41. Vágott virág - fiore reciso

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Credevo che la mia presenza qui fosse dannosa, ma ho scoperto che la mia assenza lo è altrettanto, se non di più.

Ecco quel che si erano detti quando mi ero dovuta allontanare per portare l'alcol a Samuele; io, confidando nella razionalità di Reiner, pensavo che fossero giunti a un compromesso, invece, ancora una volta, gli istinti selvaggi hanno prevalso.

Io conosco bene le potenzialità di Reiner, sono convinta che sia superiore a Hoffmann, ma è pur vero che questi potrebbe avere qualche carta nascosta, o non gliel'avrebbe proposto con tanta leggerezza.

È un guaio in ogni caso; Reiner è un uomo intelligente, tuttavia quando si tratta di salvarsi l'onore diventa una zucca vuota. A picchiettargli contro la tempia si potrebbe percepire il rimbombo di quel nulla che ha sopraffatto ogni cellula neuronale.

«Non è una buona idea» è ciò che avrei voluto dire, se Rüdiger non avesse aperto bocca per primo. Hoffmann si volta con gli occhi spalancati, dicendo la sua quanto al dover "dare una lezione allo scarto di nobiltà qui presente", ma Rüdiger, integerrimo, gli ribadisce quanto sia rischioso affrontare un avversario in condizioni non ottimali.

Pare una bestemmia, eppure mi trovo d'accordo con lui.

«Non farlo, non siamo certi dell'esito» consiglio, ricordando a Reiner la meschinità di Hoffmann e delle sue tattiche. Lui - ed è anomalo in queste circostanze - concorda con me e sembra disposto a tirarsi indietro. Nel guardare dalla parte opposta, incrocia casualmente lo sguardo di Erika, che, recando sul viso ancora un paio di lividi sbiaditi, sobbalza sulla sedia.

«Io lo batterò» la voce di Hoffmann pare fuoriuscire dalle viscere della terra; è generata da un odio così radicato da renderlo incrollabile, più che deciso a umiliare il suo nemico.

A Rüdiger non resta che rassegnarsi: chiude gli occhi per non guardare, si isola dal suo mondo carnevalesco costruito attorno a sfarzo e piaceri sfrenati per precipitare nella vita sofferta degli altri, un ambiente a lui alieno che riesce a toccare con mano solamente attraverso le percezioni di Hoffmann.

Lui, che mai nulla si è accorato, meno che i sentimenti di pochi eletti, mostra finalmente un coinvolgimento di più.

«Non ora» statuisce, occhieggiando le due ragazze intimorite. «Va' e torna. Mi stai facendo raffreddare il piatto.» Lo rimprovera, riuscendo a strappargli uno sbuffo.

Una tregua della durata del pasto, durante il quale non vola una mosca da più parti: io sono rimasta in mezzo nonostante l'accaduto, poiché temevo che se Reiner avesse preso il mio posto, Hoffmann avrebbe avuto il pretesto per cominciare la rissa. Rüdiger, invece, ha ripreso in mano la situazione; ha ricominciato a intrattenere coi modi da farfallone che inaspriscono Erika oltre ogni dire, e, sebbene prima la mia attenzione fosse ricaduta solo su Hoffmann "il macellaio", non ho potuto non notare - con un certo stupore - che i suoi begli occhi azzurri si sono riempiti di lacrime, e che il rossetto rosso, sbavato a seguito di un morso nervoso, le ha colorato gli incisivi.

Non ho compassione della strega che mi ha quasi uccisa e che ha ferito Ariel, ma ho pietà della donna che è succube di Rüdiger.

Io, a contrario suo, non soffro certi atteggiamenti del colonnello; mi sono preoccupata per Ariel e ho avanzato quello che ho potuto: i suoi piatti erano davvero abbondanti e Rüdiger sa che non sarei riuscita a mangiare tutto in ogni caso e, se anche il sospetto gli fosse venuto, dubito fortemente che questo mio escamotage fosse in cima ai suoi pensieri.

Abbiamo terminato da un po' ormai. Ci è stata servita una crostata alle fragole, deliziosa, che nessuno ha avuto occasione di gustare a dovere, nemmeno Reiner.

Unsere Schatten - Le nostre ombreDove le storie prendono vita. Scoprilo ora