Capitolo Trenta

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Tre mesi dopo...

Evidentemente non aveva cambiato idea e se lo aveva fatto non si era premurata di farglielo sapere.

Camila non aveva mai fatto caso a quanto silenzio permeasse i suoi risvegli finché il rumore dei suoi sbadigli era divenuto l'unico suono percepibile fra l'intervallo di tempo che la separava dalla macchinetta del caffè (gentilmente offerta da Ally). Allora sentiva insufflare, ma non sepeva dire con esattezza se il vapore fosse dovuto all'ebollizione calda o ai suoi sospiri algidi.

Malgrado fosse già trascorso diverso tempo, ancora si guardava attorno come se le pagine dal calendario non fossero l'unica cosa che mancava. Il gusto della caffeina era l'unica possibilità che aveva per riscaldarsi adesso, e ancora si domandava se vi fosse una remota possibilità che sia lei che Lauren avessero trascurato qualche alternativa valida per restare insieme, ma quando sopraggiungeva in officina, Dinah era sempre la prima persona che la salutava alla mattina, e le bastava quel piccolo gesto per farle cambiare idea. Ancora non sapeva come guardare negli occhi l'amica sapendo di esser stata abbracciata alla persona che, invece, le aveva strappato Siope dalle braccia per l'ultima volta. Se Lauren voleva stare con lei, doveva dimostrarle di essere migliore di così.

Ma la striscia di vittorie che i giornali proseguivano ad osannare la convinceva ogni volta del contrario.

Preferiva delucidare la reputazione che la coscienza. Camila sapeva che non era per l'oro che collezionava in camera che Lauren si ostinava a vincere, bensì per il piombo che minacciava la sua pelle. Eppure non sapeva più quali occhi vi fossero sotto quella visiera. Ed era questo che le faceva più male di tutto. Perdere chi ami ti toglie il sonno, ma chiederti chi hai amato ti toglie il fiato.

A Camila tolse anche qualche amico. Juan e Normani si erano fatti sentire solo per i primi tempi, ma sospettava che i loro messaggi fossero solo di circostanza; avrebbe anche potuto spedirli in prigione adesso, perciò si assicuravano che l'unico acciaio vicino ai loro polsi rimanesse solo quello delle chiavi inglesi. Shawn, beh... Era un'altra storia.

Anche lui si era presentato alla sua porta, trafelato e madido anche durante una notte particolarmente fredda. Aveva corso, ma non abbastanza veloce da sconfiggere anche il tempo. Purtroppo la verità aveva raggiunto Camila prima di lui. Tentare di varcare la soglia sarebbe stato inutile in quel momento, ma sperava che le braccia conserte di Camila non signficassero che d'ora in poi sarebbe potuto restare solo al di là dell'uscio. Aveva farnetico spiegandosi, ma l'unica risposta che aveva incassato era stata la porta in faccia. Da allora non si erano più sentiti.

Settimana dopo settimana, Camila si era assuefatta al gelo dell'appartamento e al borbottare della macchinetta. Aveva fatto pace con i silenzi. Si era abituata a vedere lo schermo del telefono perennemente nero. E aveva anche perdonato il calendario per essersi vestito con troppi giorni di carta.

Lauren aveva perlomeno tenuto fede ad una delle tante promesse che aveva infranto. Dopo tre mesi, Jared si era presentato per l'ultima volta, ma non per chiedere bensì per restituirle ciò che le aveva tolto: la libertà. Anche Lauren, dunque, aveva gareggiato per l'ultima volta, poi, con ancora la tuta addosso, aveva schiacciato il piano di suo padre sulla tastiera dell'ascensore, e quando era tornata in officina indossava già jeans e maglietta. Spiegò a tutti che era grata per ciò che avevano fatto per lei giorno dopo giorno, ma adesso aveva bisogno di trovare un po' di pace. Aveva garantito che sarebbe arrivato presto un pilota a sostuirla, forse Olivia o Troy, e che nessuno avrebbe perso il lavoro ma solamente una collega.

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