Impresso nei suoi occhi vi è un dolore che difficilmente si potrebbe esprimere a parole; corrono appresso a una sequenza di scene talmente vivide nella sua mente da far sembrare vivo lo sguardo stesso.Ha l'attitudine di chi non ha ancora deciso cosa voler fare della propria vita, se voler vivere o voler morire e, sebbene appaia forte e vigoroso rispetto ad altri, mostra già un indebolimento psicofisico non indifferente.
I capelli sono neri e lucenti, come il piumaggio di un corvo e non c'è una sola volta in cui lo abbia visto grattarsi il capo, segno che probabilmente non sono neppure infestati dai pidocchi. Il suo odore è pungente ma "fresco", di giornata, il che mi fa anche sospettare che si lavi - o venga lavato - ogni giorno.
Lui, in tutto ciò, non mi ha ancora risposto; il tempo a nostra disposizione è quasi agli sgoccioli e di conseguenza insisto, riproponendogli la stessa domanda.
«Non sono autorizzato a parlarvi» ribatte, alzando il volume di voce, in un tedesco approssimativo, facendo sì che il nostro scambio di battute possa proseguire per almeno un altro minuto. «È pericoloso.» Delibera, ammonendomi e ammonendosi.
«Mi dici come ti chiami?» Ho fame di conoscenza e mi impunto su un'inezia, qualcosa di apparentemente inutile che, per me, ha una certa rilevanza.
Voglio il suo nome, o meglio, voglio poterlo chiamare per nome invece che continuare ad apostrofarlo, cercando nuovi epiteti per sopperire alla mancanza d'informazione.
«Isaac Lebrac» sussurra, quasi incomprensibilmente, tanto che più che da un apparato fonatorio umano, quel suono pareva esser stato prodotto da una beluga; io mi sono improvvisata animale a mia volta per poter finalmente ripetere "Isaac" tra le labbra, con la pronuncia inglese.
Stranissimo abbinamento; un miscuglio multietnico adatto a lui.
Isaac strofina il pollice sul numero tatuato, srotolando sull'avambraccio la manica che aveva tirato su fino ai gomiti.
«Conosci qualche canzone tedesca? Quel crucco vuole che gli canti "Ich Bin Das Nachtgespenst". La sai?» Perché lui la deve sapere; non è raccomandabile lasciare un nazista insoddisfatto, specialmente nella sua condizione.
Lui scrolla le spalle, inclina il viso, scomparendo dietro ai riccioli; si libera la fronte strofinandovi il polso, così da sbarazzarsi di polveri e sudore. «Sì, la conosco» risponde, dopo aver fatto mente locale.
Capisce di dover riprendere ciò che stava facendo, di dover accontentare il nazista, e la sua reazione è quella di far volare lo sguardo oltre il bosco, verso il luogo in cui, secondo i miei calcoli, dovrebbero trovarsi il Bunker 2 e i roghi. Lì, in quel punto d'incontro tra barbarie e frutto diabolico della civiltà, vedo spuntare in lui una conoscenza più profonda, che va oltre le bugie che sono state raccontate per occultare la verità.
Ritorna a me, carico di quel dolore che solo una vera consapevolezza può portare, dopodiché mi supera, lasciandomi in custodia un ulteriore segreto, oltre al suo presunto coinvolgimento con l'ufficiale tedesco.
Vorrei trattenermi ancora, restare per chiedergli dell'altro, ma non mi è possibile.
Appena il tempo di ruotare il capo che il comandante mi appare in lontananza, deciso a introdursi anch'egli all'interno del settore.
Cerco maldestramente di nascondermi; arretro, rischio di inciampare su un'asse di legno, fin quando non mi rassegno al fatto che lo scontro sia inevitabile.
Lui non sta guardando da nessun'altra parte; è me che ha visto e arriverà, non potrei ritardare che di una manciata di minuti, se riuscissi in qualche modo a defilarmi.
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Unsere Schatten - Le nostre ombre
Tiểu thuyết Lịch sử[EX CANONE INVERSO - BEHIND ENEMY LINES] Estate, 1942. Alle porte di Auschwitz-Birkenau una ragazzina corre a perdifiato, cercando di sfuggire al suo destino. Cade dal suo scranno dorato; non sa nulla del mondo, tanto più dei bui anni quaranta, un...