18. Echo

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Canzone: Medicine -Daughter

Le pareti della stanza erano di un bianco gelido e intenso, quasi soffocante.
Tutto lì era perfettamente simmetrico e ordinato, a cominciare dal quadrato perfetto che formavamo i muri della stanza, per finire al tavolo con le sedie perfettamente allineate.
Sopra il tavolo vi erano un portapenne, una cartella e un taccuino, anch'essi posti con un'ordine quasi maniacale.
Echo non sapeva bene se si sentisse a suo agio o meno in quell'edificio.
Aveva anche come l'impressione di essere osservata; fin da quando era entrata la prima volta si era guardata intorno in cerca di qualche telecamera nascosta o roba del genere, senza però trovare nulla di tutto questo.
Aspettava sola in quella stanza da forse mezz'ora e più passava il tempo, più continuava a innervosirsi.
Si chiedeva cosa stessero facendo, perchè non fosse ancora arrivato nessuno, ma se, soprattutto, la vera visita non fosse quella: osservarla da lontano.
No, erano solo paranoie, doveva stare tranquilla.
Ultimamente tutto era diventato sempre più oppressivo: le lamentele del padre, i limiti imposti dalla madre, le visite regolari che aveva dallo psichiatra...
Ebbene si, l'aveva obbligata anche a frequentare uno psicologo, che poi, successivamente, era diventato uno psichiatra dopo la presunta scoperta del suo disturbo. Dopo ciò che era successo pochi giorni prima.
Ecco che finalmente un uomo entrò nella stanza, lentamente e in modo pacato, attraverso la candida porta bianca che si mimetizzava con il resto della parete.
Appena scorse il suo sguardo fece il solito sorriso che rivolgeva a tutti i suoi pazienti, poi, appena Echo ricambiò con un po' di nervosismo e difficoltà, si sedette alla sua scrivania incrociando le mani e facendo cenno ad Echo di avvicinarsi per prendere posto di fronte a lui.
Lei sembrava parecchio tesa. Si sedette alla scrivania facendo parecchio rumore con la sedia, scusandosi successivamente.
Guardò bene il dottore; aveva i capelli grigi, alcuni davanti laccati all'indietro, con lo scopo di coprire le parti mancanti. Portava un paio di occhiali perfettamente rotondi e aveva un sorriso abbastanza rassicurante, quasi da nonno. Le dava una certa sensazione di calore, come se fosse una persona familiare.
-Come ti senti oggi, Echo- Disse lui sorridendo per farla sentire più a suo agio.
Lei si irrigidì sulla sedia. Come si sentiva? Non ne aveva la minima idea, provava un turbine di ansia, angoscia, rabbia, non sapeva descriverlo neanche lei.
-Non lo so.- rispose vagamente.
-Bene o male?- insistette lui, sempre con il sorriso stampato in faccia.
Echo si morse appena l'interno della guancia.
-Male, credo.- Rispose poi, dopo qualche secondo.
Le sembravano stupide quelle domande in confronto a quello che era successo nei giorni precedenti.
-Sai trovare una motivazione al tuo malessere?- continuò a chiedere lui.
Beh, se l'avesse trovata non sarebbe stata lì insieme a lui in quel momento.
-Direi di no.- Echo cominciava a innervosirsi. Si sentiva come se le pareti della stanza piano piano si stessero avvicinando a lei fino a soffocarla. Iniziava a sudare freddo, ad avere le palpitazioni e a dissociarsi dalla realtà.
-Vuoi parlarmi di cosa è successo martedì?- chiese con dolcezza il dottore.
La sua voce calda e professionale la riportò alla realtà, quindi deglutì e rivolse lo sguardo sul dottore.
Quello che era successo martedì.
Nelle ultime quarantotto ore si era posta le stesse domande che tutti le avevano fatto: cosa le era passato per la mente? Era semplice rabbia? Un capriccio? Impulsività? Paura? No. Era molto di più, qualcosa di più complesso e articolato che riusciva a stento a controllare.
-Sa già cosa è successo martedì.- tagliò corto Echo. - mi sembra...- si affrettò ad aggiungere poi, in tono più pacato, cercando di non suonare troppo ostile, non voleva sembrarlo, ma il solo sentire parlare di quel martedì le faceva venire la nausea.
-Si lo ammetto.- rise lui con dolcezza, rivolgendosi a lei come se stesse parlando ad una bambina, o...a una malata.
-Tua madre mi ha parlato dell'accaduto, era molto preoccupata. Che sentimenti provi pensando a tua madre?- chiese.
Echo si rese conto che ormai probabilmente tutti i suoi amici e conoscenti erano venuti a sapere dell'accaduto. Chissà cosa avrebbero pensato di lei.
Si sentì subito male nel pensare a sua madre, il senso di colpa che provava nei suoi confronti le faceva venire i crampi allo stomaco.
-Io le voglio bene, mi sento in colpa.- si guardò le mani come se fossero la cosa più interessante del mondo.
-Cosa ti ha spinto allora a compiere quel gesto?- insistette lui in tono persuasivo.
Era sempre stata fragile in campo di relazioni affettive. Riusciva a valorizzare o svalutare la persone in un attimo, come se nulla fosse.
Non aveva degli affetti stabili, non riusciva mai a mantenerli.
I suoi amici la stancavano facilmente quanto prima la incuriosivano, ma a volte erano proprio essi ad allontanarla.
Quel famoso martedì aveva scoperto che il suo ragazzo avesse intenzione di lasciarla. Sembrerà una motivazione banale per chiunque altro, ma quel giorno per lei non lo era stato.
Lo aveva sentito per sbaglio da una registrazione che aveva inviato ad una sua amica; diceva che il suo comportamento instabile, a tratti svogliato e superficiale lo aveva stancato. Ma lei non era svogliata o superficiale, faceva solo dei sbagli stupidi, poiché ogni tanto pensava un po' più a se stessa a causa dell'ansia, dimenticandosi degli altri.
Si era sentita tradita, sia da lei, che lo assecondava nelle sue scelte dandogli ragione, come se non la conoscesse per niente, che dal suo ragazzo, che al minimo problema la voleva scaricare. Si sentiva delusa, affranta e incompresa.
Aveva lasciato l'amica sola a casa sua, chiudendola dentro la stanza a chiave dalla rabbia, le sue urla di preoccupazione non erano servite a nulla per farle cambiare idea. Poi era uscita e aveva preso la macchina dei genitori per andare dal suo ragazzo, pur non avendo alcuna patente. Piangeva dalla rabbia, era nel pieno di un attacco di panico severo, ma durante il tragitto era andata fuori strada per evitare un cane sulle strisce pedonali e aveva rotto un fanale e ammaccato il davanti. Per fortuna non si era fatta nulla di che, solo una contusione al polso. Subito dopo l'incidente si era sentita frastornata, spaventata, si era sentita come se si fosse astratta dal suo corpo, come se si fosse risvegliata da un incubo e osservasse la vita di un'altra ragazza. Ma cosa aveva combinato per uno stupido eccesso di rabbia? Eppure non era solo quello, sapeva già che ci fosse altro.
Tutte le scuse del mondo non erano servite a nulla, ormai si sentiva come se avesse rovinato tutto e non ci fosse via d'uscita da quella situazione; nessuno la voleva più ascoltare, era diventata un problema, come se fosse improvvisamente impazzita senza motivo.
-Ero molto arrabbiata, anche demoralizzata.- rispose dopo qualche secondo, conficcando le unghie nei palmi delle mani fino a farli quasi sanguinare. Lo faceva sempre, tra le altre tante cose, quando si sentiva nervosa e a disagio.
-Le erano mai successi altri episodi del genere?-
Echo ci pensò su per qualche secondo; era sempre stata molto impulsiva, ma mai si era spinta fino a quel punto.
-No, però avevo immaginato già di fare cose del genere.-
-Che intendi per "immaginato"?- chiese lui alzando appena il sopracciglio, mantenendo il sorriso cordiale.
Non sapeva come spiegarlo.
-Avevo immaginato, durante dei momenti di rabbia, di fare delle cose simili, sentivo come un impulso di farle.- rispose lei agitandosi. Aveva paura di quello che le avrebbe detto il dottore una volta finita la loro discussione.
-Ma eri riuscita a controllarti, no?-
-Abbastanza. Scaricavo la mia frustrazione su altro.- Echo non la smetteva di torturare i palmi delle sue mani con le unghia, ma non appena ci fece caso le staccò immediatamente rendendosi conto di averle fatte un po' sanguinare. Quindi le abbassò mettendole sotto la scrivania per non farle notare al dottore.
-Altro ad esempio cosa?-
-Ad esempio le persone che mi stavano intorno, dicevo cose molto cattive che non pensavo, oppure mi chiudevo a chiave da qualche parte non permettendo a nessuno di entrare.- rispose.
Il dottore annuì con comprensione, rivolgendole poi un altro sorriso non appena Echo finì di parlare.
-Cosa provi quando pensi alla tua amica? Come si chiamava...Cara?-
-Si, Cara- Rispose Echo abbassando lo sguardo. Non si sentiva neanche minimamente in colpa nei suoi confronti, continuava a pensare che se lo fosse meritata. In fondo, proprio a lei non aveva fatto nulla di male.
-Io non mi sento tanto in colpa.- Ammise, continuando a mantenere lo sguardo basso, sulla scrivania, percorrendo più volte il bordo con le dita.
-Va bene.- il suo viso si allargò in un altro ampio sorriso a trentasei denti, le strinse quindi la mano e si alzò dal posto a sedere.
-Lasciami un momento parlare con tua madre, ritorno da te tra un minuto.- Le disse facendole segno di rimanere seduta.
Non le faceva bene avergli esposto i suoi stati d'animo, la faceva sentire anche peggio. Cosa aveva che non andava?
Non sentiva nessuno dei suoi amici da due giorni, si era chiusa in se stessa, non di sua spontanea volontà, ma perché non le era rimasto più nessuno su cui contare.
Il suo ragazzo alla fine si era deciso a lasciarla, in modo a dir poco patetico, ma in fondo non si aspettava nulla di più da quel codardo.
Né Cara né nessun'altro si era fatto sentire per chiederle anche solo un semplice "come stai?". Come se escludessero completamente il fatto che stesse male di fronte a tutta quella situazione surreale.
Voleva scappare via, andare lontano. Non aveva più nessuno lì e recuperare tutti i rapporti persi sarebbe stato inutile, non voleva più avere nulla a che fare con quelle persone e probabilmente anche loro la pensavano allo stesso modo. Era diventata la pazza della città, la notizia era sul giornale del distretto.
Che vergogna che sarà stata per i suoi genitori, pensava spesso a questo, non le parlavano neanche loro.
Stranamente non le faceva male ciò che aveva perso, gli amici ad esempio. Si sentiva anzi come se l'avessero liberata di un peso che si portava sulle spalle da tempo. Eppure quel peso aveva lasciato un vuoto che neanche lei in effetti riusciva minimamente a comprendere.
Il fatto di non essersi affezionata quasi per niente a tutti i suoi amici e affetti le faceva un po' paura. Li aveva svalutati in un battito di ciglia, li aveva trovati arroganti e superficiali e aveva deciso di chiudere una porta e stop.

Quando lo psichiatra rientrò con sua madre Echo sentì come un groppo soffocante in gola.
Respirava a fatica, pur cercando di mascherarlo con movimenti nervosi del bacino sulla sedia.
La madre non la guardava negli occhi, guardava in basso o si rivolgeva al medico con un sorriso di circostanza.
Echo aveva disperatamente bisogno dell'appoggio di sua madre, ma lei non era ancora pronta ad accettare il suo stato mentale e questo la faceva sentire sbagliata.
-Come ho già detto a sua madre, da un'analisi accurata e dai vari test a cui è stata sottoposta negli ultimi giorni...-
-Arrivi al dunque.- tagliò corto la madre con impazienza, poi finalmente guardò Echo negli occhi, come per rassicurarla. Lei ebbe un tuffo al cuore.
-Disturbo Borderline di Personalità.- Disse quindi in tono pacato, facendola quasi sembrare una cosa da nulla.
Ed ecco che il mondo che Echo aveva costruito intorno a se si sgretolò in un secondo.
Tutto ciò che pensava di essere, in un attimo infranto.
Aveva paura di quel termine, non lo trovava suo, si sentiva come se fosse rimasta intrappolata nel corpo di un'altra persona, senza la possibilità di uscire, con il vincolo di rimanere lì. Per sempre.
-Con l'avanzare dell'età si migliora, si acquista più consapevolezza.- la rassicurò il dottore.
La madre le posò una mano sulla spalla, cercando di farle forza.
-Le abbiamo consigliato e prescritto comunque varie terapie per poter ridurre gli impatti del disturbo nella sua vita.- continuò il dottore facendole vedere un foglietto su cui erano appuntati vari appuntamenti per varie terapie.
-Successivamente riparleremo riguardo la farmacoterapia.- concluse poi.
-psicofarmaci?- chiese Echo tremante.
Il dottore annuì.

Dopo una settimana di paranoie, pensieri ossessivi e ansia, ad Echo giunse attraverso il padre la notizia di un esperimento scientifico per i giovani, di cui era rimasto solo ed esclusivamente un posto libero.
Inizialmente Echo fu titubante, poiché non erano specificate le attività che avrebbero svolto e gli esperimenti a cui sarebbero stati sottoposti una volta lì e neanche i giorni di permanenza erano scritti da alcuna parte. Eppure tutta quella faccenda la incuriosiva non poco, tanto da farla stare sveglia per tutta la notte a seguire.
Continuava a pensare di non avere più nulla da perdere; neanche se stessa. Un'esperienza come quella non le avrebbe fatto nient'altro che bene.
La madre però era preoccupata; non si fidava minimamente di quell'organizzazione, soprattutto dopo che il marito le aveva raccontato di cosa si trattasse l'esperimento, cosa che Echo non doveva sapere assolutamente.
Presa da un moto di impulsività, il mattino seguente, Echo accettò la proposta del padre. Ed ecco perché si ritrovava lì adesso.

Spazio autrice 🌻: scrivere questo capitolo è stato abbastanza complesso, in questi giorni lo revisionerò aggiungendo magari qualcosa e più informazioni

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