65ᵗʰ ʜᴜɴɢᴇʀ ɢᴀᴍᴇs 1/2

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Avevo perso un anno come mentore.
E, secondo Theo, avrei dovuto restare a casa anche durante i 65° Hunger Games.
Non ero in me. E aveva ragione.
Avevo assistito ai giochi da casa; e nessuno sapeva il motivo.
Per una volta, Snow, si era dimostrato molto abile nel trovare una scusa plausibile per giustificare la mia assenza, nonostante non fosse neppure lui a conoscenza dei fatti.
Quell'anno furono Kalina e Theo ad accogliere i nuovi tributi e a passare un po' di tempo con loro per conoscerli.
Com'è che si chiamavano? Ah, sì. . . Ellie e Thomas.
E quando sono morti?
Tutti e due durante il bagno di sangue.
Idioti.
Avevano entrambi sedici anni. Potevano sopravvivere e, invece, hanno preferito andare alla ricerca delle spade perdute.
Eda mi aveva chiesto di partecipare al pre sfilata, in modo tale da aiutarla con gli abiti.
Il suo, in verità, era solo un modo per distrarmi.
Distrarmi da Seneca. L'ibrido.
Stavamo aiutando Ellie a vestirsi, quando mi piombò addosso un ragazzino, che non doveva avere più di quindici anni.
Lo aiutai a rialzarsi.
Rimasi colpita dalla bellezza di quel ragazzino: aveva la pelle dorata, gli occhi chiari e i capelli color miele.
E poi c'era il suo sorriso. Magnetico era  un aggettivo che non rendeva affatto.
<Scusami se ti sono piombato addosso, ma avevo la testa fra le nuvole. . .> si giustificò.
Beata innocenza.
Gli sorrisi.
<Non ti preoccupare. Non è successo nulla.>
Lui sbatté le palpebre e si strofinò gli occhi, come se avesse visto qualcosa di mistico.
Poi mi indicò.
<Ma tu sei Jessie Electron!> esclamò subito dopo.
Annuii.
Il ragazzino mi tese la mano.
<Finnick. Finnick Odair, tributo del Distretto 4.>
Gliela strinsi, per cortesia.
<Sono un tuo grandissimo fan, lo sai?>
Ma fan di che cosa, esattamente?!
Di un'assassina.
<Davvero?> gli domandai sorpresa. <Non sono in molti a dirlo.>
Lui fece le spallucce.
<Perché non capiscono il tuo potenziale. Ora devo andare, scusami.>
Finnick si diresse verso la biga, dove venne rimproverato dal suo stilista. Ragazzino strano. . .
Non appena Eda mi disse che avevamo finito con Ellie, le chiesi di poter tornare al Centro di Addestramento.
Non ero affatto intenzionata a sopportare la presenza di tutti quei capitolini che, con il mio depistaggio, mi avevano ufficialmente rovinato la vita.
La stilista tentennò; doveva aver ricevuto ordini ben precisi.
Allargai le braccia e dissi: <Va bene, va bene. . . Vado a sedermi sugli spalti.>
Lei provò a ribattere, ma io, ormai, avevo già imboccato la strada per la gradinata più alta dell'Anfiteatro.
Individuai i miei colleghi mentori, ma non avevo affatto voglia di sedermi con loro e parlare della mia salute, così mi diressi verso una zona isolata e posta più in alto.
Bene.
Così non avrei visto neppure la parata.
Tanto non è che mi importasse guardare la sfilata di ventiquattro ragazzini, di cui solo uno avrei ricordato il nome. Ossia il vincitore.
<Non è da te allontanarti così tanto dagli altri.>
Mi girai e vidi Effie, vestita come una bomboniera rosa.
Trattenni le lacrime per non mostrarmi debole ai suoi occhi e mi strinsi per invitarla a prendere posto vicino a me. <Volevo stare da sola.> ammisi.
A lei non potevo mentire.
O meglio, non ci riuscivo proprio.
<L'anno scorso ti sei persa una rissa. Alla quale tu avresti sicuramente partecipato.>
Quella frase mi fece scappare un sorriso.
Del resto Effie aveva ragione: dove ci sono le risse, c'è Jessie Electron.
<Non stavo molto bene.>
Dovevo imparare a stare zitta. Assolutamente.
Per fortuna Effie cominciò a raccontarmi per filo e per segno le dinamiche della rissa.
Come sempre, c'erano andati di mezzo Haymitch, Chaff e Brutus. Con la straordinaria partecipazione di Gloss.
Cazzo, mancavo davvero solo io.
Rimasi in silenzio per tutta la durata della sfilata. E stavo anche per farla franca, ma Effie mi trascinò dagli altri colleghi.
Haymitch cercò di battermi una mano sulla spalla, ma io indietreggiai, allungando le braccia.
Gli occhi mi pizzicavano e tutti i presenti mi guardavano torvi.
Non avevo raccontato a nessuno del depistaggio.
Neppure Theo sapeva tutta la storia.
Andai in iperventilazione nel vedere Seeder tendermi la mano con un dolce sorriso.
<Stammi lontano, dannato ibrido.> ringhiai. <Perché voi tutti lo siete. V-Vero?>
Nelle mia testa comparivano immagini messe a fuoco di Seeder che mi saltava addosso e che mi azzannava il collo come aveva fatto Enobaria durante i suoi giochi.
<Jessie. . .> mi chiamò Theo. <Guardaci. Non siamo ibridi. Siamo solo noi.>
<Chi me lo garantisce?> ribattei gridando.
<Qualche problema, signora Crane?> Sgranai gli occhi riconoscendo la voce femminile alle mie spalle.
Mi girai e trovai Dorotea Flickerman a braccia conserte, mentre si passava la lingua sulle labbra.
A giudicare dall'espressione, doveva godere della mia condizione mentale.
Serrai la mascella; dopodiché, con un gesto fulmineo, la bloccai al muro.
<Sei stata tu.> sibilai. <Sei stata tu brutta stronza!>
Lei mi rispose ridendo di gusto.
<Non ne hai le prove, Electron.>
Digrignai i denti e serrai il pugno.
Dorotea continuava a ridere. Talvolta scuoteva la testa.
E io non ci vidi più dalla rabbia.
Le sferrai un pugno dritto in faccia; il sangue cominciò a grondare dal suo naso, macchiando la sua costosissima camicetta semi-trasparente.
<Io ti ammazzo, Electron!> urlò lei.
Le tirai una testata, peggiorando la condizione del suo naso, già rotto.
<Penso che tu abbia già fatto abbastanza.>
Intorno a noi due, i mentori si erano immobilizzati, mentre i capitolini presenti si misero a gridare, a piangere e a correre verso l'uscita più vicina.
Nessuno poteva fermarmi, perché, oltre ad avermi fatto modificare i ricordi di Seneca, era riuscita a far cambiare persino quelli dei miei amici.
Purtroppo per lei (o per sua fortuna), però, si era dimenticata di due persone.
Forse le meno sospettabili.
Si era completamente scordata di mettermi contro Plutarch e Snow.

ʟᴀ ᴛʀɪsᴛᴇ sᴛᴏʀɪᴀ ᴅᴇʟʟᴀ ʀᴀɢᴀᴢᴢᴀ ᴅᴇʟ ᴅɪsᴛʀᴇᴛᴛᴏ 5Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora