ᴜɴ'ᴇʟᴇᴛᴛʀɪᴄɪsᴛᴀ ᴀ ᴄᴀᴘɪᴛᴏʟ ᴄɪᴛʏ

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Non avevo mai visto Capitol City dal vivo.
In verità, avevo lasciato solo qualche volta il mio Distretto, ovverosia il 5.

Quella mattina ero stata svegliata da Theodore, uno dei miei vicini, che aveva ricevuto un telegramma da Capitol City indirizzato alla sottoscritta, in cui venivo gentilmente obbligata a recarmi nel cuore di Panem per risolvere un problema causato da un fulmine.
Da ciò che Theo mi aveva detto, capii solo che avevano bisogno di un elettricista, poco importava se si trattasse di un bambino o di un'anziana signora, chiunque fosse avrebbe dovuto riparare i danni causati da quell'odioso fulmine.
Theo si era offerto, in quanto ultima persona a me cara rimasta in vita e maggiorenne, di accompagnarmi alla capitale in qualità di mio tutore; naturalmente non avevo alternative.
Insomma, meglio lui che quell'odiosa di Myriam.
Accettai, così, la proposta dell'uomo.

Il biglietto del treno mi era stato pagato dalla famiglia richiedente i miei servigi: questo stava a significare che la paga sarebbe stata minima, se non inesistente.
<Hai fatto colazione?> mi chiese Theo.
Io scossi il capo e tirai fuori una sigaretta.
Theo cercò di portarmela via, ma io fui più svelta e gli sferrai un calcio sugli stinchi.
<Ahia! Ma sei pazza, Jessie? Avresti potuto farmi molto male.> frignò lui, toccandosi lo stinco e massaggiandolo per alleviare il dolore.
Io mi misi a ridere e commentai la scena: <Sembri un bambino, Theo. Finiscila di piagnucolare come il figlio di Myriam. . . E comunque no, non ho fatto colazione. Lo sai perché? Perché un coglione è venuto a svegliarmi all'alba e non mi ha dato il tempo neanche di lavarmi la faccia.>
Theo arricciò le labbra e poi mi fece una smorfia, forse l'avevo un pochino offeso: lo capii perfettamente.
Theo non era mai stata una cattiva persona; l'unico suo grande difetto era essere troppo emotivo: ogni volta che uno dei tributi del Distretto 5, o di qualsiasi Distretto alleato del nostro, moriva, si metteva a piangere e continuava fino alla fine dei giochi.
Aveva vinto l'edizione numero 53 all'età di diciassette anni, mentre Myriam, l'altro mentore, era stata vincitrice durante la 48^ edizione.
Non mi ero ancora mai offerta come volontaria solo perché speravo che quell'acida di Myriam si levasse; a differenza di Theo, lei era piena di difetti.
Eppure aveva anche un grande pregio: ci metteva impegno nelle cose che le piacevano; i giochi non erano tra queste, quindi come mentore valeva meno di me come modella di Capitol City.
<Hai visto i giochi quest'anno?> mi chiese Theo con un filo di voce.
<No. Perché mai dovrei guardare quella merda? Non muore già abbastanza gente nelle nostre centrali?>
Lui non rispose; tutti nel Distretto sapevano che ero l'unica a non seguire le sorti dei nostri tributi durante quel "reality-show" che faceva impazzire i capitolini.
L'ultima edizione si era conclusa da qualche mese e aveva visto come vincitore un tributo del Distretto 1 (così mi aveva detto Myriam), che aveva brutalmente scorticato metà degli altri tributi.
<Scusami.> dissi subito dopo.
<Per cosa?>
<Per essere stata così maleducata. . . Ma sai che non mi piacciono queste cose.>
Theo mise una mano sulla mia spalla e mi accarezzò la fronte con l'altra.
<Hai portato i fiori a tua nonna?>
Spensi la sigaretta e risposi negativamente: non andavo quasi mai al cimitero a trovare mia nonna.
Mi dava troppo fastidio vedere il memoriale che il sindaco aveva fatto erigere in onore dei miei genitori; mi avevano abbandonata - nei giorni dell'Edizione della Memoria con mia nonna, madre di mio padre, e ultima parente rimasta nel Distretto. Non tornarono più.
Non era una cosa piacevole.
Mia nonna se non fosse nata nel Distretto 5, probabilmente sarebbe stata scambiata per una capitolina tutta moda e vestitini.
Degli altri miei nonni non sapevo mai che cosa dire: il mio nonno paterno era morto dopo essere stato colpito da una saetta mentre stava riparando un'antenna quando ero ancora piccola.
I miei nonni materni non erano potuti esserci per mia madre, figuriamoci per la sottoscritta: mia nonna, dopo aver dato alla luce mia madre, venne pescata per partecipare agli Hunger Games, dove morì, e nessuna ragazza si offrì volontaria al suo posto; mio nonno si occupò di mia madre finché non si suicidò dopo che alla sua unica figlia era toccata la stessa sorte della fidanzata.
<Quanto manca, Theo?>
L'uomo guardò fuori dal finestrino e scosse la mano: <Pochissimo, siamo al Distretto 2.>
Spostai lo sguardo verso l'esterno e vidi una grande catena monutosa che mi impediva la visuale.
<Che noia, dannazione. . .> borbottai.
Dopodiché tirai nuovamente fuori un'altra sigaretta e me la fumai in silenzio, senza lasciarmi condizionare dalle frasi di raccomandazione di Theo sulla pericolosità del fumare alla mia età.
<Fumo da che ho dieci anni. Magari se mi sorteggiano l'anno prossimo per gli Hunger Games. . .>
<Non dirlo neanche per sogno.>
Io ghignai e mi morsi la lingua.
<Sto dicendo sul serio, Jessie. Tornare dai giochi non è mai piacevole; per non parlare dei traumi causati degli omicidi che sei costretto a compiere.>
Il tono di voce di Theo era serio e grave, sarebbe stato molto scortese ridergli in faccia. Ma non potei fare a meno di ridacchiare.
<Sei proprio una stupida quando fai così, Jessie.>
<Lo so. . .>

ʟᴀ ᴛʀɪsᴛᴇ sᴛᴏʀɪᴀ ᴅᴇʟʟᴀ ʀᴀɢᴀᴢᴢᴀ ᴅᴇʟ ᴅɪsᴛʀᴇᴛᴛᴏ 5Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora