19. Effetti collaterali

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𝑳𝒂𝒏𝒂

«Lana.»

Non ce la faccio.

«Declan. Aiutami.»

Avrei potuto paragonare quella sensazione di capovolgimento a una fase stazionaria di sottosopra, ma non vi era nella mia testa pensiero o parola che avrebbe descritto in alcun modo quella contorsione di sensi che mi affollava la mente. Ero finita in un limbo di confusione a intermittenza, che mi imbrattava la vista e il ragionamento con una lunga serie di pause dalla realtà. Tentavo di aggrapparmi furiosamente a quegli scorci di sensazioni altalenanti, presa dall'insidiosa paura di restare bloccata in uno stato di trance in cui non ero capace nemmeno di avere il controllo di me stessa.

Il mio sistema nervoso periferico aveva smesso di raggiungere il sistema nervoso centrale e il rimbombo del mio cuore arrivava a percuotersi fino al mio cranio, con uno strano saporaccio in bocca che mi ricordava quanto troppo avessi bevuto. Però non era stato abbastanza da non permettermi di percepire più di un paio di mani possenti aiutarmi a sedermi su una superficie tanto fredda che mi fece fremere e sussultare contemporaneamente, mentre con le mani mi aggrappavo fioca a qualcuno. A lui.

«Lana», mi chiamò ancora. «Lana» e ancora. «Lana» e ancora. Mi arpionai al rumore della sua voce come se fosse la mia ultima speranza di vita, in quel rumoreggiare di parole captato soffusamente dai miei timpani ritrovai la strada per la fattezza reale delle cose.

«Mh-mm», tentai di parlare, ma le palpebre pesanti e la testa penzoloni che si reggeva a malapena mi stavano facendo stancare inesorabilmente. Ero troppo affranta dalla biochimica del mio organismo, non c'era recettore in grado di svolgere il suo lavoro e nessuna mia cellula capace di combattere quella sensazione sfiancante.

Poi qualcuno mi prese la nuca con il palmo e la poggiò delicatamente contro un'altra superficie fredda, facendo scontrare le mie scapole spoglie addosso a quello che immaginai essere un muro e mi aggrappai a mia volta con una mano sul ripiano sotto le mie cosce; compresi allora di essere seduta su una superficie alta, con le gambe lasciate penzoloni oltre il bordo tagliente sotto le mie ginocchia. Sospirai. E respirai.

Il mio petto iniziò a muoversi freneticamente, mentre realizzavo quanta aria mi mancava. Il risucchio fresco mi arrivò allora dritto in gola dalle narici asciutte, facendomi tossire pesantemente a quel contatto gelido con la mia trachea.

«Dobbiamo farla rimettere.»

No, no, no per favore.

«Sei sicuro che sia una buona idea?»

Non riuscii a sentire una risposta, perché poi, mentre tentavo di aprire gli occhi per negarmi a quell'orrore, percepii il profumo di Seth intensificarsi intorno a me e mi bastò sentire la sua presa ferrea sulla mia nuca per capire che si trattava di lui. I suoi polpastrelli si incatenavano alle radici delle mie ciocche come fili intrecciati, mi sentii sollevata nel sapere che la mia testa non sarebbe rotolata via da qualche parte, perché in quel momento me la sentivo proprio staccata dal corpo.

«Ascolta», non riuscii ad aprire gli occhi per guardarlo bene, ma sbirciai dalla fessura delle mie palpebre quei contorni sfumati che lo delimitavano. Eppure Seth era lì, anche se non lo percepivo, sapevo che era lui perché sentivo la mia memoria muscolare rispondere ai suoi stimoli istintivamente. «Ci penso io a te.»

Una tenda di brividi si era aperta sulla mia schiena per dare luce a uno strano calore che aveva preso a raschiarmi le budella dall'interno, quelle parole leggere e sostenute e anche preoccupate erano bastate a farmi andare su di giri. Senza rendermene conto avevo tentato di farmi più vicina a lui per poter tastare meglio la camicia a cui ero rimasta aggrappata e quando avevo tracciato con i polpastrelli il calore del suo corpo da sotto il tessuto leggero, tutto si era magicamente perso in un connubio di eccitazione tramortente e contatto bisognoso. Ancora, avevo sospirato pesantemente, facendo tremolare le labbra dischiuse nel vano tentativo di riacquistare lucidità in quel frangente di pura smania.

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