cap.45

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Mi svegliai indolenzito in una stanza bianca.

Mi girava la testa e la luce mi faceva male agli occhi.

Mi alzai e riconobbi subito l'infermeria della scuola.

Ero stordito e un po' dolorante, però riuscivo lo stesso a stare in piedi senza troppi problemi.

Ricordavo benissimo cosa fosse successo prima che svenissi, quindi non mi stupii più di tanto nel vedere delle bendature attorno al mio addome.

La giacca della tuta era sporca e appoggiata sullo schienale di una sedia vicino al mio letto.

Mi sistemai velocemente e tentai di uscire il più in fretta possibile dall'infermeria, ma quella vecc-*Cof Cof* RecoveryGirl mi ha beccato.

"Dove credi di andare, signorino?"

"A casa."

"Non se ne parla neanche. Non sei ancora guarito." Incrociò le braccia al petto e mi guardò severa.

"Sto bene."

"Sai che giorno è oggi?"

"Martedì?" Risposi confuso.

"No, è lunedì." Disse tranquillamente guardandomi in faccia.

"Ah, ma allora ho dormito solo poche ore. Meglio così." Ero contento e sollevato da ciò.

"Oh no, mio caro. Sei rimasto incosciente una settimana intera. Ti hanno portato qui lunedì scorso." Rispose mettendosi seduta alla sua scrivania.

"Cosa?!" Dire che ero rimasto di sasso era dir poco. "Devo tornare a casa. Subito!"

Mi stavo preoccupando per la mia famiglia. Ero rimasto in infermeria una settimana e loro non sapevano come stavo.

"No. Non sei guarito. Torna a letto."

"Non ci penso neanche. Sto bene e devo tornare a casa."

Guardai fuori dalla finestra. "Che ore sono?"

"Circa mezzogiorno." Rispose l'infermiera.

Lei continuava a insistere di volermi tenere in osservazione per un'altra settimana, ma io mi rifiutavo di stare chiuso tra il nemico in quattro mura bianche.

"Facciamo così. Rimango a casa a riposo per una settimana. Se ci sono complicazioni torno da lei."

"Va bene. Ma solo sta volta."

Ce l'avevo fatta. L'avevo sfiancata e ora potevo andarmene senza problemi!

Mi misi a correre come un disperato verso la stazione. Non avevo con me il cellulare. Shoto doveva aver portato a casa tutto la settimana prima.

Presi il treno e appena arrivato in frenata mi misi a correre verso il mio quartiere.

Salii le scale a due a due e arrivai alla porta dell'appartamento.

Bussai come un disperato sperando che ci fosse qualcuno in casa, ma nessuno aprì. Non potevo andare alla base vestito così. La gente si sarebbe fatta delle domande.

Tornai indietro e andai al negozietto di alimentari vicino casa, quello della cassiera che poteva cambiare aspetto. Entrai e andai subito da lei.

"Oh. Ecco qua il fratellino di Dabi. Qual buon vento?" Chiese ironica.

"Devo fare una telefonata."

"E non puoi usare il tuo telefono?"

"Lo farei se lo avessi, brutta pelanda. Dammi un telefono. Non farmi arrivare alle maniere forti." Mi stavo irritando. Non avevo tempo da perdere.

Dopo qualche moina si arrese e mi prestò il suo cellulare. Chiamai Kurogiri.

Dopo tre squilli la nube viola rispose.

"Pronto?"

"Kurogiri, sono Hito. Non dire che sto arrivando. Puoi aprire un gate davanti alla porta del mio appartamento tra cinque minuti? Sono chiuso fuori."

"D'accordo. Hai bisogno di qualcosa?"

"Acqua, garze e qualcosa da mettere sotto i denti."

"Preparo tutto. A dopo."

Appena chiusi la telefonata cancellai il numero dalla cronologia del telefono e lo consegnai alla proprietaria.

Tornai piano a casa. Tutto quel correre aveva prosciugato le poche energie che avevo.

Al mio arrivo il gate era già aperto e pronto per il mio passaggio.

Non feci in tempo a passare totalmente che mi ritrovai in un nanosecondo sul pavimento del bar con tre cozze attaccate.

La mia psicopatica preferita mi era saltata addosso appena aveva visto la tuta della UA uscire dal portale, e subito dopo mi erano saltati in braccio Eri e Kota.

Tutti e tre piangevano.

A me mancò il respiro per un attimo. Ero felice, ma faceva troppo male.

"Hey. Spostatevi. Gli state facendo male. Non è ancora guarito." Vennero in mio salvataggio Dabi e Shoto.

Come mi alzarono sentii una fitta dolorosissima alla schiena che mi fece quasi cadere di nuovo.

Mi tolsi la felpa e inizia a srotolare le bende vecchie. Erano sporche di sangue fresco qua e là.

Subito Kurogiri arrivò con bende e disinfettante, ma Eri si mise tra me e lui in lacrime.

"Aiuto io papà." Sbiascicò tra una lacrima e l'altra.

Ormai era diventata molto brava a regolarsi. Infatti riuscì a curarmi in poco tempo senza perdere il controllo.

Appena finì mi stiracchiai sentendomi mille volte meglio di prima.

Mi inginocchiai e abbracciai stretti i miei bambini.

"Basta piangere. Sono qui ora, e sto bene." Sussurrai alle loro orecchie dando un bacio a entrambi.

"È stata colpa nostra. Ci dispiace!" Dissero in coro.

"No, no. Non è stata colpa vostra. Voi stavate giocando e non potevate sapere cosa sarebbe successo. È colpa di chi non sa gestire il proprio quirk e vuole mettersi in mostra. Non ho pensato nemmeno un secondo fosse stata colpa vostra." Mormorai coccolandoli un po'.

"Dai. Andate un po' a giocare ora. Dopo torniamo a casa."

I due si misero ad un tavolo e iniziarono a disegnare, così io potevo parlare con i 'grandi'.

La prima ad avvicinarsi fu Toga, che mi diede prima uno schiaffo e poi mi salto al collo.

"Ouch! E questo per cos'era?" Chiesi abbracciandola di rimando.

"Ci hai fatto preoccupare. Pezzo di idiota. Shigaraki aveva anche ricominciato a scorticarsi il collo." Mi bisbigliò piano all'orecchio.

Diedi un bacio sulla guancia alla mia vampiretta e poi fu il turno di Shoto.

Mi tirò un pugno sulla spalla e poi mi abbracciò anche lui.

"Non ci provare mai più. Avevo paura di perderti. Anche RecoveryGirl aveva detto che non avevi molte speranze, soprattutto i primi giorni." Sentii una lacrima calda bagnarmi il collo.

"Ne riparliamo a casa. Ora stai tranquillo, Sho. Non vado da nessuna parte." Gli mormorai in modo che avesse il tempo di asciugarsi le lacrime.

Con Dabi bastò fissarci negli occhi per capire, mentre con Shigaraki e Kurogiri un cenno del capo.

Era impressionante come avevamo imparato a capirci.

Tornammo a casa e passammo il resto del pomeriggio seduti sul divano. Un caldo silenzio ad avvolgerci, ogni tanto interrotto dai bambini.

L'atmosfera era molto calma e quel momento urlava normalità da tutti i pori. Ma non una normalità qualsiasi. La nostra normalità.

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