20. Ignoto

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A Miles non pesavano tutte quelle parole che la gente gli rivolgeva con cattiveria. Se le lasciava scivolare addosso. Aveva deciso, già da molto tempo, che non sarebbe più stato triste o dispiaciuto per colpa di qualcuno, e non intendeva ritornare indietro sui suoi passi.
Osservava la sua mappa della navicella con un'accuratezza quasi ossessiva, mordendosi le pellicine delle dita senza rendersene conto.
Sinceramente il fatto che avessero ammazzato Rosemary lo sollevava, aveva meno problemi a cui pensare, si sentiva molto più leggero.
Rosemary sarebbe stato un peso al lungo andare, perchè lei era così; faceva finta di essere come lui, ma non lo era, la trovava ridicola e priva di ogni altra qualità. Stare con lei era un errore, l'aveva capito un po' tardi, ma era riuscito a rimediare, e ora non aveva rimorsi o rimpianti.
Sarah poteva dire quello che voleva; poteva accusarlo di mentire, di celare i suoi veri sentimenti, di essere senza cuore, ma non era esattamente la verità, lui era tranquillo, aveva fatto e detto tutto quello che avrebbe voluto e Sarah era solo una testarda che non voleva ascoltarlo. Ma a lui non interessava, aveva la coscienza pulita, tutte quelle cose non lo toccavano minimamente.
Non aveva bisogno di quelle persone, tantomeno della loro approvazione o del loro parere, li vedeva come dei falliti, falliti che non sapevano fare altro che lamentarsi e innamorarsi.
Ecco, l'amore, un'altra leggenda che stava nella testa dei più deboli, degli annoiati, di quelli che dalla vita non avevano nessuna aspettativa o ambizione oltre a  loro stessi e si rifugiavano in una verità falsificata, un'illusione a tempo limitato che stava solo nelle loro teste.
Quelli, per lui, erano solo dei depressi repressi, gente che non sapeva trovare se stessa e che non sapeva stare da sola, che aveva bisogno di dipendere ed essere controllato da qualcuno per essere felice.
Che poi, quello non era essere felice, la felicità per lui non esisteva, erano brevi momenti, che duravano pochi attimi, quando succedeva qualcosa di veramente inaspettato e inatteso, non ciò che quelli stolti pensavano che fosse. Erano talmente nascosti in quelle menzogne che non riuscivano più a distinguere la realtà dalle illusioni.
La gente illude e ti usa. Ti usa finché ha bisogno di te, delle tue attenzioni, finché poi non si stanca e non ha neanche la minima intenzione di superare la stanchezza per poter costruire un futuro. La gente è abituata al fatto che appena qualcosa le da noia la lascia, andando avanti e passando a qualcosa di nuovo, di "migliore", ma è solo un'illusione, il brivido della novità, che può durare pochi giorni, pochi mesi e appena svanisce ti ritrovi di fronte alla realtà, osservandone tutti i difetti ad occhi aperti e rendendoti conto che non è quello di cui hai veramente bisogno.
O almeno Miles la pensava così, mentre percorreva silenziosamente i corridoi di storage insieme ad Echo, che ogni tanto faceva qualche commento o battuta, scoppiando poi a ridere.
Echo era quel tipo di persona che Miles detestava così tanto, anche se lui probabilmente non ne aveva idea.
Echo cambiava spesso l'idea che aveva di se stessa e degli altri, in un battito di ciglia e a volte anche da un giorno all'altro senza un motivo apparente.
Nei momenti in cui la sua mente non le dava nessuna via di fuga lei cercava la sua via di fuga nelle sue "novità" o "distrazioni", che potevano essere cose, ma spesso erano persone o "drama". E per drama intendeva fatti che accadevano portandosi dietro un'enorme ondata di emozioni, sia negativi che positivi, distraendola per qualche giorno.
Ma lei non aveva mai dato più di tanto peso al suo comportamento, le sembrava normale, "in fondo fanno tutti così" pensava.
Senza rendersi conto che però in realtà era come se le piacesse particolarmente vittimizzarsi, avere un qualcosa di concreto su cui poter concentrare tutta la sua tristezza o rabbia, dimenticandosi delle vere cose serie, come una valvola di sfogo.
Anche lei quindi si illudeva, proprio come diceva Miles, come se si anestetizzasse da ciò che la faceva stare veramente male nella realtà.
Lei, da quando le avevano diagnosticato il disturbo borderline si sentiva come se stesse vivendo in un corpo non proprio, come se non fosse più se stessa.
Nessuno, all'infuori dei suoi genitori, era a conoscenza del suo disturbo e probabilmente non lo avrebbe mai raccontato. Vedeva la gente cambiare opinione su quelli con problemi mentali e lei cercava il più possibile di fare finta di nulla davanti agli altri, anche se spesso, come la sera appena trascorsa, le era impossibile controllarsi.
In fondo, chi se non una persona ormai sola, piena di incognite e paranoie, dubbi e instabile come lei avrebbe accettato una pazzia del genere: partecipare a quel dannato gioco. Pensava che l'avrebbe distratta dai suoi pensieri e in un certo senso ci era anche riuscita, ma il peso di tutto quel sangue, di tutta quella violenza, paura, degli amici che morivano, del fatto che fosse costantemente in pericolo e che potesse anche lei morire da un momento all'altro non era molto d'aiuto.
Echo rivolse una breve occhiata furtiva a Miles, mentre le indicava una scorciatoia per arrivare dall'altro lato della navicella più velocemente.
Almeno con lei c'era lui adesso, il che non le sembrava molto, ma era sempre meglio di niente in quel luogo.
In fondo i suoi unici difetti erano la testardaggine, la risolutezza, la mania di correggere, dire agli altri cosa fare e voler sempre decidere lui anche per gli altri. Echo sorrise a quel pensiero, lui non lo faceva per male, era anche il suo modo di esprimere amicizia, affetto.
Echo li trovava più dei tratti caratteristici che dei difetti, al contrario di come ne avevano parlato Chris ed Eve prima dell'inizio dei giochi, quando ancora erano tutte insieme nei dormitori.
Echo ebbe una stretta al cuore ripensando a quei giorni e a Chris.
Quando ancora erano ignare di ciò a cui stavano andando incontro, e soprattutto quando ancora erano tutte vive. Le faceva strano ripensare a quei giorni senza guardarli sotto il punto di vista che aveva lì in quel momento, ormai vedeva tutto sotto una nuova luce.
-Perchè non torniamo insieme ad Eve e Sid?- aveva chiesto Echo a un certo punto, mentre continuavano a camminare verso una task di Miles che si trovava nella stanza del reattore.
Miles non aveva battuto ciglio, né si era irrigidito, continuava a guardare di fronte a sé, come se Echo non gli avesse detto nulla, finché non si decise a rispondere, ma con un'altra domanda.
-Perchè Sid ed Eve non ci hanno chiesto di tornare con loro?-
Echo alzò gli occhi al cielo. Perchè Miles doveva sempre pensare male di chiunque?
Quel giorno Eve si era comportata in modo un po' strano nei loro confronti, come se fosse successo qualcosa e fosse preoccupata. L'aveva vista guardarsi intorno in modo furtivo, osservare lei, Miles e tutti gli altri dalla testa ai piedi con aria indagatoria e non sembrava molto incline all'aprirsi con Echo come avrebbe fatto fino a qualche giorno prima. Erano diventati tutti molto più strani dopo la morte di Chris, come se non si sarebbero mai aspettati una cosa del genere, come se Chris fosse troppo innocente per poter essere impostore, probabilmente escludevano tutti l'ipotesi che lei fosse un impostore. Forse anche per quel motivo lo era, nessuno l'avrebbe mai incolpata e lei era la prima a pensarlo.
Chris era sempre passata abbastanza inosservata riguardo le questioni violente, come sarebbe passata inosservata una bambina, in fondo nessuno immagina cose brutte dai bambini, soprattutto degli omicidi.
Però come poteva la gente sospettare di Echo ? Lei stessa non smetteva di chiederselo. Quando era successa la tragedia di Caesar era stata colta alla sprovvista tanto quanto tutti gli altri, ma non ci aveva più riflettuto. Chi era allora il vero assassino di Caesar se non lei? Cosa era successo veramente quella notte?
Un magone di nostalgia si appropriò della sua gola e si sentì come se la stessero stritolando.
-Cosa è successo veramente a Caesar?- chiese improvvisamente a Miles cambiando discorso.
Lui alzò le spalle, fermandosi un attimo per bere un goccio d'acqua. Beveva sempre allo stesso modo: senza appoggiare le labbra alla bottiglia, come se non volesse rovinarla. Echo trovava strano quel suo modo di bere, ma non gli aveva mai detto nulla.
Miles non lasciava trasparire quasi mai le sue emozioni e questo certe volte infastidiva un po' Echo, poiché era più difficile capirlo se si comportava come un muro.
-Vuoi bere?- Chiese ad Echo prima di riporre la bottiglia dentro lo zaino. Lei declinò l'offerta e lui richiuse con cura il tappo della bottiglia.
-quindi?- insistette Echo.
In realtà quell'argomento le metteva curiosità quanto le metteva inquietudine. Perchè nessuno degli scienziati aveva punito il colpevole? E se fossero stati gli stessi scienziati ad ucciderlo? Ma perché avrebbero dovuto, per le minacce? In fondo Caesar non aveva detto nulla di sbagliato. Echo provò a ricordare vagamente le sue parole: "Appena inizierà l'esperimento ti ammazzerò" Aveva detto questo? Non se lo ricordava, ricordava solo il nervosismo che aveva provato da quel momento in poi.
Magari se ci fosse stato Caesar sarebbe stato lui l'altro impostore e non Chris.
Miles decise di sedersi, appoggiandosi a un muro della stanza del reattore, con una gamba distesa e l'altra piegata, su cui appoggiò un braccio steso a penzoloni, fissando Echo con fare serio.
-Sarà sicuramente stata Mars.- disse con nonchalance.
Echo lo guardò con gli occhi sbarrati per qualche secondo, poi scoppiò a ridere e lui la guardò storto.
-Perchè ridi?- Le chiese come se avesse detto la cosa più ovvia del mondo.
-Mars ha smesso di piangere la morte di Caesar quando è morta lei stessa, non sarà mai stata lei. Lo so.- continuò a ridere Echo, convinta di ciò che stava dicendo. Se c'era una persona che era totalmente da escludere, quella era Mars.
Lui alzò un sopracciglio iniziando a ridere come se trovasse stupide le convinzioni di Echo, lei sbuffò, togliendosi con un movimento confuso una ciocca di capelli più corta che le era caduta davanti al viso.
-Conosci forse Mars?- le chiese poi.
Lei ci pensò su un attimo; in effetti l'aveva conosciuta solo in quei pochi giorni prima di entrare nel gioco e soprattutto prima della morte di Caesar, dopodiché lei non le aveva più parlato, ma in ogni caso non le sembrava il tipo da uccidere il proprio ragazzo.
-Sai che Caesar la picchiava?- continuò a chiedere lui con saccenza.
-Me l'avrà accennato.- fece spallucce Echo, con la convinzione che Miles stesse deviando la vera risposta che lei voleva da lui.
-Certo, te l'avrà accennato, tra una tazza di te e una battuta sui gatti.- la prese in giro lui, mantenendo sempre lo stesso tono serio, come se stesse parlando di una questione di lavoro molto solenne. Però lo vide: un accenno di sorriso formarsi tra le labbra di Miles mentre poi scuoteva la testa.
-Comunque mi risponderò da solo: no, tu non conoscevi Mars. In una vita non si può conoscere bene una persona, figuriamoci in tre giorni.- 
Ogni volta che Miles diceva qualcosa, la diceva con la convinzione che fosse soltanto quella la verità e nessuno doveva metterla in discussione.
-Però posso comunque farmi una mia impressione personale al riguardo, no?-  Echo cercò di riprendere un po' di credibilità, ma Miles la guardò come se per lui si stesse solo arrampicando sugli specchi.
-Certo, te la puoi fare. Sarà sicuramente sbagliata, ma puoi fartela.- Disse lui, facendosi scrocchiare le dita della mano con nonchalance.
Echo alzò gli occhi al cielo, ma si decise a non dirgli nulla di provocatorio, poiché era proprio quello che avrebbe voluto lui e lei non aveva voglia di assecondarlo in quello.
-E Mars avrebbe fatto tutto questo con l'intento di incolpare poi me? Per quale ragione avrebbe dovuto fare una cosa del genere nei miei confronti?- insistette Echo. Era convinta di ciò che pensava e Miles non le avrebbe fatto cambiare idea tanto facilmente.
Miles sbuffò guardandosi le nocche delle dita, come se trovasse immensamente fastidioso e insensato tutto quell'argomento.
Echo era risoluta; non aveva intenzione di mettere da parte la discussione, voleva fare chiarezza una volta per tutte.
-Avrebbe potuto scegliere chiunque altro da incolpare, no?- continuò lei.
-Capitava la situazione a suo favore. Caesar aveva discusso con te, era ovvio che tutti avrebbero accusato te, sei la prima della loro lista dei sospettati, subito dopo Steve, penso.- rispose lui, esasperato da tutte quelle domande.
-Ma allora perché nessuno si decide a buttare fuori questo dannato Steve!?- esclamò Echo spalancando le braccia come se finalmente Miles le avesse dato ragione al riguardo.
-Hanno tutti in un certo senso paura di lui.- rispose Miles ridendo di gusto. - Non lo conoscono, non è capace di fare nulla quello lì.- continuò, facendosi serio. -neanche di prendersi le proprie responsabilità.- aggiunse poi, con un piccolo tentennamento.
Echo si sentiva bruciare dalla voglia di segnalare Steve, per poterlo buttare fuori una volta per tutte e sentirsi più tranquilla.
-Ma io non ho paura di lui, posso farlo io...- provò a dire Echo, ma venne interrotta subito da Miles che aggrottò le sopracciglia.
-Scordatelo.- disse scandendo bene la parola con durezza.
Echo non riusciva a capire. Perchè Miles non voleva che lei lo segnalasse? Sarebbero stati tutti più sicuri senza un altro impostore in giro, erano ormai agli sgoccioli.
-Sarebbe stupido, pensa a sopravvivere, ancora non è necessario, la gente vuole delle prove, soprattutto qui e adesso, si tratta di vite umane.-  Guardava negli occhi Echo in un modo talmente intenso e pieno d'odio che quasi lei si sentì male. Indietreggiò un pochino, andando a sbattere contro il muro, mentre Miles si rimetteva in piedi avvicinandosi a lei con fare minaccioso.
Echo in pochi istanti ebbe tutto a un tratto moltissima paura, talmente tanta che quasi  le venne un altro attacco di panico.
In quel momento si maledì di essere rimasta sola con Miles, il suo atteggiamento la stava spaventando; continuava ad avvicinarsi con fare minaccioso, come se... come se volesse ucciderla.
Allora forse Eve aveva ragione a non fidarsi di Miles, forse Eve aveva capito prima qualcosa che lei non era riuscita ad afferrare e che l'avrebbe portata alla morte in un modo così stupido e banale.
Echo lanciò una rapida occhiata intorno a sé, cercando una via d'uscita.
Miles stava in silenzio, guardandola con talmente tanto disprezzo da farle venire la nausea.
Intorno ad Echo non c'era effettivamente una via di scampo; Miles era più veloce e più forte di lei, anche se fosse scappata via l'avrebbe ripresa e uccisa. Tra l'altro in quel momento era messa in un angolo tra due muri, e non aveva modo di aggirarlo.
Poteva soltanto sperare che qualcuno arrivasse dall'ingresso della stanza, per poter chiedere aiuto.
Dopo tutto quello che lei aveva fatto per lui? Beh si, in realtà non era stato molto, ma si era fidata, gli aveva offerto la sua compagnìa e il suo aiuto, anche se la maggior parte delle volte si era ritrovata ad essere un peso per lui.
Le venne quasi un colpò quando pensò che allora tutte le sue parole e azioni fossero solo una strategia per poter arrivare a quel punto e ammazzarla. Che stupida che era.
Ma improvvisamente qualcosa cambiò.
Miles era a un palmo dal suo viso, Echo ormai sudava freddo aspettandosi di essere ammazzata, ma lui semplicemente fece uno scatto, come per simulare un attacco e poi scoppiò a ridere.
Echo  saltò in aria per poi rendersi conto della situazione e alzò un sopracciglio senza capire perchè stesse ridendo. Non voleva più  ammazzarla?
Miles rideva a crepapelle, quasi con le lacrime,  tenendosi la pancia con una mano, senza smettere di guardare Echo, immobile all'angolo del muro che lo guardava con perplessità.
-Hai paura di me?- le chiese senza riuscire a trattenere altre risate, che tornarono come un'ondata a colorare il suo viso.
Echo tirò un sospiro di sollievo e gli diede un piccolo spintone al braccio per poter passare, ma lui non la lasciò passare.
-Allora?- insistette lui.
Miles era davvero la persona più strana che Echo avesse mai incontrato in tutta la sua vita, una contraddizione in carne ed ossa.
-No, non mi hai spaventata.- Mentì Echo, tanto per non dargliela vinta. Ma lui la guardò con un sopracciglio alzato, obbligandola al contatto visivo e sulle labbra di Echo si formò una risata imbarazzata.
-Diciamo che mi hai messo un po' di inquietudine.-
-Allora non ti fidi di me?- chiese lui, ritornando piano piano alla solita normalità.
Echo venne spiazzata da quella domanda; non lo sapeva, anche se probabilmente la risposta era si. Lei stranamente si fidava di lui, al contrario di tutti gli altri ragazzi dell'esperimento.
-Non so per quale ragione, ma si. Mi fido.- rispose poi e lui la guardò contrariato.
-Beh, fai male, non dovresti fidarti di nessuno qui dentro. Te l'avrò ripetuto centinaia di volte ormai.- disse facendosi ancora più serio.
Echo ebbe l'impressione che Miles fosse deluso da quella sua risposta, forse anche un po' arrabbiato, ma non riusciva a coglierne la motivazione. Cosa c'era di così sbagliato nel fidarsi di lui?
Echo cercò allora di cambiare ancora una volta discorso, per togliersi da quell'imbarazzo in cui era piombata e da cui non sapeva più come uscirne.
-Non mi hai comunque dato la risposta che cercavo riguardo Caesar.- Disse quindi. - E non capisco comunque tutta questa ostilità nei confronti di Steve. In fondo cosa ti ha fatto lui?- aggiunse.
Miles la fulminò subito con lo sguardo, come se avesse l'intenzione di incenerirla.
Echo se ne accorse subito ma non capì il perché di quella sua reazione così esagerata. Probabilmente si conoscevano già al di fuori dell'esperimento.
Echo aveva come una particolare abilità nel dire sempre la cosa sbagliata nel momento sbagliato, andando sempre a peggiorare ogni situazione, fino al limite massimo che essa avrebbe potuto raggiungere.
Miles non sopportava questo di Echo: quando doveva parlare a caso, senza sapere il significato di quello che chiedeva, senza dare peso alle sue parole. Come se ogni parola valesse tanto quanto tutte le altre.
-Evita di parlare quando non hai la minima idea di quello che stai dicendo. - le disse con tutta la freddezza e la durezza che fosse in grado di trasmetterle.
Echo ebbe come un brivido sentendo quel tono di voce.
Ma si sentiva come se ne avesse abbastanza di tutte quelle critiche, per qualsiasi cosa, non poteva quasi neanche aprire bocca.
Echo solitamente riusciva a riconoscere gli attacchi d'ira quando stavano arrivando, ma quello fu più difficile da reprimere.
-Come potrei avere la minima idea di quello che sto dicendo se non mi dici mai nulla!?- esclamò.
Miles sgranò appena gli occhi per un attimo per poi ritornare nuovamente serio come se nulla fosse.
-Abbassa la voce.- le disse soltanto, con calma, e ciò fece ancora di più irritare Echo che dovette girarsi e respirare per contenere tutta la sua rabbia.
Era una tecnica che usava quando si sentiva di poter ancora reprimere il suo attacco, e spesso ci riusciva.
Raccolse tutta la pazienza e la forza di volontà che le rimanevano in corpo e si girò nuovamente verso Miles.
-Se solo tu mi spiegassi quel minimo, o come cavolo lo vuoi chiamare, quello stretto necessario di informazioni sul tuo conto, io non direi "cose a caso"- Disse a denti stretti Echo, calcando di più le ultime parole.
Miles osservò Echo per qualche secondo, chiedendosi da quando fosse così testarda, finché finalmente parlò.
-Non ha senso irritarsi per queste cose.-
-Va bene, hai ragione tu, però rispondimi.- Echo non lo lasciò parlare, frapponendo la sua voce a quella di Miles, con prepotenza.
-Bene.- disse lui lanciandole una rapida occhiata gelida e irrigidendosi un po'. -cosa vuoi sapere di me?-
Echo ci pensò un po' su; aveva troppe domande, ma doveva cercare di non sembrare indiscreta.
-Decidi tu cosa raccontarmi, accetto qualsiasi informazione.-
Miles a quel punto incrociò le braccia contrariato, ma iniziò comunque a parlare.



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