cap.38

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Mi svegliarono dei rumori provenienti dal boschetto davanti la mensa. Il sole stava calando e gli orologi segnavano le cinque del pomeriggio.

Mi alzai per sistemarmi la maglia e mettermi seduto composto sulla panchina.

I miei piedi si congelarono in un istante, ma io non avevo intenzione di muovermi.

"Tu! Bastardo figlio di puttana che non sei altro. Come hai fatto!" Urlò Bakougo da lontano mentre Todoroki si avvicinava pericolosamente a me.

"Tu! Lo sapevi e non mi hai avvertito? Potrei lasciarti qui congelato finché non ti si staccano le dita dei piedi." Mi minacciò il mio migliore amico.

"Sono solo stato più furbo, caro mio. Non sapevo nulla, ma già fare una sosta in mezzo al nulla è sospetto. Se qualcuno fosse stato più furbo se ne sarebbe accorto." Dissi ghignando tranquillamente.

"Da quanto sei arrivato?" Urlò qualcuno dietro Shoto.

"Circa sette, otto ore. Non ci ha messo molto il pullman." Ridacchiai.

Katsuki si avvicinò correndo verso di me e mi tirò su per il colletto della maglietta, quel tanto che i miei piedi congelati gli permettessero.

"Ti ammazzo! A chi hai dato dello stupido? Ripetilo se hai il coraggio!" Mi urlò in faccia.

A un certo punto un cappellino rosso spuntò dal nulla e gli tirò un pugno là dove non batte il sole.

Bakougo si accasciò a terra e iniziò a imprecare in tutte le lingue possibili e immaginabili.

"Lascia stare Tetsuya! Brutto stronzo." Borbottò Kota.

Io stavo morendo dalle risate. Poggiai una mano sulla testa del piccoletto e mi complimentai.

"Sei proprio forte, mocciosetto. Grazie."

Lo presi in braccio e subito dopo uscirono gli insegnanti, attirati dal fracasso.

"Alla buon'ora. Complimenti." Disse ironico Aizawa.

"Dai, Shota. Ci hanno messo meno di quanto ci aspettassimo. Sono in gamba." Disse Tiger. Poi si girò e notò che avevo in braccio il bambino. E sembrò abbastanza scioccato.

"Mandalay... ma quello non è Kota?" Chiese con una forte nota di stupore.

Tutto il gruppo di adulti si girò a fissarci con gli occhi fuori dalle orbite.

"Strabiliante." Disse la gatta azzurra.

"Stupefacente." Esclamò quella gialla.

"Incredibile." Borbottò la zia del bambino.

"Todoroki. Scongela i piedi di Hito." Disse Aizawa.

E detto fatto. I miei piedi furono nuovamente liberi di muoversi.

"Grazie Shoto. Iniziavo a non sentire più le dita." Dissi facendo il finto drammatico.

"Oh. Scusi, sua maestà." Ridacchiò Shoto.

"È scusato. Ora me ne vado dentro. A dopo." Alzai il naso verso l'alto e me ne andai con fare altezzoso, con Kota ancora in braccio.

Mentre i miei compagni si lavavano e si riposavano un po' prima della cena io aiutavo in cucina a preparare qualche piatto.

Vivere da soli in tre serviva a qualcosa, in fondo.

Preparammo il ben di dio e portammo tutto in tavola.

Prima di iniziare a mangiare ci spiegarono come si sarebbero strutturate le giornate. Sveglia presto, colazione, allenamento, pranzo, allenamento, cena e ore di recupero per chi non aveva passato a pieni voti gli esami. Per gli altri ci sarebbero state serate a tema, più o meno.

Kota si era seduto vicino a me.

"Qual è il tuo quirk?" Mi chiese tra un boccone di riso e l'altro.

"Paralizzo la gente. Tu?"

"Posso sparare getti d'acqua dalle mani, come i miei genitori."

"Erano i Water Hose, non è così?"

Lui annuì solamente.

"Hai mai pensato a cosa fare da grande?" Chiesi per alleggerire l'atmosfera.

"No. Ma non voglio essere un Hero."

"Non hai mai pensato a diventare pompiere? Il tuo quirk sarebbe perfetto per spegnere gli incendi. Se lo alleni bene potrai salvare delle vite senza essere un Hero." Gli dissi accarezzandogli la testa sopra a quel cappello rosso, che non lo aveva abbandonato da quando ci eravamo conosciuti.

Si illuminò per un istante e mi guardò con occhi luccicanti.

"Hai ragione." Urlò.

Mi sentivo osservato da lontano, ma erano solo le Wild Wild Pussycats che non capivano lo strano comportamento del bambino nei miei confronti. Avevo sentito che solitamente era sempre scontroso e non voleva avere nulla a che fare con i nuovi arrivati al campo.

Avevo solo conquistato la sua fiducia. Questo è quanto. Non ci voleva molto a capire come si sentisse. Bisognava solo comprenderlo e dargli un posto sicuro dove rifugiarsi. Solo perché è un bambino questo non significa che non possa provare dolore.

Poi, guardatemi, sono una cicatrice unica. Come pensate che me le sia fatte? Da solo? Ho un passato traumatico pure io, se mi permettete.

Finimmo di mangiare tranquillamente e mi diressi verso la mia stanza, che avevo sistemato durante il pomeriggio.

"Hito."

"Sì, signora."

Mi aveva chiamato Mandalay.

"Mi fa piacere che tu sia riuscito a farti amico Kota. Vedi come fa con gli altri e con noi. Di solito è molto scontroso, ma non lo fa apposta."

"Sì, me ne ha parlato. Mi dispiace. Un bambino così piccolo non dovrebbe perdere i genitori." Dissi sinceramente dispiaciuto.

"Ti ha raccontato dei suoi?" La donna mi stava guardando come se avessi detto la cosa più strabiliante del mondo.

"Sì. Gli ho raccontato di mia figlia e poi ci siamo trovati d'accordo su certi argomenti. Capisco come si sente. Tutto qui. Per questo si è fidato."

"Ah... non voglio chiederti della tua vita privata, ma ero venuta a chiederti di non ferirlo. Non lo vedo così felice attorno a una persona da troppo tempo per essere un bambino di cinque anni."

La guardai negli occhi e molto semplicemente annuii per poi andarmene.

Nel buio e nel silenzio della mia stanza, steso sul letto, avevo preso il telefono e avevo chiamato il mio angioletto. Era talmente contenta di sentirmi che mi si scaldò il cuore.

Le raccontai di tutto quello che avevo fatto oggi, persino che avevo fatto amicizia con un bambino che aveva quasi la sua età.

Parlammo circa un'ora e poi ci demmo la buona notte. Andai a dormire, perché immaginavo cosa mi avrebbe aspettato il giorno dopo.

Qualcosa è andato storto...Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora