21. der Puppenspieler - il burattinaio

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Il mio viso bolle; ciononostante, il colonnello pare del tutto trascurare questo "dettaglio": mi osserva, in apparenza con fermezza irremovibile, tenendo gli occhi fissi, saldi in un luogo imprecisato, dove un leggero scintillio nei suoi occhi freddi riesce a divampare con l'ardore di una stella.

Ma che cosa vuole? Non vuole che viva in santa pace, non vuole che muoia...

«Vedo che sei ancora integra, o non cammineresti sulle tue gambe.» Avvolge il ciuffo tra le dita affusolate, sfila una sigaretta dal pacchetto appoggiato sul comodino e se l'accende in tranquillità, soffiandomi una boccata di fumo sul viso. «In un modo o nell'altro la spunti sempre tu...»

«Perché? Perché non mi hai aiutata se ti dispiaceva?» E lui pronuncia di nuovo quella parola: "dispiacere", sorridendo come se volesse prendermi per i fondelli.

Mi manda in bestia. Lo ucciderei con le mie mani, ma il contegno mi impedisce di sfogarmi sul suo corpo come lui avrebbe fatto con me. Un formicolio diabolico mi fa alzare il braccio e mi avrebbe anche spinta a colpirlo, se lui non avesse intercettato quello schiaffo ambulante, impedendo l'inammissibile.

Non ama farsi toccare, nemmeno da una donna intenzionata a lasciargli una carezza languida. Da quando lo conosco, nessuno ha mai raggiunto il suo viso senza che le ciglia rossastre gli piombassero sulle palpebre strizzate, per un secondo o poco più, prima che lui riuscisse a fuorviare il prossimo e convincerlo di trovarsi davanti a un cucciolo bisognoso.

«Non sei Dio, Schneider. Ci sono divergenze che non sono programmate e che non puoi controllare. E non sono tutti come te, per fortuna, perché è grazie alla purezza d'animo di qualcun altro se sono scampata alla morte.» Ritiro il braccio, ma questo rimbalza di nuovo in avanti, trattenuto esattamente nel punto in cui svetta già un livido dolorante. Il soffio di un gatto mi avvelena le labbra; la stessa sua scintilla - di pazzia - mi infetta lo sguardo.

«Dovrebbero esserlo, invece. Voi italiani avete qualcosa di diverso. La vostra sensibilità vi rende deboli; quelli che nascondono di avere una coscienza disfunzionale sono peggio, no, molto peggio di quelli che rimandano una decisione già presa, per quanto crudele, pur di non convincersi di essere aridi e menefreghisti. Tu sei del tipo più raro; tu non nascondi nulla, anche quando potrebbe risparmiarti altra sofferenza.» Senza indugiare sulla singola parola, è andato spedito, dritto al punto, come se la paternale l'avesse scritta e se la fosse imparata a memoria.

«Diversi dici? Come gli ebrei?» Mi esimo dal ritentare un attacco frontale, brancolando nel buio. Mi stringe d'assedio in un luogo inappropriato per certi giochetti, con la porta spalancata che dà sull'esterno, il torso nudo, il mio avambraccio in custodia cautelare. «E lasciami!»

«Loro può anche darsi. Tu hai conservato la tenacia dei tuoi antenati» riapre le dita con uno scatto, sganciandosi meccanicamente. «Hai gli occhi della tigre, belli e affilati, come i miei.»

«Non mi hai risposto» insisto, ritentando alla fortuna; sferzo l'aria col palmo disteso, più rapidamente di prima. Lui lo schiva, ma riesco comunque a urtargli la mandibola.

Finalmente una gioia!

«Credevo lo meritassi.» Invece di ritrarsi, si avvicina, minaccioso a discapito del sorrisetto da sfottò. «Io meritavo di morire, a contrario tuo. Giusto?» Mi ritrovo in mezzo al corridoio insieme a lui, che sa perfettamente quanto poco sia disposta a farmi vedere in sua compagnia. «E perché?»

«Sei un essere in divenire, Rüdiger. Punti a trasformarti in un mostro, perché sai che ne trarresti profitto...» inarca un sopracciglio, divertito, pendendo dalle mie labbra.

Unsere Schatten - Le nostre ombreDove le storie prendono vita. Scoprilo ora