69ᵗʰ ʜᴜɴɢᴇʀ ɢᴀᴍᴇs 2/4

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La mattina dopo mi svegliai di soprassalto dopo aver fatto un sogno terribile riguardante Lara nell'Arena.
La paura che la ragazza potesse perdere la vita in quei maledetti giochi non mi faceva affatto stare tranquilla.

A colazione finsi di stare bene per non dovermi confidare con nessuno. E soprattutto perché non volevo dare delle ulteriori preoccupazioni a Lara stessa.
Lei era così sicura che sarebbe riuscita a tornare a casa. Così come Oliver era sicuro che avrebbe fatto di tutto per aiutarla.
Oppure per impedirglielo.
Kalina si offrì di accompagnarli in palestra, dove li attendeva il primo dei numerosi allenamenti.
Una volta che fummo lasciati Theo ed io ci sedemmo davanti alla televisione e contemplammo lo schermo nero per qualche minuto finché lui non si decise a parlare.
<Hai incontrato Seneca?>
Scossi la testa e feci un sorriso amaro.
<Perché dovrei, scusa? Lui si sarà fatto sentire sì e no tre volte l'anno. . .>
<Appunto per questo credo che dovresti andare a parlargli.>
Misi i piedi sul divano e appoggiai la testa sulle ginocchia. Tirai su con il naso il mucco che si era formato assieme alle lacrime.
Più pensavo a Seneca e più mi tornavano in mente le scene in cui lui si trasformava in un ibrido.
Il mio, se avesse avuto luogo, non sarebbe stato un pianto di tristezza, bensì uno dettato dalla rabbia e dal dolore.
<Ho visto come ti sei comportata con Plutarch.>
Sentii la punta delle orecchie andarmi in fiamme e nascosi la faccia da Theo.
<Questo tuo comportamento non fa altro che farmi insospettire. . .
Jessie, da quanto tempo è che non ti confidi con qualcuno?>
Mi misi a contare con le dita finché non mi venne mal di testa.
<Tanto.> ammisi infine.
<Plutarch mi ha chiesto molto di te in questi anni. . .
Solo che non sapevo mai che cosa rispondere. Ma ora vi siete visti.
Potresti provare a parlargli.>
Io scossi la testa.
<No. No. No.> dissi come una macchinetta.
<Quell'uomo non ha mai smesso di credere in te per un solo istante.>
Inarcai un sopracciglio.
<Come prego?>
Theo sobbalzò. Evidentemente aveva espresso un suo pensiero, che non avrei dovuto sentire, ad alta voce.
<No, lascia perdere. . .
Era solamente una cosa che avevo in testa.>
Io mi alzai e mi sedetti di fronte a lui sul tavolino del salotto.
<No, Theo! Ora tu mi racconti tutto e non escludi mezzo dettaglio.> ringhiai afferrandogli il colletto della maglietta.
Lui mi appoggiò le mani sulle spalle e mi accarezzò le braccia.
<Jessie, Jessie. . .> sospirò. <Non costringermi a infrangere una promessa.>
Promessa?!
Che diamine era successo mentre ero in convalescenza?
<Senti, Jessie. Se vuoi portare avanti questa conversazione, va' da Plutarch e parlagli.
Tanto la cosa è tra voi due.>
Serrai la mascella.
Mi sentivo così stupida a cercare di capire le frasi enigmatiche di Theo, quando in verità il concetto era più elementare del previsto.
<Se vuoi posso dirti dove abita.> sussurrò poco dopo, distogliendo lo sguardo dai miei occhi.
<Oh, okay. . .> bofonchiai. <Allora vado a trovarlo.>

Non ricordavo se c'ero già stata a casa di Plutarch oppure era stato l'ennesimo incubo.
Corsi giù per le scale e mi guardai attorno nella speranza di non trovarmi faccia a faccia con nessuno.
E per mia fortuna non trovai anima viva all'interno della hall.
<Jes, aspetta!>
Mi bloccai all'istante e vidi Finnick dietro una colonna che fumava una sigaretta.
Si avvicinò a me e sorrise.
Glielo spensi non appena gli sfilai la sigaretta e la gettai a terra, calpestandola con tutta la forza che avevo in corpo.
<Perché?!> esclamò il ragazzo indicando il mozzicone sull'asfalto.
Io gli tirai un orecchio e risposi: <Perché fumare è una vera e propria merda, okay?!>
<Ma tu lo facevi!> ribatté lui.
<Ho quasi perso la corsa della vita a causa di quella robaccia!> gridai a mia volta.
Gli occhi di Finnick si incupirono.
Abbassò la testa e incrociò le braccia al petto.
<Vuoi parlarne?> mi domandò.
Appoggiai le mani suo fianchi.
<Hai pur visto i miei giochi.> dissi semplicemente. <Non c'è granché da raccontare.>
In effetti era vero. . .
Per mia fortuna Ludmilla aveva davvero una scarsa resistenza. E i miei polmoni non erano del tutto malfunzionanti.
I giochi della gioventù, in fondo, mi avevano aiutata abbastanza con la corsa.
Non ero mai stata la migliore nella specialità, ma almeno non mi fermavo dopo cento metri con il fiatone e con il rischio, dopo due colpi di tosse, di sputare tutti gli organi vitali presenti nel mio corpo.
<Vai da qualche parte?> chiese Finnick dopo aver tossito.
Gli diedi due colpetti sulla spalla.
<Finché non ti vedo rientrare al Centro di Addestramento, da nessuna parte.
Cosa succederà dopo non è affar tuo.>
Il mentore del Distretto 4 mi squadrò dalla testa ai piedi.
<Guarda che io i segreti li so mantenere alla perfezione.>
Feci le spallucce.
<Ma io non sono molto brava a esprimermi.> dissi a Finnick, il quale si mordicchiò il labbro.
<Io quasi non ti conosco. . .> commentò il ragazzo, calciando un sassolino invisibile per l'imbarazzo.
<Non ti ho dato neppure l'opportunità di farlo.> dissi al ragazzo appoggiandogli una mano sulla spalla.
<Allora, dove vai?>
<V-Vado a fare un giro. . .> mentii spudoratamente. <Da sola.> rimarcai il concetto al ragazzo del Distretto 4.
<Ci vediamo dopo? Se vuoi possiamo andare a bere qualcosa dopo cena.
Ti aspetto nella hall. A dopo.>
Praticamente fece tutto Finnick senza che io potessi dargli o meno un briciolo di conferma.
Era come se tutto gli fosse dovuto.

ʟᴀ ᴛʀɪsᴛᴇ sᴛᴏʀɪᴀ ᴅᴇʟʟᴀ ʀᴀɢᴀᴢᴢᴀ ᴅᴇʟ ᴅɪsᴛʀᴇᴛᴛᴏ 5Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora