Capitolo Ventidue

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Quando Lauren richiuse la porta alle sue spalle, Camila stava ancora sbuffando furiosa.

«Non posso crederci,» quel borbottio sommesso non si comprendeva se fosse incredulità o un'accusa alla sua dabbenaggine. Come aveva potuto fidarsi di un criminale?!

«Camila, smettila di rimuginare.» Il sospiro esausto di Lauren le fece intuire che malgrado tutte le medaglie conquistate, lei era già assuefatta a perdere. «Non puoi vincere contro di loro, puoi solo stare al gioco.» Adesso l'inflessione defatigata delle sue labbra aveva una spiegazione logica, e anche quella notte si abbuiò più il suo sorriso del cielo serale.

Camila, però, aveva le forze che Lauren aveva smarrito strada facendo. La bocca della cubana si contrasse dunque in una linea acerba e bellicosa. «Staremo al loro gioco, ma le regole le faremo noi.» Si oppose strenuamente, impavida nella sua dolce ingenuità.

«Camz,» scosse la testa nascondendola sotto la mano. Come poteva farle capire che era giunto il momento di deporre le speranze? Nemmeno le armi, anche quelle le avevano i loro antagonisti, e l'immagine di Jared con la rivoltella in mano lo affermava. «Questa tua volontà è bontà d'animo sono ammirevoli, davvero. Ma non ci salveranno, anzi, ci faranno uccidere.» Afflosciò le spalle e le palpebre, sperando che la verità contribusse a rafforzare il concetto, ma Camila non si stancava di lottare nemmeno di fronte a tale verdetto.

«Nessuno ti ha chiesto di salire con me su quell'auto, e nessuno ti sta chiedendo di pensarla come me.» Tagliò corto la cubana, distogliendo distrattamente lo sguardo dall'espressione umbratile della corvina come se fosse già in procinto di inventarsene un altro, di guaio.

«Non ti lascerò morire per salvarmi.» Rispose coincisa alla ripicca di Camila.

La cubana rise sguaiata, ma non era certo l'eco dell'ilarità a risuonare cristallino, quanto l'ombra di un sarcasmo tagliente. «Credi che lo stia facendo per te? Ti sbagli di grosso!» Le si impororò il volto per la foga delle sue parole. «Non ti devo niente, cazzo. Mi hai trascinata in quel ristorante, mi hai esposta alle telcamere pur sapendo a cosa andavo in contro! Credi davvero che io nutra il desiderio di salavarti? Ma per favore.» Scosse energicamente il capo, bofonchiando sottovoce parole che fu felice risultassero incomprensibili.

«Bene, tanto meglio!» Rispose concitata Lauren, ottenendo l'attenzione del suo sguardo elusivo. «Allora non hai motivo di preoccuparti tanto.»

«Non ho motivo... Dio, che egoista che sei.» Di nuovo quell'aggettivo. Di nuovo quello spasmo che le adombrò il viso. «Non pensi alle persone che lavorono con te e per te? Loro sono innocenti, ma lavorano per una scuderia corrotta in affari mafiosi! Credi che il tribunale crederà nella loro incoscienza? E anche se fosse, dove ritroveranno lavoro? Io dove ritroverò lavoro?!» Sbottò Camila, eppure l'aveva vista tremare troppo spesso per illudersi che il suo fremito fosse solo rabbia.

«Camila, penso a loro tutti i giorni. Ma ho anche una famiglia da proteggere. Mia madre e i miei fratelli sono dovuti scappare in Europa per non essere coinvolti! Come credi che viva io?!» I toni accesi non agevolavano la comprensione, anzi istigavano gli istinti, che si fomentavano sempre di più nel loro respiro trafelato.

«A me dispiace per te, Lauren. Però non esisti solo tu, non c'è solo la tua famiglia a cui pensare! Quello che fai per comprarti la libertà, è ciò che la toglierà a tutti quanti, quando saranno condannati!» Sbraitò, boccheggiando subito dopo per la mancanza d'ossigeno. La collera stava prosciugando ogni riserva d'aria, eppure non aveva ancora finito.

«Quindi rischi la tua vita per chiunque tranne che per me?» Chiese sconsolata Lauren, esaurendo l'ultimo briciolo d'ossigeno in un sospiro afflitto.

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