L'inizio

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11 Luglio 1991





Il signor Broadmoor girò il volto stanco verso la porta sul retro di casa, completamente spalancata. Il colore acceso dell'erba del giardino iniziava a diventare sempre meno evidente dal momento in cui il buio della sera iniziava a scendere sulle strade di Londra.

D'un tratto, sgranò gli occhi per mettere a fuoco l'immagine davanti a sé.

Si alzò rapidamente dalla poltrona su cui si stava quasi per appisolare e camminò a passi svelti verso il giardino di casa, sorpassando quella porta sul resto.

L'immagine della ragazzina, tanto simile a lui, diventò ancora più precisa; i lunghi capelli ondulati, neri e lucenti come il piumaggio di un corvo, ondeggiavano lievemente mentre i suoi occhi nocciola osservavano attenti un piccolo fiore vicino alla sua mano. Stava volteggiando in aria, come per magia.

Si precipitò al fianco della figlia e con un gesto veloce della mano colpì il fiore che cadde immediatamente sull'erba; con l'altra mano le afferrò delicatamente il braccio per riportarla in fretta dentro casa – non prima però di essersi osservato intorno, assicurandosi che nessuno li avesse visti.

Ignorò i suoi piagnucolii di protesta e tornò a sedersi su quella comoda poltrona avvicinando a sé la figlia; poggiò le mani sulle sue spalle e dopo aver preso un profondo respiro parlò.

«Leilah» cominciò guardandola attentamente, come se quello sguardo potesse marcare ancor di più le sue parole. «Quante volte ancora dovrò ripeterti che potrebbe vederti qualcuno.»

Lei annuì e chinò la testa, consapevole di quelle parole.

«Nessuno deve vederti» annuì ancora, più energicamente, scuotendo la chioma di capelli e accennando un sorriso prima di correre via dritta nella sua stanza.

Molte volte certi "eventi strampalati" capitavano senza che lei volesse, a volte senza neppure rendersene conto. Una volta, un insopportabile bambina le aveva tirato i capelli e spinta dalla rabbia il lampadario si era ridotto in frantumi.
Nessuno possedeva la sua stessa dote.

Nessuno eccetto suo padre.

Fu proprio lui un giorno, a spiegarle quanto lei in realtà fosse diversa ma speciale rispetto a chiunque altro. Le aveva spiegato tutto ciò che di importante c'era da sapere: non farne mai parola con nessuno, o non farsi sorprendere a far capitare queste bizzarre situazioni.

Malgrado ciò, quelle strane abilità la attraevano parecchio; le piaceva quel tremito di frenesia ed esaltazione che la attraversava ogni singola volta. Inoltre, credeva di doversi esercitare almeno un minimo prima di dover mettere piede in quella che sarebbe stata per anni la sua futura scuola – la Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts.

E se tutti gli altri ragazzini fossero stati più bravi di lei? Che figura avrebbe fatto?
Questo forse, era il suo più grande timore.

Tuttavia, già la mattina dopo Leilah sembrava aver abbandonato completamente quei suoi agitati pensieri, così si avviò allegra verso la sala da pranzo; si sedette al suo solito posto e avvicinò a sé una tazza di latte, insieme a qualche biscotto. La signora Broadmoor fischiettava serenamente mentre lavava qualche utensile da cucina precedentemente utilizzato, il signor Broadmoor invece, sedeva comodamente sulla sua solita poltrona immerso nella lettura del giornale quella mattina.

Pareva una giornata serena, il cielo azzurro esibiva delle candide nuvole bianche e il sole splendeva raggiante, eppure la famiglia Broadmoor era talmente assorta ognuno nelle proprie azioni che inizialmente non si accorsero del piccolo animale che scendeva in picchiata proprio verso il davanzale della loro finestra; almeno finché questo non cominciò a picchiettare il becco appuntito sul vetro.

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