69. was wir wollen - quello che vogliamo

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Quando siamo risaliti, Johann ha voluto attardarsi ancora un momento. Invece che guidarmi subito verso la sala da pranzo, mi ha chiesto di accompagnarlo nel parco, perché voleva sgranchirsi le gambe prima di colazione, o, perlomeno, così mi ha dato a intendere.

«Non si domanderanno dove siamo finiti?» Lui procede spedito; mi stacca di almeno cinque passi, così che debba allungare il mio per potergli stare appresso. Ho corso così tanto quel giorno, fino al Bunker 2, che non posso certo lamentare di avere il fiatone, ma mi è comunque richiesto uno sforzo in più e lui, percepita una sottile variazione nel mio tono di voce, inizia a rallentare.

«Non c'è da preoccuparsi» ribatte, offrendomi il braccio sinistro per permettermi di poggiarvi la mano «al di là delle battute, Reiner sa che non mi permetterei mai. È una questione di principio.» Ogni sua parola conferma l'idea che mi ero fatta di lui già tempo addietro, prima di conoscerlo, e sono contenta che in un prossimo futuro mi sarà cognato o fratello, come gli piace definirsi. Sì, sono proprio soddisfatta della mia nuova famiglia, anche se nel mio cuore non potrà mai sostituirsi alla mia. La signora von Hebel, per come si è presentata e per la gentilezza con la quale mi ha trattata, sembra disposta a farmi da madre e, anche se non l'ho dato a vedere, ho gradito tanto il suo interessamento. In fondo, non desidero altro che "normalità". «Senti» riprende a parlare, dopo avermi condotta davanti alla serra. «Quell'uomo, Schneider, che cosa voleva da te? Pretendeva restassi con lui? Conoscendo il personaggio, dubito ti avrebbe mai mostrata in pubblico.»

Per il mio bene, credo sarebbe stato meglio seppellire il suo ricordo... Lui trova sempre il modo di tornare a tormentarmi, anche se non è presente. Persino pronunciare il suo nome mi è difficile, senza venir scaraventata di nuovo in quella strana dimensione che sembrava abbracciare soltanto noi due; uno spazio astratto, senza tempo, nel quale, puntualmente, finivo per cadere in uno stato di assuefazione.

«Ciò che vuole Reiner, né più né meno, soltanto che lui non voleva concederselo. Esatto, sì. Voleva, non "poteva"» parto col dire, raccogliendomi un secondo, come a volerne restituire il ritratto più fedele possibile «E mi puniva proprio perché avrebbe voluto abbandonarsi a questa passione, ma gli era illecito dal punto di vista morale. Se sono riuscita a tirarmene fuori, è perché Schneider, in fondo, sentiva di non aver portato a termine la sua missione e non poteva permettersi di morire. Sai com'è tuo fratello...» alludo al fatto che Reiner sarebbe arrivato a tanto e le pupille di Johann quasi non vengono inghiottite dalla marea. Anche il suo viso sembra essersi fermato nel tempo e, se non fosse stato per l'impercettibile movimento delle spalle, avrei fatto fatica a stabilire se stesse respirando o meno. Dura poco, però. Appena dopo, passato lo stupore, accenna un "sì" col capo, attribuendo quell'inclinazione sconsiderata all'amore che il fratello nutre nei miei riguardi.

«È certamente da lui. Vorrei tanto biasimarlo, ma non ci riesco» ammette, stringendo e rilassando il pugno. «La sua condotta irresponsabile lo ha portato esattamente dove sarebbe voluto arrivare. Dopotutto, era uno stratega. Deve aver calcolato i rischi e desunto che una possibilità di aiutarti c'era, e tanto gli è bastato. Un comportamento da vero Principe» l'ultima considerazione l'ha pronunciata con gli occhi chiusi, la testa reclinata e un sorriso un po' storto sulle labbra. «Dai, sorellina, rientriamo. Sono certo che lui non sia stare senza di te.»

Anch'io non vedevo l'ora di riunirmi con Reiner, ma prima ho voluto dare un'occhiata alla serra e lui, paziente, compresa la mia curiosità verso un ambiente per me nuovo e meraviglioso, mi ha accompagnata fin dentro, lasciandomi libera di scorrazzare nelle varie sezioni, tra nespoli, glicini giapponesi nel pieno della loro seconda fioritura, palme da dattero e fiori blu d'ibisco. Il glicine mi ha attratta per più tempo del previsto: emanava un odore zuccherino, simile a quello degli acini d'uva maturi, e i fiori pendenti, ai miei occhi, si presentavano come spighe di lavanda rovesciate che gravitavano a grappoli sotto la copertura in ferro. Il tipo giapponese non mi era mai capitato di vederlo e Johann ha riso - una risata spontanea, gonfia di una gioia condivisa - quando mi ha vista con la bocca aperta e le mani giunte, in adorazione.

Unsere Schatten - Le nostre ombreDove le storie prendono vita. Scoprilo ora