Capitolo Tre

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Camila si rese conto che era passato più tempo di quanto credesse dall'ultima volta che era uscita con qualcuno che non fosse solo Shawn, perché guardandosi attorno pensò di trovarsi accalcata in una pista da ballo e invece si era solo accodata per ordinare un caffè.

Durante il giorno lavorativo erano tutti troppo indaffarati per potersi soffermare a scambiare convenevoli che si protraessero oltre il buongiorno; in più lo stadio era una struttura stratificata in più settori ben oliati: nessun ingranaggio pensante rallentava prima dello scoccare delle otto di sera. Perciò Camila scambiò quattro chiacchere con volti sconosciuti e più di una volta confuse il nome di qualche meccanico con quello di un altro, ma tutti parevano semplicemente sorridere della sua goffaggine. Forse Shawn aveva preceduto la sua fama, così da limitare i danni, o forse erano tutti talmente stanchi che un caffè rinfocillava sia i nervi che il pazienza. Anche se, lavorando con Lauren Jauregui, avrebbero già dovuto espletare la loro riserva.

«Allora, Camila, cosa ti porta nella grande città?» Chiese quello che doveva chiamarsi Juan, o forse era Paul... Decise di non azzardare nessuna delle due opzioni.

«Avevo voglia di cambiare aria.» Scrollò le spalle, adducendo un sorriso per non risultare acerba.

Intanto il caffè aveva riunito tutta la troupe a due tavoli diversi. Ora il cameriere poteva permettersi qualche distrazione sullo smartphone; il locale era quasi vuoto, fatta eccezione per un paio di tipi loschi e una coppia attempata. I ragazzi, a qull'ora, erano altrove a divertirsi, il che fece pesare per un attimo i ventiquattro anni di Camila, che ora si sentiva più in vena per una birra che per il caffè, ma si accontentò del sorso, un po' amaro anche con lo zucchero.

«La verità è che le mancavo troppo.» La mano di Shawn ciondolò sulla spalla dell'amica.

«Quello è l'unico motivo per cui rifarei volentieri le valigie, veramente.» Rispose sarcastica, suscitando una risata generale che impedì all'espressione falsamente offesa di Shawn di sopravvivere a lungo.

«Hai già lavorato nel campo automobilistico, immagino.» Il suo nome lo ricordava bene perché nella scuderia vi erano solo tre donne nello staff, compresa Camila. La ragazza di colore si chiamava Normani, ma era seduta all'altro tavolo. La mora con gli occhi puntati su di lei si chiamava Lucy.

«Si, ma non a questi livelli. L'unico ingaggio più importante l'ho ottenuto l'anno scorso, lavorando nella scuderia Whilsburg.» Il caffè non era più così bollente da causa strozzamenti, eppure più di una persona tossì. Camila si morse con forza il labbro. Forse aveva sbagliato. «Beh, comunque è stato un incarico breve... E poi non mi sono trovata bene con il pilota. Troppo spocchioso.» Sperò che bastasse per ammorbidire gli sguardi.

«Tranquilla, qui nessuno vuole metterti alle strette.» La rassicurò Juan-Paul... «Anzi, aver lavorato per il peggior titolare del mondo ti aiuterà ad affrontare i tuoi giorni nella scuderia Jauregui.» La risata di sottofondo intagliò un cipiglio sulla fronte della ragazza. Nell'aria vibrava il sentore che tutti i presenti fossero accomunati da qualche convinzione a lei estranea.

La stessa Lucy tentò di diradare la sua evidente perplessità. «Beh, diciamo che anche Lauren ha il suo bel caratterino, come avrai potuto constatare. Ma non è affatto snob. Semplicemente non è interessata ad essere amica di nessuno.»

«E Lucy lo sa bene.» Soggiunse qualcuno dal tavolo accanto. Non aveva calcolato bene le distanze, perché il pugno della ragazza lo raggiunse comunque. Il cameriere era l'unico infastidito dall'ilarita che si venne a creare. E di nuovo la cubana si sentì un pesce fuor d'acqua, ma qualcosa le suggeriva che nessuno avrebbe approfondito quell'argomento.

«Intrattiene un rapporto cordiale con tutti, finché non le pesti i piedi...»

«Questo è Camila a saperlo bene.» Si intromise Shawn, ma lo ignorò.

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