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Un' ora e trentasette minuti più tardi, per essere esatti, Mira trascinava Chestmut per le braccia attraverso le ultime tende prima dell'immenso Muro

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Un' ora e trentasette minuti più tardi, per essere esatti, Mira trascinava Chestmut per le braccia attraverso le ultime tende prima dell'immenso Muro.
Il caldo sole di mezzogiorni illuminava l'accampamento quasi desolato.

Un soldato sputò nella terra arida, pestando quasi immediatamente la sua stessa saliva.
《Poco male, credevo di averne di più. 》Commentò per poi portare la testa ad annusarsi le ascelle.

Mira scosse il capo, masticando convulsamente l'erba di san Giovanni, che Merope le aveva dato in gran fretta.

Chestmut trattenne l'ennesimo gridolino d'orrore, vedendo sopraggiungere, di ritorno dal campo di battaglia e nella loro direzione, una ventina di soldati completamente armati.
Mira lo trascinò di lato, facendo attenzione a non far il minimo rumore.

《Ne abbiamo persi centocinquanta signore, ventotto mancano a rapporto invece.》Dichiarò lentamente un soldato a quello che doveva essere il loro generale.

《Feriti?》Domandò questi con gli occhi velati di tristezza.

《Dieci, in condizioni molto gravi. Quaranta con tagli superficiali.》Rispose il soldato, sorpassandoli.

《Una carneficina.》Commentò il superiore con voce grave. 《Una vera e propria carneficina.》

Mirabelle aveva saputo fin dal principio che sarebbe stato pericoloso continuare a trascinare Chestmut in una situazione che sapeva sarebbe ben presto finita fuori dal suo controllo. Eppure questo non l'aveva fermata dal piombare nella vecchia casetta di Merope e non l'avrebbe fermata ad arrivare al Muro.

Continuò a camminare ostinatamente, portando un piede davanti all'altro, una ventina di passi e lo vide. Due occhi di un azzurro slavato spalancati in un' espressione di profondo orrore, quello che doveva essere un urlo straziante aveva contorto i lineamenti del volto anziano, il massiccio collo color acquamarina da cui il sangue zampellava a fiotti. Una sensazione di gelo la immobilizzò all'inizio del campo.
Un centinaio, o almeno così le parve, di teste mozzate riempiva la terra squallida e desolata.

Chestmut frignò, aggrappandosi con urgenza alle sue braccia.

Trattenne il respiro e chiuse gli occhi, sentendosi colpevole e sporca. Assassina e non protettrice. Da qualche parte, oltre quel campo di tragedia, oltre i dolci fiumi che risplendevano i raggi del sole morente, mogli, amiche, amanti, donne innamorate avrebbero atteso un ritorno impossibile. Dei bambini avrebbero pianto in ricordo degli amati padri, fratelli, nonni e zii scomparsi. L'intera Taharis avrebbe pianto quelle anime. O almeno così pensava.

Si guardò le mani, come ad accertarsi di non averlo versato lei tutto quel sangue. Di non aver posto lei fine a tutte quelle vite.

Chestmut le posò una mano sulla spalla, in maniera gentile. 《Che riposino con la Dea e bevino idromele per l'eternità. Che passeggino per l'Eliseo affianco di Dreykee.》

Uno sfarfallio improvviso attirò la sua attenzione leggermente oltre il campo. Una piccola farfalla blu svolazzava, del tutto incurante, al limitare di quella carneficina.
Riagguantò l'esile braccio di Chestmut, iniziando a trascinarlo a passo di marcia verso quella macchiolina svolazzante.

《E adesso cosa succede?》Domandò lui allarmato.

Gli strinse il braccio con ferocia, facendolo sussultare, portandosi un dito alle labbra.

Ogni rumore avrebbe potuto spaventarla.

Non potevano lasciarsela scappare, sapeva cosa significava per la sua gente.
Cosa significava per lei. Forse era per lei che doveva andare al Muro. Forse l'aveva sempre saputo.

Si chiese se potesse avere lo stesso significato lì, al limitare di tutto ciò che era conosciuto.
Se i demoni credessero nelle farfalle come loro. Se anche loro attribuissero a quelle eleganti creaturine il significato assoluto del destino.

La raggiunsero. Sentì il cuore scoppiarle nel petto.

《Questa farfalla è rotta.》Sussurrò piano Chestmut, osservandola. 《C'è qualcosa che non va.》

Allungò una mano a toccarla. La piccola farfalla iniziò a tremare leggermente, le ali sbattevano sempre più veloce e più veloce. L'esile corpicino cominciava ad ingrossarsi, tendendosi all'inverosimile.

Sembrava sul punto di scoppiare.

Non vi era nulla di eccitante o di audace nel osservare impotenti il declino di quella creaturina rigonfia, non era l' appuntamento con l'avventura che si era aspettata nella sala del trono. Quello era destino.
Scritto. Imprescindibile. Immutabile.

E lei poteva solo abbracciarlo, vedendo dove l'avrebbe portata.

A winter's tale Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora