne a meno e spostando lo sguardo verso l'altra statua, completamente identica se non per l'enorme sorriso sinistro di trionfo e ferocia rappresentato sul suo viso.

Sentendo la mano umidiccia, riportò l'attenzione sulla prima, ritrovandosi il braccio ricoperto di sangue. La donna bendata stava piangendo, delle copiose lacrime di sangue rosso e viscoso, la bagnavano da capo a piedi.

Tolse la mano, realizzando all'istante cosa stesse accadendo.

Quelle non potevano essere delle semplici statue, aveva sentito parlare di loro, del loro passato feroce e spregevole e della loro punizione dagli dei.

Le guardiane del grande giardino della creazione, regno degli dèi, Violenza e Compassione, i cui nomi umani erano andati persi, e la cui tormenta era da monito a tutti coloro che osavano sfidare gli dèi.

Portò l'altra mano a sfiorare Violenza, venendo investita da una luce luminosa, quasi accecante.

Una figura, chiara come la luce del giorno e dall'aspetto delicato, fece la sua apparizione, scortata da una figura che Mira non poteva scorgere, ma percepiva come una sorgente di energia pura, forte e determinata.

《Non è ancora arrivato il tuo momento, aspirante cacciatrice.》Disse la seconda figura, inondandole la testa con una voce antica e giovane, senza tempo.

《Quale momento?》

《La tua morte.》Continuò la voce, come se stessero parlando di un fatto predeterminato.

L'altra figura le si avvicinò porgendole un piccolo fazzoletto avvolto.《Lui ha bisogno di te. Ha bisogno che tu lo salvi, come lui ha fatto e farà con te.》

Un flash argentato e una luce calda e luminosa iniziarono ad attraversare il campo visivo. Quella luce calda, l'attirava, una promessa di riposo, di sicurezza.

E quella luce inghiottì tutto.

Due pozzi neri. Questo era tutto ciò che vedeva e distingueva, in mezzo alle luci e al calore. Due enormi pozzi neri, pronti a sbranarla se non si fosse data una mossa, accompagnati da un paio di labbra carnose, strette in una morsa pensierosa.

Richiuse gli occhi, scossa.

《Si sveglierà, guardarla con insistenza non la farà svegliare prima, Jul.》Una voce lievemente divertita, ammoniva qualcun altro.

《Non riesce a staccarle gli occhi di dosso.》Una risata maschile, piena e vigorosa. 《Sembra quasi che non abbia mai visto una donna, e potrei quasi crederlo, se non fossimo fratelli di latte.》

Un'altra risata, forse appartenente al primo.

《Piantala coglione, dovrebbe essere già sveglia.》Una voce familiare.

Decisamente familiare.

《Ohhh perdonatemi, non la state fissando ergo.》

Poté sentire un'altra scocciata, accompagnata da qualche leggero insulto borbottato. 《Mi voglio solo assicurare che sia salva.》

《Certo, e guardarla come un maniaco rientra nell'assicurarsi che sia fuori pericolo.》

《Irial, se vuoi rimanere senza palle, sfidandolo con la tua lingua arguta, basta dirlo.》

Il secondo uomo rise, sguaiatamente.《Non so cosa ci trovi, tutto qui. Le Pleiadi a casa lo attendono ma soprattutto Kamalei lo attende.》

《Basta così, non voglio sentir parlare di Kama o delle Pleiadi.》Lui parlò, deciso, autoritario. Un'ordine.

《Certo Jul, perdonami. 》《Purtroppo sei sempre mio fratello Irial, devo perdonarti.》

Sentì un rumore di passi allontanarsi, prima di ricadere in un sonno profondo.

A winter's tale Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora